Pubblichiamo il discorso integrale di Matteo Renzi pronunciato davanti alla Giunta per le Immunità sul conflitto di attribuzione contro i pm fiorentini per il caso della Fondazione Open che lo vede indagato per finanziamento illecito.
Signor Presidente del Senato, membri del Governo,
desidero innanzitutto ringraziare i componenti la Giunta, il suo Presidente e l’onorevole relatrice per il lavoro che hanno svolto e che – come veniva ricordato dalla collega Modena – ha portato anche alla mia audizione.
Il 22 febbraio del 2022 è un giorno palindromo: i numeri possono essere letti in entrambe le direzioni, ma il concetto non cambia. La realtà, tuttavia, non è palindroma: non è che leggendo all’incontrario le situazioni, dando una versione opposta alle cose, arriva lo stesso risultato; anzi.
Chi oggi, in quest’Aula e altrove, dice che siamo in presenza del tentativo di un senatore di allontanarsi dal suo processo mente sapendo di mentire.
Quello che la Giunta – come testé ribadito dalla relatrice – propone all’Assemblea è un conflitto di attribuzione che nulla ha a che vedere con la posizione personale dell’imputato. Non cambia alcunché nel processo che mi riguarda. Perché allora siamo qui? Siamo qui perché su questo tema si gioca una battaglia di civiltà giuridica e di dignità della politica.
Oggi non parliamo di me; parliamo di noi, di voi. Qui non parliamo di Leopolda; parliamo del Senato della Repubblica, del Parlamento della Repubblica. Qui non parliamo di fondazione, parliamo di Costituzione.
La domanda alla quale voi, onorevoli colleghi, quest’oggi dovete dare una risposta è se in questo Paese l’articolo 68 della Costituzione, del quale si discute una possibile novella, è ancora in vigore o non vale più. Quantomeno non vale per i pm fiorentini. Per la credibilità delle istituzioni questo è un giorno nel quale bisogna leggere le cose nella giusta direzione e non al contrario.
Perché si parte da Open, allora? – vi domanderete.
Perché si parte dalle carte illegittimamente acquisite dalla procura fiorentina? Illegittimamente non perché lo dice la difesa di un imputato; non perché lo dice un partito politico; non perché lo dice la relatrice di un provvedimento; non perché lo dice il Presidente della Giunta, ma perché lo dice la Corte di Cassazione.
E lo dice con cinque sentenze. Cinque! Un inedito: cinque sentenze della Corte di Cassazione che hanno annullato i provvedimenti richiesti dalla Procura di Firenze, soltanto nella fase preliminare. Cinque su cinque. La Corte di Cassazione, in queste cinque sentenze, dice che sono stati illegittimamente acquisiti documenti, che dunque non andavano acquisiti.
Vedete, onorevoli colleghi, questo semplifica la nostra discussione. Che i pubblici ministeri di Firenze non abbiano rispettato le regole è un tema pacifico. Non è oggetto di discussione tra di noi. Lo ha statuito la Corte di Cassazione per cinque volte.
Allora cosa stiamo facendo? Un attacco della politica alla magistratura? Si vergogni chi lo pensa. Si vergogni chi pensa che qui stiamo attaccando la magistratura.
Noi stiamo rispettando la magistratura al punto da citare la Corte di Cassazione. Noi stiamo chiedendo che la politica faccia i conti con la realtà, senza alcun attacco alla magistratura, anche perché, a chi dice che ci si difende nel processo, mi permetta, signor Presidente, di richiamare un dato di fatto.
La Cassazione in questo processo ha definito i sequestri effettuati, non sequestri utili a provare un quadro indiziario, ma «un inutile sacrificio di diritti», che arriva a esercitare «una non consentita funzione esplorativa». Chi, come noi, ha una cultura giuridica meno vasta, la chiama pesca a strascico. Si mandano 197 finanzieri, che si tolgono dalla strada e dal lavorare contro le vere truffe le vere invasioni, a prendere i telefonini di persone non indagate. Si compie l’inutile sacrificio di diritti e si prova la funzione esplorativa non consentita.
