Carovita e inflazioneLandini dice stop agli aiuti a pioggia, Sbarra chiede un patto per proteggere i salari

«È il momento di una legge sulla rappresentanza e di riconoscere ai contratti nazionali il ruolo di autorità salariale che aumenti il potere d’acquisto», spiega il leader della Cgil. Secondo il segretario della Cisl, «pensare di poter risolvere tutto con il tratto di penna di un salario minimo legale o di una nuova “scala mobile” mascherata è puramente illusorio».

(Unsplash)

«Mi preoccupa la distanza del quadro politico dal Paese reale. Ci sono riforme urgenti da realizzare e noi chiediamo che il sindacato sia coinvolto, prima di decidere». Lo dice Maurizio Landini, segretario della Cgil, in un’intervista al Corriere. E poi «vanno aumentati i salari, che sono tra i più bassi in Europa: non è più tollerabile». E «invece dei bonus a pioggia, servono incentivi mirati come in Francia per aprire e sostenere il mercato dell’auto elettrica. Con i bassi salari attuali, i lavoratori rischiano di non potersela permettere».

Il leader sindacale nei giorni scorsi è stato protagonista di uno scontro a distanza con il presidente di Confindustria Carlo Bonomi sulla necessità di adeguare i contratti nazionali all’inflazione crescente. Bonomi ha invitato il sindacato ad accettare contratti aziendali di produttività. Landini rimanda ai contratti nazionali, ma non accenna all’introduzione del salario minimo a cui ha fatto riferimento il ministro del Lavoro Andrea Orlando.

«Noi siamo per stabilizzare i precari, sia nel pubblico che nel privato», dice Landini. «Siamo per investire in formazione, perché fa la differenza. In vent’anni la contrattazione aziendale non è cresciuta, sono cresciuti i contratti nazionali pirata. È il momento di una legge sulla rappresentanza e di riconoscere ai contratti nazionali il ruolo di autorità salariale che aumenti il potere d’acquisto».

Ma dove trovare le risorse? «Sul piano delle politiche pubbliche, con un piano fiscale a favore di chi lavora», risponde. «La crescita dei salari è la condizione perché riprendano i consumi. Non è il momento di un riformismo competitivo di cui parla Bonomi. Ma del riformismo cooperativo, della giustizia sociale, con un fisco che colpisca la rendita finanziaria, l’evasione e l’elusione, liberando risorse per i redditi e le pensioni più basse».

Landini però dice che non vede le condizioni «di un generico patto sociale e di una indistinta concertazione». Perché, spiega, «penso ad accordi precisi. In primo luogo: basta precarietà. Cancelliamo forme contrattuali assurde come il lavoro a chiamata, intermittente, i tirocini extra-curriculari, definendo un unico contratto di inserimento al lavoro a contenuto formativo e finalizzato alla stabilità».

Secondo Landini la politica industriale manca «da anni». E «manca un’azione del governo e delle politiche pubbliche, anche sugli investimenti». Mentre la transizione verso l’auto elettrica «va governata. I sindacati metalmeccanici e Federmeccanica, di Confindustria, hanno chiesto un tavolo di confronto alla presidenza del Consiglio». Risposte? «Ancora no, ma è un’emergenza. In Italia abbiamo una capacità produttiva da 1,5 milioni di auto e ne facciamo meno della metà. Tutto ciò va incoraggiato con politiche industriali che portino Stellantis a svolgere un ruolo da protagonista. Bisogna favorire le aggregazioni nella componentistica, dove abbiamo notevoli competenze. Serve un ruolo pubblico d’indirizzo o perderemo posizioni».

La posizione della Cisl
E se Landini non crede alla possibilità di un patto sociale, a chiederlo – in un intervento scritto sulla Stampa – è il segretario della Cisl Luigi Sbarra. «Occorre un patto sociale anti-inflazione cosi come avvenne nei primi anni Novanta», scrive. «Tuttavia questa crisi si propaga con dinamiche molto diverse rispetto a quelle che abbiamo conosciuto trent’anni fa, e richiede per questo soluzioni diverse e specifiche».

