Prima la galeraL’inquietante sintonia di Letta e Meloni contro il referendum sulla carcerazione preventiva

Sia il segretario dem che la leader di Fratelli di Italia vogliono mantenere la pena anticipata come deterrente per i reati che fanno paura ai rispettivi elettorati: corruzione, evasione fiscale a sinistra, spaccio e immigrazione a destra. Il partito unico delle manette è più forte che mai

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I referendum sulla giustizia sono stati privati del pezzo più pregiato, in termini simbolici e propagandistici, quello sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. E la sentenza – possiamo dire in attesa delle motivazioni – pare contraddire in modo abbastanza evidente la precedente giurisprudenza della Corte. 

Nel 1987, infatti, dal Palazzo della Consulta venne ammesso il cosiddetto Referendum Tortora, che richiedeva esattamente quanto proposto dal referendum dichiarato pochi giorni fa inammissibile dal Presidente Giuliano Amato, in una conferenza stampa tanto incazzosa, quanto irrituale.

Al di là del latinorum costituzionalistico, che in materia referendaria per molti ha da tempo superato il confine dell’arbitrarietà giuridica e della parzialità politica, rimane comunque il fatto che cinque referendum su sei sulla giustizia siano sopravvissuti all’oracolare responso della Corte. 

È un risultato, in ogni caso, quantitativamente ragguardevole, anche se qualitativamente modesto, considerando che a essere stati bocciati sono stati proprio i referendum su cui, stando anche al sondaggio più recente, si sarebbe riversato il maggiore consenso popolare (eutanasia, droghe leggere, responsabilità dei magistrati), neutralizzando un più che possibile boicottaggio astensionistico. 

Ammettiamo pure che il sospetto per la fortunosa coincidenza sia dovuto al pregiudizio di un profano, digiuno del sapere iniziatico che la Corte distilla in materia referendaria e che si allontana sempre abbastanza fortemente dalla mera applicazione dei criteri previsti dall’articolo 75 della Costituzione. 

Ammettiamo però anche che, tutto sommato, i referendum superstiti saranno utili, se non per avviare la riforma di una giustizia sequestrata dalle minacciose gelosie corporative di una magistratura ben oltre l’orlo di una crisi di nervi e di identità, almeno per catalogare quale sia oggi in Italia il vero bipolarismo in materia di giustizia (e non solo) e quanto poco si attagli a quel simulacro di bipolarismo politico che dovrebbe opporre, in teoria, come una alternativa, centro-destra e centro-sinistra, e che in pratica giustappone e affianca, anche sui temi della giustizia, come mere varianti, gli uguali e contrari populisti e sovranisti, i davighiani rossi e quelli bruni, i fanatici della galera per i colletti bianchi e per i corruttori e gli esaltati della galera per gli invasori neri e per gli spacciatori.

Sul referendum in materia di giustizia più significativo e impopolare – quello sui limiti alla custodia cautelare – la posizione di Enrico Letta e quella di Giorgia Meloni non sono opposte, ma identiche. Entrambi concedono che su questo tema si siano consumati intollerabili abusi, ma ritengono inammissibile che il ricorso alla custodia cautelare, motivato dal rischio di reiterazione del reato, possa valere solo per i reati violenti, di sangue, di mafia o di criminalità organizzata. 

Pensano al contrario che debba rimanere a costituire la deterrenza necessaria per i reati cui maggiormente si legano i disturbati immaginari simbolici dei rispettivi elettorati: corruzione, evasione fiscale e malversazioni assortite a sinistra; spaccio, immigrazione e microcriminalità a destra.

L’idea di non potere promettere una dose di galera anticipata ai nemici del popolo non lascia tranquilli i due più strenui alfieri del bipolarismo all’italiana. E non sorprende che anche il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte sia della partita. Del resto, il matrimonio tra Letta e Conte non è di interesse, ma di amore, di corrispondenza di appassionati sensi per quel momento magico del circo mediatico-politico che è la comunicazione e il commento di un arresto eccellente.

Non è evidentemente un caso che le forze politiche più propense a mantenere pene anticipate – che colpiscono persone innocenti, cioè non ancora condannate in via definitiva e questo vale anche per il decreto Severino – siano proprio quelle che oggi potenzialmente si contenderebbero Palazzo Chigi. Il che conferma che populisti e sovranisti sulle libertà personali, sulle garanzie processuali, sul diritto di difesa e sulla presunzione di innocenza la pensano esattamente allo stesso modo, anche se prestano un volto diverso – per allure, status sociale e censuario, passaporto e magari pigmento – al colpevole designato a finire esemplarmente in ceppi prima della sentenza definitiva, per soddisfare l’ansia anticipatoria di giustizia della brava gente.

Le convergenze parallele di Letta e Meloni attestano insomma che, nella politica italiana che conta, la galera non è una delle forme di esecuzione della pena, ma rimane la vera sineddoche della giustizia e il partito unico delle manette e del populismo penale è ben più forte delle presunte differenze tra destra e sinistra.

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