«Vedremo se il centrodestra avanzerà formalmente una candidatura. Nel vertice di venerdì è emerso che il sogno quirinalizio di Berlusconi non ha i numeri. Che tristezza leggere di telefonate ai singoli parlamentari». Il senatore e leader di Italia Viva Matteo Renzi parla al Corriere a una settimana dall’avvio dell’elezione del presidente della Repubblica. «Non ho la doppia morale tipica di certa sinistra: giudicavo ridicolo che Ciampolillo fosse chiamato da Conte un anno fa per sostenere il governo e giudico ridicolo che Ciampolillo venga chiamato oggi da Sgarbi per passargli Berlusconi. Questi show telefonici squalificano la politica sia quando lo fa Conte sia quando lo fa Berlusconi. Torniamo alla sana politica e troviamo un nome di prestigio per l’Italia, in patria e all’estero».
Renzi dice che lui telefonate da Berlusconi, però, non ne ha ricevute. «Non mi ha chiamato; se mi cerca glielo dico a viso aperto e in faccia, come ho sempre fatto. E come feci quando a Palazzo Chigi tentai di convincerlo a sostenere Mattarella. Io non sono uno degli yes man che ha intorno: gli dico ciò che penso. E chi gli vuole bene deve dirgli la verità, non mandarlo a sbattere».
Il leader di Italia Viva non esclude né l’ipotesi di Mario Draghi al Quirinale né l’ipotesi della sua permanenza a Palazzo Chigi. «Draghi a Chigi è una garanzia per il Paese nell’anno di legislatura che ci rimane. Draghi al Quirinale ha un ruolo meno impattante ma garantisce l’Italia, qui e all’estero, per sette anni. Sono entrambe buone soluzioni. L’importante è che nell’uno e nell’altro caso non si spieghi questa scelta come un commissariamento della politica. Draghi è arrivato a Palazzo Chigi quale frutto di una straordinaria battaglia politica». Ma, aggiunge, «se andrà al Quirinale dovrà esserci un accordo politico contestuale sul governo. Non ci possiamo permettere elezioni politiche nel 2022 e nemmeno un governo fotocopia senza il premier: il valore aggiunto di questo esecutivo è Draghi, non i singoli ministri».
Salvini ha proposto un governo dei leader se Draghi va al Colle. Secondo Renzi, «non è probabile ma ha un senso. Crisi energetica, Pnrr da attuare, riforme da calendarizzare: può avere un senso coinvolgere le prime linee dei partiti. Ho l’impressione però che Salvini debba decidersi. Talvolta sembra voler uscire di maggioranza, lasciando spazio al cosiddetto governo Ursula. Talvolta sembra volersi immolare su Berlusconi, facendosi del male e facendolo anche al Cavaliere e al centrodestra. L’elezione del presidente della Repubblica è una partita seria, una finale di Champions, non un’amichevole precampionato. Ci sono leader che sul Quirinale si sono bruciati e hanno perso ogni credibilità: pensi a quello che ha combinato Bersani in quella scriteriata gestione del 2013. Su questa partita il mio omonimo si gioca molto ma credo lo sappia».
Ma se il candidato del centrodestra è di alto profilo «certo che lo votiamo», aggiunge Renzi. «La Costituzione stabilisce l’identikit del presidente della Repubblica. E non c’è scritto da nessuna parte che il capo dello Stato non debba venire dal mondo della destra. Se non è mai accaduto, è perché la destra non ha mai vinto le elezioni nell’anno del Quirinale: casualità, non precetto costituzionale. Il punto non è la provenienza ma la capacità di rappresentare l’unità della nazione. Che venga da destra o da sinistra, dal nord o dal sud, ateo o credente, politico o espressione del mondo accademico e della società civile, poco importa: l’importante è che sia all’altezza della sfida. E che sia credibile per gli italiani e nel mondo».