Ma che questa vicenda abbia un richiamo e una rilevanza politica, grazie alla volontà di tutti i Gruppi, è già stato oggetto di discussione in quest’Aula nel dicembre del 2019. Allora io ho detto, e lo ripeto oggi, che i pubblici ministeri fiorentini hanno deciso di imbastire, non già un’indagine per finanziamento illecito, per ricostruire il denaro che sarebbe stato illegittimamente preso da una fondazione o dall’articolazione di partito, ma per definire le forme della politica.
Attenzione! Questo è un passaggio molto importante. In questa vicenda i denari sono trasparenti, sono tutti lì, tutti bonificati. Non bisogna andare a ricostruire del flusso di denaro, magari con un’attenta azione investigativa, per cui si va a cercare dove erano quei denari. No, perché in questa vicenda i denari sono bonificati, trasparenti, sotto il controllo delle autorità di vigilanza, a cominciare da Banca d’Italia.
L’indagine qui non è sui soldi. Non è un indagine sulla ricostruzione del finanziamento di denaro e del flusso di denaro. L’indagine qui è su che cos’è un partito e cosa non è. L’indagine non vuole mettere in discussione i denari, della cui tracciabilità nessuno dubita. Sono tutti bonificati, anche prima che la legge imponesse per tutti il bonifico bancario.
Diciamo a chi ci segue da casa che, con la legge del 2014, tutti i denari destinati ai partiti politici devono essere bonificati. Quindi, sono tutti tracciati; non c’è più un problema di trasparenza. Si può discutere delle opportunità, ma tutto è tracciato. No: l’indagine parte dall’assunzione del fatto che il giudice penale desidera stabilire che cos’è una corrente di partito, come si deve organizzare, quali modalità concrete di organizzazione della politica si possano fare oppure no. E pensa di poterlo fare il giudice penale.
Signora Presidente, richiamo l’attenzione dei colleghi. Questo passaggio può sembrare banale, ma è decisivo perché laddove il giudice penale interviene nelle dinamiche organizzative della politica viene meno il concetto di separazione dei poteri e la libertà del Parlamento di definire le modalità democratiche della politica.
Ci rendiamo conto di cosa stiamo parlando, o no? Parliamo di questo.
Il finanziamento illecito alla politica ha scritto la storia di questo Paese degli ultimi trent’anni e si è aperta una discussione – credo opportuna – su quanto è accaduto.
Tuttavia in questo caso non è come in passato, quando i pubblici ministeri si facevano spiegare dai segretari amministrativi, cioè i tesorieri, il flusso di denaro. Qui siamo in un momento nel quale i pubblici ministeri si determinano come nuovi segretari organizzativi dei partiti, forse perché i partiti non sono più messi bene come prima.
Lasciatemi dire che, di fronte a questo, il Costituente ha fatto fatica nella definizione dell’articolo 49 della Costituzione. I lavori dell’Assemblea costituente andrebbero riletti. L’articolo 49 della Costituzione è stato oggetto di grande discussione e dibattito e la legge attuativa è sempre stata molto difficile. Il «concorrere con metodo democratico» alla vita del Paese è un tema sul quale chi ha studiato giurisprudenza sa che si sono scritti tomi e tomi.
L’idea che tutto questo dibattito culturale, sociologico e politico che attiene alle forme della democrazia liberale possa portare nel 2022 a un giudice penale che decide che cosa è la corrente di un partito e cosa non lo è dovrebbe far scattare un campanello d’allarme. Onorevoli colleghi, nelle democrazie occidentali non è il giudice penale che decide che cosa è partito e cosa no.
Pensate – ironia della sorte – che questo è un processo nel quale l’accusa porta a testimoniare dei colleghi, in alcuni casi anche amici, che facevano parte del partito al quale io appartenevo. Quindi, l’accusa è fatta di testimonianze di politici e la difesa di sentenze della Cassazione. Giudichino i signori senatori chi è che sta portando la politica dentro la magistratura.
