EnciclopediscoGuardare le vecchie puntate di The Tube per godersi la follia musicale degli anni Ottanta

Su YouTube sono disponibili tutte e 121 le puntate dello show televisivo britannico che ha rivoluzionato il modo di raccontare le hit. Trasmesso tra il 1982 e 1987 dal vivo, senza filtri, né montaggi ha abituato il pubblico ad aspettarsi di tutto

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Bisognerà formulare una proposta di cavalierato per l’anonimo benefattore che, nascosto sotto la sigla Lol-Z, ha caricato e messo a nostra disposizione su YouTube tutti e 121 gli episodi di The Tube, il programma televisivo britannico trasmesso tra il 1982 e l’87, che rivoluzionò il concept di trasmissione dedicata alla musica e alle altre cose che piacevano all’audience giovanile del tempo.

Inutile dire che la visione risulti scioccante per le evidenti modificazioni – purtroppo peggiorative – intervenute sull’argomento, ma al tempo stesso si dimostri un’elettrizzante miniera di informazioni su cosa fossero quegli anni nella definizione elaborata dagli under-30 d’oltremanica, descrivendo un panorama strabordante d’idee ma disseminato d’indizi della spudorata rincorsa al successo che stava per innervare i media, e in particolare la tv.

Se insomma siete tra coloro che periodicamente inciampano nel dibattito su cosa fossero gli anni Ottanta, ecco l’enciclopedia che risponderà ai vostri interrogativi, oltre a farvi scoprire, o riscoprire, una scena musicale scomparsa e popolata da una quantità, qualità e diversità di talenti oggi impensabile. 

Ma cos’era “The Tube”? Uno show messo in onda dal vivo – fattore distintivo essenziale – dai remoti studi di Newcastle di Channel 4, il canale che nel frattempo si proponeva di sparigliare la flemma della televisione britannica (il tube in questione altro non era che la galleria di plastica che conduceva all’ingresso degli studi, oltre che il nomignolo dell’elettrodomestico).

La location provinciale, connessa all’entusiasmo del pubblico in studio, avulso dalle pose delle platee metropolitane, si dimostra subito una delle sue caratteristiche come, ancor di più, la percepibile sensazione che nell’ora e mezza successiva si sarebbe assistito a uno spettacolo imprevedibile, nel corso del quale potevano succedere le cose più inaspettate, sconvenienti, addirittura scandalose: ad andare in scena era “il più nuovo del nuovo” delle culture giovanili e in quel momento storico c’era di che rimboccarsi le maniche.

Niente filtri, niente controlli, niente montaggi: un volo libero affidato –altro segreto di “The Tube”, che lo distingue e lo distanzia da venerabili programmi musicali come “Top of the Pops” o “The Old Grey Whistle Test” – a due formidabili host come la giornalista del Record Mirror Paula Yates e a Jools Holland, pianista dandy di una buona band come gli Squeeze. Paula e Jools sono la miccia capace di far detonare “The Tube”: Paula ha 23 anni, è splendida, acuta, spiritosa, puntuale nel condurre le sue interviste a cavallo tra wit, flirt e ironia, ha un sex appeal straripante e uno stile da icona istantanea. Jools è la coolness declinata nella formula “pub di un quartiere alla moda”: azzimato, pettinatissimo, col suo celebre soprabito di cammello, stabilisce una chimica straordinaria con Paula, in quanto unico capace di non sbalordirsi per le provocazioni e i subitanei detour della biondissima partner.

A fare da corte alla coppia, c’è un plotone di giovani conduttori, per lo più incaricati dei servizi filmati da tutto il mondo (Los Angeles è la location prediletta, per la sua opposizione assoluta alle sfumature di grigio di Newcastle) e di presentare le 3 o 4 band che si esibiscono dal vivo nello studio della trasmissione (nella prima puntata arrivano tra gli altri gli Heaven 17).

Nella prima parte del programma i set musicali s’alternano alle sortite di comici emergenti come un travolgente Vic Reeves o il poeta punk Mark MiWurdz, alle interviste dei conduttori, ai videoclip (prodotto ancora innovativo, in quel momento) e a panoramiche inedite sulle sottoculture giovanili (nel primo numero le fanzine mod).

Poi, nella seconda parte dello show, tocca all’attrazione principale, che sul palco di The Tube tiene un vero live concert per i fans incollati al video ai quattro angoli del paese: nella puntata inaugurale tocca niente meno che a The Jam di Paul Weller, che approfittano dell’occasione per annunciare il loro scioglimento. L’elenco è da brividi, perché le etichette fanno subito a gara per spedire i loro talenti su questa ribalta nazionale così alla moda: arrivano i Big Audio Dynamite e i Cocteau Twins, Elvis Costello e Billy Bragg, i Cramps e il Culture Club, i Cure e i Damned, i Depeche Mode e i Dexys Midnight Runners, i Dire Straits e Ian Dury, Echo and the Bunnymen e gli Eurythmics, Frankie Goes to Hollywood, e Grandmaster Flash, i Madness e i New Order, Robert Palmer e i Pet Shop Boys, The Pretenders e Public Image, Rem, Tom Robinson, Sade, Simple Minds, Siouxsie, gli Smiths, gli Spandau, U2, Ultravox, Tom Waits e un’infinità di altri, nelle 121 puntate dello show disseminate nel cuore degli anni Ottanta.

Lo stile televisivo è ruvido, frenetico, volutamente approssimativo, anche se le interviste sono approfondite e i servizi curati. I conduttori e i loro aiutanti – tra gli altri, magnifiche Leslie Ash e Muriel Gray agli esordi – parlano un inglese (in certi casi scozzese) quasi incomprensibile, carico di slang e degli accenti gutturali che allora facevano trendy.

Su tutto tira un vento di libertà creativa che dev’essere stata eccitante da vivere e rinfrancante da vedere. La tv sembrava conquistata dall’onda giovanile che stava travolgendo il mondo. I successivi cambiamenti sarebbero stati per forza sorprendenti, stimolanti, capaci di offrire uno strumento inedito alla diffusione alla condivisione di queste culture. Peccato che invece tutto andrà al contrario. Il grande sonno divorerà l’antenna. Il digitale lo narcotizzerà. E “The Tube” oggi appare un oggetto culturale da maneggiare con cura al limite della venerazione. Cosa che farebbe sganasciare dalle risate i suoi non convenzionali protagonisti. 

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