Reverse mentoring Serve un patto generazionale per sopravvivere nell’era dell’infomania

Oggi i Silent over 75 convivono nello stesso mondo degli Alpha under 15, passando per i Boomer, gli X e i Millenial. Fanno fatica a capirsi, come forse è sempre stato, ma l’avanzamento tecnologico, internet e il digitale rischiano di creare un solco che non farà progredire la nostra società

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La rivoluzione digitale e l’avanzamento tecnologico portano continui cambiamenti nel nostro modo di vivere in tutte le relative terminazioni (lavoro, famiglia, comunità, tempo libero, istruzione, etc.). Secondo una ricerca di RescueTime – una delle numerose app create per monitorare l’uso del telefono -, lo usiamo mediamente 3 ore e 15 minuti al giorno.

Viviamo nell’era dell’infomania con più di 250 tipologie di social media al mondo, utilizzati da 4,48 miliardi di persone, più del doppio rispetto ai 2,07 miliardi del 2015 (Pew Research-Data Reportal, Brandwatch). Guardando solo agli Stati Uniti, gli utilizzatori dei social media sono principalmente quelli della “Generazione Z” e i “Millennials”. Più esattamente l’84% di quelli di età compresa tra 18 e 29 anni e l’81% di quelli di età compresa tra 30 e 49 anni contro il 45% di coloro che hanno più di 65 anni.

Una studentessa americana, Abigail Liguori, appartenente alla generazione Z, attraverso 4-H (la più antica organizzazione di sviluppo giovanile degli Usa) si occupa, nel tempo libero, di insegnare a utilizzare Microsoft Office agli adulti per aiutarli a ottenere nuove opportunità di lavoro (Reverse mentoring) e a supportare le persone con problemi di mobilità o disabilità ad accedere agli acquisti online. In un’intervista su un noto blog americano così si esprime: «Non vogliamo solo insegnare agli adulti la tecnologia esistente; vogliamo che le nostre idee vengano incorporate nello sviluppo di una tecnologia che rifletta il nostro vero io, i nostri punti di forza e persino i nostri limiti». 

Il sottoscritto appartiene alla cosiddetta Baby Boomer Generation alla quale ne sono seguite altre 4, con la più recente nota come “Generazione Alpha” (i nati dal 2013 a oggi). Oggi convivono sotto lo stesso tetto ben 5 generazioni: dai Silent over 75 agli Alpha under 15, passando per i Boomers, gli X e i Millenials. Fanno fatica a capirsi, come forse è sempre stato, ma oggi in questa difficile interazione gioca un ruolo preminente l’avanzamento tecnologico, internet e il digitale.

Megan Gerhardt, professoressa di Management alla Miami University, studia l’impatto del conflitto generazionale sulle organizzazioni. Dice che troppi leader vedono le linee generazionali come una fonte di divisione che danneggia la produttività. La sua ricerca mostra invece che l’età è spesso una fonte non sfruttata di diversità e di creazione di valore. Gerhardt è coautrice di un interessante articolo, recentemente pubblicato dalla Harvard Business School “Harnessing the Power of Age Diversity”, dove rappresenta, insieme a due colleghi, come le diverse identità generazionali diventino, nel lavorare insieme, fonte di apprendimento e non di divisione.

Sulla stessa falsariga il libro pubblicato nel 2020 “Generazioni. Chi siamo, che cosa vogliamo, come possiamo dialogare”, in cui Federico Capeci, professore all’Università Cattolica del Sacro Cuore, rappresenta con una certa chiarezza il rapporto tra la capacità di usare il digitale e le diverse esperienze di vita, dove – questa la sua tesi – non esiste, relativamente all’innovazione, una chiusura mentale a priori di alcune generazioni rispetto ad altre, ma esistono approcci diversi che devono però essere guardati con un occhio curioso e senza pregiudizi (culturali), a partire dai valori e dalle attitudini di ciascuno e non dalle dotazioni.

Il controcanto lo serve su un piatto d’argento il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han che insegna Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino (dove vive). Il titolo del suo libro, pubblicato lo scorso anno, è quanto meno accattivante: “Le non cose” (“Undinge”). Noto per le sue analisi, orientate prevalentemente alla critica delle implicazioni politiche e psico-sociali del neoliberismo, ci racconta nel suo saggio: «Oggi corriamo dietro alle informazioni senz’approdare ad alcun sapere. Prendiamo nota di tutto senza imparare a conoscerlo. Viaggiamo ovunque senza fare esperienza. Salviamo quantità immani di dati senza far risuonare i ricordi.» 

Abigail la pensa diversamente. Il Prof. Byung è un boomer come il sottoscritto e ha il pregio di obbligarci a riflettere. A mio avviso, non è importante chi ha ragione, è molto più importante, anzi indispensabile, usare la ragione e il cuore per creare ponti intergenerazionali, un patto per un mondo migliore.