Non solo forestePerché l’Ue deve ridurre la sua pressione sugli ecosistemi del mondo

Ci sono i polmoni verdi, certamente, ma anche savane, torbiere e zone umide. Serbatoi di vita, vegetale e animale, magazzini di carbonio, e sempre più anche fornitori di materie prime che confluiscono nel Vecchio continente (e compromettono il futuro di queste aree)

Unsplash

Rappresentano uno scrigno di biodiversità e, insieme, un nostro importante alleato nella gestione dell’attuale emergenza ambientale e climatica. Sono le foreste, le savane, le mangrovie cioè biomi che, insieme alle torbiere e altre zone umide, permettono la vita sulla Terra e dunque la nostra sopravvivenza, oltre a garantire identità culturale a migliaia di popolazioni indigene e comunità locali. 

Se è vero che a Glasgow i leader di gran parte dei paesi del mondo hanno trovato un accordo comune per porre fine alla deforestazione entro il 2030, un bel passo in avanti calcolando che negli ultimi 30 anni abbiamo polverizzato circa 420 milioni di ettari di questi polmoni verdi (un’area grande quando l’Unione europea), è altrettanto vero che intere altre aree del pianeta risultano senza difesa. 

«C’è il rischio che una tutela legislativa concentrata solo sulle foreste provochi un ulteriore repentino aumento della produzione di beni negli altri ecosistemi», si legge in un’indagine condotta dalla società di consulenza ambientale inglese 3keel su commissione del Wwf. «Escludendoli, è difficile vedere come le ambizioni ambientali europee – “avere un impatto ambientale neutrale o positivo” (Strategia Farm to Fork) o diventare neutrali dal carbonio entro il 2050 (European Green Deal) – possa realisticamente essere raggiunti a pieno».

È vero, il Parlamento europeo nel 2020 ha chiesto alla Commissione una legge per bloccare la conversione dei terreni per soddisfare la domanda di prodotti da importare nel Vecchio Continente, auspicando l’estensione della protezione “a ecosistemi con alta biodiversità e stock di carbonio (dunque non solo foreste, ndr) così da evitare che la pressione venga trasferita dai boschi a questi ecosistemi”. È però altrettanto vero che il 17 novembre 2021 la Commissione europea ha proposto una legge che richiede alle aziende di condurre un’attività di raccolta e verifica di informazioni (due diligence) sui venditori e sulle merci fino al luogo di produzione, assicurando così che i prodotti in arrivo nel mercato europeo non siano causa di deforestazione. Dunque, come si legge nel report, “il regolamento non considera la conversione di altri ecosistemi naturali oltre alle foreste”.  

Pensiamo ad esempio alle sopracitate savane che, ricordiamolo, occupano più del 10% delle terre emerse – le troviamo in parte del Brasile e dell’India e Australia, oltre ovviamente all’Africa equatoriale e al Madagascar – e insieme alle altre praterie sono in grado di trattenere due volte la quantità di anidride carbonica delle foreste tropicali (dati indagine di 3keel Oltre le foreste). Parallelamente, la distruzione delle torbiere è responsabile del 5% delle emissioni di gas serra, il doppio del traffico aereo globale. Questi immensi e fertili “contenitori” di vita, vegetale e animale, sono oggi sottoposti a una elevatissima velocità di distruzione, specie nelle aree tropicali e subtropicali del pianeta, a causa della produzione di materie e prodotti agricoli e zootecnici (e ovviamente forestali). 

Si tratta di un problema che ci riguarda da vicino, non solo perché questo galoppante degrado alimenta il cambiamento climatico – un problema, come sappiamo, senza confini – ma anche perché parte del problema sono proprio azioni di noi europei.

Leggendo i dati dell’indagine condotta da 3keel emerge, ad esempio, che più di metà del Cerrado brasiliano, che ospita la savana con maggiore biodiversità al mondo, è stato cancellato per far spazio soprattutto alla coltivazione intensiva di soia e la produzione (sempre intensiva) di carne. Un dato poco rincuorante: le importazioni di carne dal Cerrado nell’Unione ammontavano nel 2019 al 26% del totale importato, e quasi un quinto della carne esportata dalla regione. 

E, ancora, circa il 14% del Chaco argentino, mosaico di praterie e savane, è stato convertito ad agricoltura durante gli anni 2000 principalmente per produzione di soia. Nel 2019, la Unione europea ha importato circa il 24% di tutta la soia esportata dalla regione. 

Inoltre, il 94% delle torbiere di Sumatra sono state convertite o degradate per produrre olio di palma, gomma naturale e piantagioni arboree per produrre cellulosa (circa il 19% delle importazioni europee di gomma naturale e il 14% di olio di palma provengono da Sumatra). 

Infine, il bacino centrale nella Repubblica Democratica del Congo, regione di foreste e zone umide, ricomprende il più grande complesso di torbiere al mondo con circa 30,6 miliardi di tonnellate di carbonio trattenute nel sottosuolo. Ebbene, il 20% di tutto il legno esportato da questa area arriva proprio nel Vecchio continente.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club