Dopo lo stop della Corte Costituzionale all’eutanasia attiva, è arrivato il no anche al quesito sulla cannabis e per la responsabilità diretta dei giudici. La Consulta ha bocciato tre referendum. Ma altri cinque li ha promossi. E tutti sulla giustizia. «Una vittoria», ha detto subito il leader della Lega Matteo Salvini che li ha promossi assieme ai Radicali.
Si voterà sul decreto Severino che prevede la non candidabilità e la decadenza degli eletti nelle istituzioni che hanno subito una condanna a due anni, sulla separazione delle carriere, e anche sulla stretta alle misure cautelari (resterebbero in piedi solo per pericolo di fuga, no per inquinamento delle prove o rischio di commettere il delitto di nuovo). La parola ai cittadini anche sugli avvocati con diritto di voto, oltreché di parola, nei consigli giudiziari, nonché sulle candidature per il Csm senza l’obbligo delle firme dei sostenitori (da 25 a 50) in chiave anti correnti.
Il pericolo, adesso, però è che la saldatura tra il via alla campagna referendaria e gli interessi della campagna elettorale possa far saltare il processo delle riforme avviate.
«Mi auguro proprio di no, ma non vedo il pericolo», dice David Ermini, vicepresidente del Consiglio Superiore della magistratura, a Repubblica. «Sarà il Parlamento ad affrontare quei temi per i quali la Corte costituzionale ha ammesso i referendum».
«Da parte nostra», dice, c’è «grande serenità di fronte ai referendum, un momento essenziale di coinvolgimento democratico dei cittadini». E comunque, precisa, «a riforma già incardinata, il Parlamento nelle prossime settimane esaminerà i temi oggetto dei quesiti ammessi e credo che darà una risposta più sistematica e precisa di quella che può provenire dallo strumento referendario, ma cogliendone lo spirito».
Sulla separazione delle funzioni: Csm e Anm si erano espressi contro. Se passasse il Sì, il magistrato potrà cambiare funzione una sola volta. «La riforma Cartabia già li limita a due, ma nella pratica, i passaggi in carriera da pm a giudice o viceversa sono già poco frequenti», commenta Ermini. Anche l’eliminazione delle 25 firme per la candidatura al Csm è superata dalla riforma: «È un quesito, per così dire, già assorbito dal maxi emendamento del governo. Così come quello sul diritto di voto degli avvocati nei consigli giudiziari».
Ci sono però due temi cruciali, che restano fuori dalla riforma del Csm: lo stop alla custodia cautelare e la cancellazione della legge Severino. «Saranno i cittadini a stabilirlo, accogliendo o bocciando il quesito», dice Ermini. «Mi concentro sulla custodia cautelare: direi che, più che altro, è un referendum che potrebbe condurre a risultati diversi da quelli che si dice di voler perseguire; si rischia di frustrare l’esigenza di impedire la reiterazione di reati anche molto gravi. E di non consentirne l’efficace repressione. Ho sempre pensato che alla custodia cautelare si debba ricorrere con estrema prudenza e fondate ragioni e mai possa tradursi in anticipazione della pena, ma il vero problema in realtà è la celerità dei processi».
Ma sulla riforma del Csm, prima dell’elezione di giugno, «bisogna assolutamente fare in tempo. Se non si riuscisse, sarebbe un fallimento per tutti. Il Consiglio dei ministri ha varato il testo all’unanimità, ora non c’è alcuna giustificata ragione per la quale la riforma, ferme restando eventuali modifiche che spettano solo al Parlamento, non debba arrivare in porto».
Resta il nodo del sistema elettorale, però. Con Lega e Forza Italia che insistono sul sorteggio. «Il sorteggio è la delegittimazione», dice Ermini. «È “l’uno vale uno” che dopo aver fallito in politica si vuole imporre al Consiglio superiore. In ogni caso, il Csm si esprimerà, col suo parere, anche su questo aspetto. Ma più in generale credo che la magistratura possa riscattarsi se smette di guardare al suo interno. Resti indipendente e autonoma quando giudica, ma non può essere indifferente al giudizio dei cittadini. Non è un problema di consenso, ma di credibilità e fiducia».
E sull’Alta Corte per giudicare i magistrati chiesta dal Pd e sgradita all’Anm, dice: «Idea interessante. Un’Alta Corte che giudicasse tutti i magistrati e decidesse sui provvedimenti del Csm avrebbe due vantaggi: servirebbe a uniformare i procedimenti e riporterebbe su un binario fisiologico il controllo delle delibere consiliari scongiurando virtuali contrasti con la magistratura amministrativa».