Noi ci difendiamo con le sentenze della Cassazione e siamo cresciuti nell’università di quella città, da cui parte l’indagine, che aveva Piero Calamandrei come punto di riferimento. Ricordiamo la frase «Quando la politica entra dalla porta del tempio, la giustizia fugge impaurita dalla finestra per tornarsene al cielo»: lo diceva Piero Calamandrei e credo che sia quanto mai vero in questo momento.
Il punto del contendere non è neanche il metodo di lavoro di quella procura, di cui non parlerò: l’ho già stigmatizzato in altre sedi e non riguarda il dibattito parlamentare. Penso che valga per tutti il principio per cui la legge è uguale per tutti davvero. Ci può essere una violazione della legge da parte di un magistrato, un senatore o un semplice cittadino: queste tre violazioni debbono essere perseguite allo stesso modo.
Nelle aule di tribunale si legge che «La legge è uguale per tutti»: non per tutti tranne qualche pubblico ministero d’assalto.
Il punto è che se un cittadino che se lo può permettere, per motivi politici anzitutto, decide di denunciare coloro i quali, a suo dire, non stanno rispettando la legge, egli non sta compiendo un atto eversivo, ma sta richiamando al rispetto della legge anche i custodi della legge. Infatti, in questo Paese l’impunità non è consentita a nessuno: non è consentita ai parlamentari – vivaddio – ma nemmeno ai magistrati. E se c’è un’ipotesi di abuso d’ufficio o di non rispetto della legge, richiamare l’attenzione degli altri colleghi magistrati di un’altra procura o un altro tribunale e verificare cosa è accaduto è un fatto di civiltà.
No, noi non stiamo compiendo atti eversivi, né richiamiamo qui ciò che è accaduto a livello personale. Io lo voglio dire ai colleghi che non voteranno la proposta della senatrice Modena e della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari: il punto del contendere non è nemmeno il fatto che con quel metodo di sequestro invasivo, violento, illegittimo, utilizzato dai pubblici ministeri di Firenze, la mia vita privata, personale, familiare, con tutto ciò che questo comporta – perché la politica è importante, ma la vita lo è di più, signori senatori – questa vita è stata messa in pasto a una clamorosa campagna non soltanto di stampa.
Vi auguro soltanto che non accada a voi ciò che è accaduto a me. Ve lo auguro dal profondo del cuore. Ve lo auguro con il cuore in mano. Posso augurarmi che a voi non accada e non vi venga riservato un trattamento che non soltanto a me è stato riservato. Dal conto corrente privato fino a una lettera che ricevi da tuo padre con considerazioni di natura personale, quella sfera lì è una sfera davanti alla quale se c’è un reato, si persegue, ma se è una sfera di intimità familiare non è consentito a nessuno violentare la vita delle altrui persone pensando che questo sia giusto.
E allora qual è il punto in discussione? Io non voglio fare un dibattito qui su questi trenta anni né sugli ultimi trenta mesi. Se vogliamo fare un dibattito vero, facciamolo anche nei prossimi mesi. Non ha riguardato soltanto la politica e la magistratura il dibattito di questa guerra dei trent’anni che si avvia, speriamo, ad una pace di Vestfalia, che ancora non vediamo. Quella guerra dei trent’anni è una guerra che ha visto sicuramente la magistratura e la politica fare una battaglia dura, ma chi è intellettualmente onesto sa perfettamente che a questa analisi collettiva e catartica che il Paese deve fare, manca un terzo protagonista, che non è soltanto il magistrato o il politico.
Chi vuole bene a questo Paese, chi è intellettualmente onesto sa che ad una riflessione collettiva non può non partecipare anche il mondo dell’informazione e della stampa. Il mondo della libera comunicazione che noi difendiamo fino in fondo, ma che è parzialmente corresponsabile insieme a noi di quello che è accaduto.
Quando infatti le veline di una procura valgono più delle sentenze di una Cassazione perché qualcuno fa il pool di giornalisti che di fatto diventa la gazzetta delle procure, questo tema riguarda anche il mondo dell’informazione che noi difendiamo perché è un guardiano della libertà costituzionale. Noi siamo pronti a tutto pur di difendere la libertà di informazione.
