L’energia nucleare è un tema che, nel bene e nel male, non lascia indifferenti. Gli esecutivi nazionali, le opinioni pubbliche e le associazioni ambientaliste dibattono, si scontrano e talvolta concordano in merito al suo utilizzo e alle sue potenzialità. Il disastro nucleare di Chernobyl, avvenuto oltre trent’anni fa e i suoi effetti sulla salute pubblica continuano a turbare un certo numero di individui. Sullo sfondo, poi, c’è anche la questione delle scorie nucleari, potenzialmente pericolose per migliaia di anni e del loro smaltimento.
I sostenitori del nucleare affermano, invece, che questo tipo di energia può essere considerata pulita perchè riduce la dipendenza dai combustibili fossili, altamente inquinanti. Bruxelles vuole ridurre a zero il proprio impatto ambientale e per centrare questo obiettivo ha varato nuovi piani che prevedono che il gas naturale e il nucleare verranno considerati “sostenibili” se rispetteranno alcuni criteri. Tra questi ci sono un basso livello di emissioni e la presenza di fondi e piani per lo smaltimento dei rifiuti. Il bollino di sostenibilità consentirà agli investitori di puntare su queste risorse ma ha aperto un fronte di scontro nell’Unione. Austria e Lussemburgo hanno promesso azioni legali, la Germania e i Verdi hanno espresso critiche. Le nazioni che usano il nucleare, come la Francia, sono con la Commissione. I Paesi che dispongono di reattori operativi sono 13: Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Romania, Slovenia, Spagna, Slovacchia, Svezia e Ungheria.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha promesso una forte espansione del programma nucleare nazionale con la costruzione di una serie di impianti e di 14 reattori di ultima generazione. L’annuncio ha colto di sorpresa gli osservatori dato che il Capo di Stato si era impegnato, in precedenza, a ridurre la dipendenza della Francia dall’atomo. Parigi intende rafforzare le propria posizione di principale produttore di energia atomica in Europa e rendere l’azienda statale Électricité de France più competitiva sui mercati internazionali. Il cambiamento climatico e il ruolo potenziale dell’industria nucleare sono diventati argomenti centrali nel dibattito elettorale in vista delle elezioni presidenziali e tutti i partiti politici, con l’eccezione dei Verdi, hanno chiarito come l’energia nucleare sia necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici.
Sei dei dieci Paesi dell’Europa Occidentale che hanno sperimentato un’evoluzione del nucleare hanno annunciato politiche di phase-out (abbandono) ma solo alcuni, come la Germania, le hanno portate a termine prima della fine della vita degli impianti. Svezia, Svizzera, Finlandia e Paesi Bassi prevedono di tenere accessi i propri reattori fino al compimento dei 60 anni mentre Belgio e Spagna intendono limitarsi a 50 anni.
La Germania ha deciso di accelerare l’abbandono del nucleare in seguito a tragico incidente avvenuto nel 2011 a Fukushima. In quell’occasione sono stati spenti, in via permanente, otto impianti e in seguito il Parlamento federale ha deciso di limitare l’operatività dei restanti nove, destinati ad andare progressivamente in pensione. Gli ultimi tre cesseranno le proprie attività nel dicembre 2022. L’artefice formale della dismissione fu l’ex cancelliera Angela Merkel ma anche l’opinione pubblica, con una serie di proteste massicce, contribuì in maniera determinante a questa decisione. Il governo tedesco sta investendo da tempo sulle rinnovabili e in questo senso la strada sembra ormai tracciata ma bisognerà comunque affrontare il problema dello smantellamento dei reattori, un’attività laboriosa che richiederà almeno fino al 2040.
In Europa orientale tutti e sette i Paesi nucleari prevedono che i propri reattori supereranno i 60 anni di vita e alcuni hanno annunciato il lancio di nuovi progetti che dovrebbero essere completati entro il 2030. La Bulgaria ha approvato la realizzazione di una settima unità presso la centrale di Kozloduy, l’unica della nazione, utilizzando apparecchiature fornite dai russi. L’Ungheria costruirà un nuovo reattore presso il suo impianto di Paks mentre in Slovacchia due nuovi reattori, il 3 e il 4, andranno ad arricchire il sito Mochovce. Il nuovo governo della Repubblica Ceca, dove sono già presenti sei reattori, ha riferito di voler abbandonare il carbone in favore del nucleare, grazie alla finalizzazione di un piano per la costruzione di un nuovo reattore e delle risorse rinnovabili. Bucarest ha adottato una nuova strategia energetica che prevede il raddoppio della capacità nucleare della Romania con la costruzione di due nuove unità presso la centrale di Cernavoda. I due reattori presenti erano entrati in funzione nel 1996 e nel 2007 ma i progetti espansivi erano stati bloccati per molti anni. Le cose sembrano essersi sbloccate e dovrebbero mutare entro il biennio 2030-2031.
In Estonia il primo ministro Katja Kallas e il ministro dell’Economia Taavi Aas si sono dimostrati favorevoli alla costruzione, in un prossimo futuro, del primo impianto atomico del Paese. L’obiettivo è quello di proteggere l’economia nazionale dalle ricadute della crisi energetica e proprio a questo scopo, sin dall’estate del 2020, è stato creato un gruppo di lavoro sull’energia nucleare per esplorare le potenzialità di questa soluzione. La posizione assunta da Tallinn è molto diversa da quella di Lettonia e Lituania, gli altri due Stati Baltici che hanno deciso di rinunciare da tempo al nucleare. Vilnius si è impegnata a chiudere i reattori nucleari della centrale di Ignalina nel 2004 per poter accedere all’Unione Europea e lo smantellamento della prima unità è iniziato nel 2010 per completarsi nel 2016. Il reattore lettone di Salaspils, entrato in funzione nel 1961, non è più attivo dal 1998 e Riga ha cercato, per anni, i finanziamenti necessari per il suo smantellamento.
Tra le nazioni più contrarie all’energia nucleare c’è sicuramente l’Austria che, in seguito al risultato di un referendum svoltosi il 5 novembre del 1978, decise di rinunciare all’atomo e di chiudere una centrale appena costruita e mai entrata in funzione. Il referendum passò per il rotto della cuffia, con appena il 50.5 per cento dei voti in favore e costrinse il Parlamento a esprimersi contro l’edificazione di nuove centrali nucleari e la messa in funzione di quella già costruita. Nel 1999 una legge costituzionale, votata all’unanimità dagli organismi legislativi, ha proclamato definitivamente l’Austria «Paese libero dal nucleare».
In Italia il sentimento popolare antinucleare, alimentato dalla paura dopo il gravissimo incidente di Chernobyl, trovò sfogo in alcuni referendum abrogativi che vennero votati nel novembre del 1987. I quesiti, pur non avendo come oggetto diretto l’abbandono del nucleare quanto un suo ridimensionamento, videro una netta vittoria del Sì. Ciò spinse i principali partiti politici ad aderire alle posizioni antinucleari e le quattro centrali esistenti divennero ben presto un lontano ricordo. Nel 2011 il 94 per cento dei votanti si è espresso contro il ritorno al nucleare nell’ambito del referendum svoltosi in quell’anno. E la percentuale bulgara emersa dalle urne sembra aver chiuso, almeno per il momento, l’apertura di nuove discussioni in materia.