Secondo Renzi è giusta la proposta del segretario del Partito democratico: «Mi pare che Enrico Letta abbia proposto al centrodestra un accordo complessivo da qui al 2023 in modo serio e ragionevole. Mi sembra saggio»
Eppure al centrodestra spetta fare un nome. «Perché hanno più grandi elettori», spiega Renzi. «Ma non è un diritto divino. Se hanno un nome che può farcela, lo tirino fuori. Altrimenti il Parlamento in seduta comune troverà una soluzione diversa. È sempre andata così, andrà così anche stavolta».
Su Giuseppe Conte, dice Renzi, non si è capito cosa vuole, ma «non l’ha capito nemmeno Conte. Cerca solo di dare l’impressione di essere in partita. Lo fa soprattutto per i suoi: la dialettica interna ai grillini è pesante. Conte vorrebbe andare ad elezioni nel 2022: sa che se si vota a scadenza naturale, Di Maio gli riprende il posto».
Quanto al diritto di voto anche ai parlamentari in quarantena, si dice d’accordo: «Per l’eccezionalità dell’atto – l’elezione del Capo dello Stato – è giusto che si predispongano dei corridoi per far votare, in presenza, anche i parlamentari in quarantena. L’elezione del Capo dello Stato non è un privilegio per parlamentari: è un altissimo dovere istituzionale. Si organizzi perché il tutto avvenga in sicurezza per i parlamentari e per i funzionari».
Intanto, Goffredo Bettini, ex deputato, senatore, europarlamentare e uomo chiave del Partito democratico, in un colloquio con il Corriere dice che la candidatura di Berlusconi è «profondamente» divisiva. «Quindi è l’esatto contrario di ciò che ci si aspetta da un presidente della Repubblica. Purtroppo, Meloni e Salvini non hanno il coraggio di dirglielo esplicitamente. Si sono limitati a chiedergli i numeri di cui dispone, ma – in questo modo – si sono incartati», spiega. «Berlusconi non dirà mai: 505 voti non ce l’ho. Continuerà invece a cercarne. Bloccando così il centrodestra fino alla terza votazione». Ma «dobbiamo vigilare. Perché la rappresentanza parlamentare è incerta, a decine, in tutti i partiti, sanno che non verranno rieletti, c’è un ingovernabile e gigantesco gruppo Misto. Il rischio che racimoli un po’ di voti, insomma, c’è. La pratica Berlusconi va espletata con cura».
Ma, spiega, «ci sono due strade possibili. La prima: la politica prende atto che l’emergenza non è affatto finita né sul piano sanitario, né sulla messa a punto del Pnrr. Quindi ha uno scatto, va da Draghi e gli propone un patto di un anno: sarai più solido, non facciamo più i capricci dell’ultimo mese e, in Parlamento, variamo una nuova legge elettorale di stampo proporzionale…». E al Quirinale, a quel punto, «occorre individuare una figura di alto profilo capace di guidare la transizione del Paese dall’uscita dell’emergenza alla ricostruzione di un sistema politico più equilibrato». A «questa operazione dovrebbe collaborare soprattutto Salvini. Ha un interesse preciso. Nei consensi lui scende, la Meloni sale, Berlusconi s’è ripreso la scena: ha l’occasione di diventare il vero kingmaker».
La seconda strada «è obbligata. O chiediamo a Mattarella di accettare un altro mandato. Oppure verifichiamo la disponibilità che Draghi ha lasciato intuire», dice.
Sui nomi per il Colle, poi, Bettini dice che quello di Amato è «autorevole, di grosso prestigio internazionale» e che l’ostilità dei Cinque Stelle è un «rischio concreto, da verificare». Casini «sarebbe all’altezza, come altri». Gianni Letta «è un servitore prima delle istituzioni, poi della sua parte politica. Ma candidarsi non è nel suo orizzonte». E dalla società civile «ci sarebbe Andrea Riccardi, enorme spessore umano, riconosciuto pure all’estero».