Questa libertà dell’informazione non può vederci però silenziosi di fronte a quello che è accaduto in molti casi. Guardate, la velina della procura vale più della sentenza della Cassazione sui social, nel mondo del populismo, là dove si gioca con gli acchiappa click, ma dove si va a fare una riflessione sul futuro del Paese non è pensabile che notizie prive di rilievo penale vengano pubblicate in prima pagina e trafiletti siano destinati e dedicati a ciò che cambia la vita dei processi con le sentenze della Cassazione.
Non sempre ciò che è virale è vero e se la stampa cede il proprio ruolo di guardiano democratico, noi abbiamo un problema perché il populismo vince non soltanto per debolezza della politica o per responsabilità della magistratura, ma anche per la mancanza di responsabilità da parte della stampa.
Oggi il punto di cui discutiamo è uno ed è semplice. La collega Modena ha ricordato l’articolo 68 della Costituzione. Il Costituente, con capacità di veggenza interessante e significativa, scrive che senza autorizzazione della Camera di appartenenza, è proibito, in qualsiasi forma, acquisire conversazioni o comunicazioni e addirittura arriva a vietare il sequestro di corrispondenza. Questo dice l’articolo 68.
Di fronte a questo, la sintesi è molto semplice; non può essere acquisito senza il parere di questa Aula del materiale che riguarda la comunicazione e la corrispondenza di parlamentari. Perché? È un privilegio, come sostengono i populisti? No, è il frutto di una garanzia che cerca di separare, dopo decenni di cultura giuridica, il potere legislativo da quello esecutivo e da quello giudiziario.
È uno dei capisaldi della democrazia liberale. Sulla spinta dell’indignazione popolare, negli anni Novanta l’articolo 68 è stato riformulato e quella riformulazione oggi impedisce di fare quello che è stato fatto a me e che domani può essere fatto a voi. A me non possono fare altro: hanno già preso dalla corrispondenza del conto corrente, fino alle comunicazioni con gli amici, fino ai telefonini dei finanziatori.
A maggior ragione la nuova formulazione non può essere artamente disattesa ad alcuni. Infatti, a differenza di tanti altri pm che io vorrei ringraziare, perché ce ne sono tanti che rispettano la Costituzione di questo Paese e a cui va la nostra gratitudine, alcuni hanno deciso di attribuirsi anche la funzione di padri costituenti. In questo caso, quindi, abbiamo dei pubblici ministeri che si ritengono depositari di una imprecisata verità fattuale; si ritengono sostituti del potere politico nell’organizzazione delle forme della politica; si ritengono gli ispiratori di articoli, commenti e veline, perché casualmente i dati e le comunicazioni passano nei giorni più importanti, ma addirittura si ritengono padri e madri costituenti, pronti a disattendere il principio e il dettato costituzionale.
Sicuramente tutto ciò è stato possibile anche per colpa della politica. Noi dobbiamo fare la nostra parte di autocritica e di responsabilità. Se la politica fa il suo mestiere, questo non è consentito; se la politica diventa pavida, paurosa, incerta, tentennante, malferma, accade quello che abbiamo visto anche in questi giorni.
Oggi è il 22 febbraio e non è soltanto un giorno palindromo. Per chi viene dall’esperienza educativa scout è la festa mondiale degli scout, la Giornata del pensiero; per chi è cresciuto con l’esperienza del movimento della Rosa bianca, un grande momento di formazione dell’identità europea e un terribile momento con dei giovani ragazzi uccisi dai nazisti il 22 febbraio del 1943, soprattutto i fratelli Scholl, il 22 febbraio è sempre stato speciale.
Il 22 febbraio, però, è anche il giorno nel quale otto anni fa ho prestato giuramento nelle mani del presidente Napolitano come Presidente del Consiglio. Io ho provato a cambiare la Costituzione e non ci sono riuscito, ma l’articolo 138 prevede come si cambia la Costituzione e finché non è cambiata, la Costituzione va rispettata. Chi oggi viola scientemente le prerogative dei parlamentari non sta creando un problema a un singolo parlamentare (che si farà il suo processo a prescindere), ma crea una ferita al Parlamento nella sua interezza.