«Si vedrà se, come affermano alcuni osservatori e come ci auguriamo, la fiammata è destinata a spegnersi entro l’anno. Ma nel frattempo non possiamo restare a guardare l’incendio erodere reddito e risparmi di lavoratori e pensionati, competitività e sostenibilità produttiva delle imprese, decine di migliaia di posti di lavoro. Di fronte alle complesse variabili di questo stallo, dovremmo riporre i furori ideologici e aprire a una nuova politica dei redditi generata da un accordo triangolare». Ovvero, spiega, «mondo del lavoro, imprese e governo devono ritrovarsi dalla stessa parte. Bisogna sostenere i ceti fragili e le imprese in difficoltà, rafforzare il fondo contro il caro bollette anche con un nuovo scostamento di bilancio, mettere in campo una riforma del fisco che abbatta il cuneo e abbassi la pressione dei primi scaglioni Irpef. Le relazioni industriali sono un motore determinante, da valorizzare e far evolvere in senso partecipativo, estendendo e rinnovando i contratti in scadenza. Oltre a sostenere le fasce deboli, come datore di lavoro il governo è chiamato a dare un segnale forte, affrontando il tema dell’adeguamento salariale ai tavoli dei settori pubblici».

Anche il Patto della fabbrica, siglato da Cisl, Cgil, Uil e Confindustria, «va aggiornato aprendo un confronto responsabile, tenendo conto dei rincari delle materia prime che pesano sia sui costi delle imprese, sia sul potere d’acquisto dei salari», dice Sbarra. «Giusto avviare una verifica su una possibile revisione dell’indice Ipca, da cui oggi vengono detratti gli effetti dell’andamento dei costi energetici importati. Ma l’accordo del 2018 non va assolutamente smantellato e resta fondamentale per ritrovarci su regole condivise in questa delicatissima fase di transizione. Occorre piuttosto verificare se i rincari che oggi vengono attribuiti alla crescita del costo del gas siano effettivamente da imputare solo all’aumento del prezzo o siano piuttosto l’effetto, almeno in parte, di una speculazione sui prezzi delle bollette, tutta nostrana, i cui effetti, quindi, non dovrebbero essere detratti dall’Ipca. Peraltro se questa “sensazione” trovasse conferma, il primo intervento dovrebbe proprio riguardare i criteri di formazione dei prezzi dell’energia e questo, da solo, potrebbe già ridurre radicalmente il problema».

Secondo Sbarra, inoltre, il welfare negoziato e gli accordi di produttività «in questa fase vanno detassati abbandonando il criterio incrementale. C’è da imprimere una svolta per diffondere la contrattazione territoriale, fino ad ora raramente praticata». Resta poi «essenziale sbloccare gli investimenti per spezzare le diseconomie e rilanciare una crescita da redistribuire su salari, pensioni e famiglie. Specialmente al Sud vanno migliorati i servizi e le infrastrutture materiali e sociali, che sono parte integrante delle retribuzioni reali».

Ma, conclude Sbarra, «pensare di poter risolvere tutto con il tratto di penna di un salario minimo legale o di una nuova “scala mobile” mascherata è puramente illusorio. Non solo non risolve il problema, ma si rischia di peggiorarlo, facendo uscire nel primo caso milioni di persone dal perimetro della buona contrattazione e delle buone tutele che solo un Ccnl può garantire, e nel secondo innescando ulteriori dinamiche inflative». Non bastano «accordi di piccolo cabotaggio», ma «una intesa complessiva e organica, con un nuovo patto sociale che metta ogni tessera del mosaico nella giusta posizione per costruire le basi della ripartenza e dare impulso a un modello di sviluppo più solidale, competitivo, partecipativo».

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