Nella nebbia di guerra è difficile distinguere informazioni veritiere dalla propaganda degli schieramenti sul campo. I dati sulla partecipazione di forze straniere all’invasione russa sono fra i più difficilmente verificabili, soprattutto in mancanza di testimonianze dirette sul campo.
Per questo anche la notizia di una possibile ondata di diserzioni nell’esercito bielorusso, di cui si sta parlando in queste ore, andrebbe presa con la massima cautela: diversi ufficiali avrebbero contattato l’opposizione ucraina, segnalando la volontà russa di prendere il controllo delle forze bielorusse e coinvolgerle nel conflitto. L’indiscrezione proviene da un’intervista data da Franak Viačorka, uno dei consiglieri della leader bielorussa in esilio Svetlana Tikhanovskaya, a un giornale israeliano.
A ogni modo, la situazione riamane chiara: lo Stato Maggiore ucraino e il ministero della Difesa avevano lanciato numerosi allarmi riguardanti un possibile coinvolgimento delle forze armate bielorusse nell’invasione, segnalando perfino un presunto tentativo russo di creare un incidente sul confine per spingere Minsk a intervenire a fianco del Cremlino.
Il regime di Alijaksandr Lukashenko sembra riluttante a farsi coinvolgere nel conflitto e i canali ufficiali della presidenza e del ministero della Difesa hanno reiterato più volte che nessun soldato bielorusso parteciperà all’intervento militare, nonostante il supporto politico dato da Lukashenko al regime di Putin.
Secondo un sondaggio condotto da Ryhor Astapenia, ricercatore di Chatham House per la Bielorussia, solo il 3% della popolazione sosterrebbe una partecipazione alla guerra. Dal canto suo, Tikhanovskaja ha lanciato un appello ai membri delle forze armate bielorusse, invitandoli a rifiutare ordini in tal senso e mostrandosi lei stessa solidale con l’Ucraina.
Membri dell’opposizione hanno rivendicato le azioni di “cyberpartigiani” che da gennaio operano contro il sistema ferroviario bielorusso, una delle arterie di rifornimento principali per le truppe russe in ucraina. A questi si aggiunge qualche decina di cittadini bielorussi, scappati in Ucraina dopo la repressione del 2020, che a fine febbraio si sarebbero arruolati nelle forze territoriali di Odessa e Kiev.
Al netto di queste considerazioni, Minsk rimane un partner privilegiato nella guerra di Putin. Come la Cina – che sembrerebbe intenzionata a rifornire la Russia con alcuni sistemi d’arma avanzati e strumenti di guerra elettronica – anche il vicino alleato europeo fornisce un supporto politico e logistico importante per Mosca.
Grazie a un referendum tenutosi il 28 febbraio (e indubbiamente pilotato, come le elezioni presidenziali), la Bielorussia ha rinunciato alla propria neutralità costituzionale e permetterà lo schieramento di forze nucleari russe nel Paese, fornendo a Mosca un ulteriore strumento di pressione contro la Nato.
In termini più immediati, il Paese si è fondamentalmente trasformato nella retrovia più importante del fronte, e in particolare per la direttiva nord-sud dalla quale le forze armate russe cercheranno di accerchiare e prendere Kiev.
La maggior parte degli attacchi missilistici rivolti verso la città e le forze ucraine nel nord provengono dalla Bielorussia, che dagli inizi del millennio ha avviato una profonda cooperazione militare con il Cremlino. Dal 2004 esistono diversi programmi di cooperazione tecnica e logistica che permettono alle forze russe di sfruttare le infrastrutture del Paese in caso di necessità. Il Supporto Tecnico Unificato, in particolare, garantisce l’agibilità delle ferrovie bielorusse alle unità logistiche russe, un bisogno vitale per un esercito il cui sistema logistico si basa prima di tutto sul trasporto su rotaia.
Le numerose esercitazioni svoltesi negli ultimi anni, soprattutto Zapad-2021 e Allied Resolve-2022, hanno contribuito a un’integrazione dei sistemi logistici russo e bielorusso, ed è improbabile che truppe ferroviarie bielorusse non stiano supportando il rifornimento russo fino al confine.