Quando ho fatto la promessa scout, quando ho giurato sulla Costituzione, quando sono cresciuto con i ragazzi della Rosa bianca come modello, io ho promesso a me stesso che non avrei mai rinunciato a una battaglia per paura. Ho promesso a me stesso che non avrei mai evitato di fare una battaglia di coraggio anche quando gli altri non la fanno. A me questa battaglia non conviene, perché nel momento in cui il processo si mette con cinque sentenze della Corte di cassazione a proprio favore, il primo consiglio che degli avvocati difensori è di star buono da una parte, di fermarsi e lasciare che gli atti parlino per sé.
Questa però è una battaglia che io faccio a testa alta e a viso aperto non per me, ma per la dignità di un’istituzione che in questi anni è stata troppo spesso messa in secondo piano per paura e per pavidità della politica. Io non scappo dal processo: chiedo di essere in condizioni di sollevare conflitto di attribuzione non perché penso che questo possa aiutare il processo nel quale sono impegnato.
Non vi sto chiedendo di respingere un’autorizzazione a procedere. Io non fuggo dalle aule del tribunale; ci vado a testa alta in tribunale, udienza per udienza, a dire perché siamo di fronte a uno scandalo. Tuttavia dico ad alta voce che se qualcuno vuole invadere il terreno della politica, contribuendo a far vincere il populismo che svilisce l’impegno pubblico, a far passare il messaggio che chi fa politica ruba, a dire che sono tutti uguali, io mi alzo in piedi in quest’Aula e dico di no; non mi converrà, ma sono orgoglioso di onorare quella promessa che ho fatto combattendo.
Dico questo perché rubare è reato, l’abuso d’ufficio è reato, non rispettare la Costituzione è reato, violare il segreto istruttorio è reato, diffamare è reato, ma fare politica non è reato e se non capiamo che c’è una differenza abissale tra chi sta cercando di combattere questo e chi scappa dal processo, significa che il giustizialismo è già entrato dentro di noi.
Signora Presidente, ho finito. Pensate alla vita che facciamo tutti noi: riuniamo migliaia di persone, organizziamo iniziative, proviamo a cambiare le cose (talvolta ci riusciamo, talvolta non ci riusciamo), le stesse cose che cerchiamo di fare tutti, a destra come a sinistra. Nel nostro agire rispondiamo (responsabilità) a una chiamata, a una vocazione laica; e questa vocazione laica è l’idea che l’impegno verso gli altri sia una delle cose più belle e più grandi che la vita politica ci possa dare. Se pezzi delle istituzioni, i magistrati, immaginano di fare un processo non sui soldi e sui finanziamenti, ma sul fatto che uno faccia politica e sulle modalità con le quali fa politica, si sta facendo venire meno l’idea stessa dell’impegno collettivo. E allora, a viso aperto, se c’è da denunciare un PM che non rispetta la legge, io lo denuncio.
Se c’è da lottare contro corrente, io lotto. Se c’è da dire che la politica è una cosa seria, io lo faccio, lo faccio a viso aperto, perché penso che, prima del consenso personale, venga la Costituzione, e lo faccio perché so che è una battaglia che vale soprattutto per i ragazzi più giovani. In questi ultimi trent’anni forse, in alcuni momenti, abbiamo perso l’attimo, abbiamo perso l’occasione, è mancato chi si alzasse in questa Aula (ci sono stati dei casi, ma non sufficienti) e dicesse: “difendo la politica”.
Signora Presidente, io otto anni fa ho giurato come Premier. Oggi dico, qui: continuo a difendere l’idea che la politica non faccia schifo, l’idea che la politica sia un valore, l’idea che la politica sia una cosa diversa dal populismo. Lo faccio contro i populisti politici, ma lo faccio anche e soprattutto contro coloro i quali violano le regole della Costituzione, perché pensano di fare paura a chi invece paura non ha e gioca la carta del coraggio, in nome e per conto della dignità della politica.