Meno chiaro è quanto i bielorussi siano effettivamente coinvolti nella pianificazione dei processi logistici: normalmente tali operazioni sarebbero predisposte da un Gruppo di Gestione dei Combattimenti – un nucleo operativo nel Centro di Gestione della Difesa Nazionale di Mosca incaricato di coordinare gli aspetti politici e militari di un intervento militare.
Secondo il ricercatore Mark Galeotti, questo Gruppo sarebbe però stato istituito solo il giorno dopo l’inizio delle operazioni, spiegando parzialmente la catastrofica inefficienza delle prime settimane di combattimento.
Un maggiore coordinamento sarà richiesto anche per gestire il potenziale arrivo di nuove forze alleate sul campo. Già la settimana scorsa erano emerse voci di un possibile reclutamento di cittadini siriani nel conflitto, da inquadrare sotto comandanti russi e scelti da liste di reclutamento create ad hoc. Anche il ministero della Difesa ucraino ha confermato le informazioni provenienti da Ong anti-Assad.
Una novità sarebbe anche il possibile invio di “volontari” della Repubblica Centroafricana, uno dei regimi africani più vicini alla leadership russa. Bangui ha fatto largo uso di mercenari russi della compagnia Wagner, un’azienda di sicurezza privata il più delle volte inquadrata nelle forze irregolari fornite da Mosca ai suoi alleati in Africa e Medio Oriente.
Un recente video mostrerebbe uomini armati che si offrono volontari per andare a sostenere i propri “fratelli” nella lotta contro l’Ucraina, una messinscena forse figlia dell’intensa campagna propagandistica svolta da Mosca per accrescere le proprie credenziali da egemone nella regione. È lecito dubitare quanto di tutto ciò si tradurrà in qualcosa di più che semplice disinformazione.
La dimensione psicologica di queste mobilitazioni non va però sottovalutata. Se da una parte i russi hanno un incentivo a reclutare un gran numero di truppe “sacrificabili”, estranee alla società russa e quindi impiegabili in operazioni più pericolose in ambito urbano, è molto improbabile che la qualità di unità create in fretta e furia e schierate in un teatro di guerra a loro poco familiare aumenterà le capacità di combattimento delle truppe del Cremlino.
Un simile principio si applica ai 2-3mila soldati ceceni già oggi schierati sul campo in formazioni della Guardia Nazionale cecena, della Rosgvardia (la guardia nazionale russa, creata per la sorveglianza delle retrovie) e di battaglioni speciali (fra cui Yug e Vostok, già in passato presenti in Siria).
Il morale di queste unità è verosimilmente più alto di altre, complice il supposto arrivo sul campo dell’uomo forte ceceno in persona, Ramzan Kadyrov. Nelle ultime due settimane queste truppe si sono però dimostrate nella media in quanto a successi militari: hanno fallito un tentato raid su Kiev e sono stati respinti in diverse parti del fronte.
L’arma più importante portata da questi soldati è una reputazione di brutalità, in parte confermata dal loro ruolo da guardia pretoriana di Kadyrov, in parte propagata dalle autorità russe utilizzando stereotipi orientalisti per seminare il terrore fra i loro nemici.
Come per le altre unità non appartenenti all’esercito regolare, i Kadyrovisti permettono alla Russia di distanziarsi internamente dagli eventi sul campo e allo stesso tempo di aumentare rapidamente il numero di soldati schierati.
In questo senso è verosimile che le nuove unità verranno utilizzate per rastrellare le sacche di territorio per ora aggirate dalle direttive d’attacco, mettendo in sicurezza le fragili linee di rifornimento russe. Un ruolo simile è probabile per le unità Wagner attualmente in corso di mobilitazione, che potrebbero anche andare a sostituire le unità Rosgvardia inspiegabilmente schierate in prima linea nonostante il loro ruolo da milizia territoriale.