«Un intervento ben calato nella realtà, preciso nella denuncia, molto equilibrato nelle richieste e forte nel sottolineare la sintonia tra i due Paesi e i due popoli». Il segretario del Partito democratico Enrico Letta parla a Repubblica il giorno dopo Letta il discorso del presidente ucraino Zelensky al Parlamento italiano. Non senza far notare la grave assenza di ben 300 parlamentari, alcuni di loro dichiaratamente filo Putin.
«Zelensky ha tenuto il giusto tono istituzionale», dice Letta. «Qualche che sia il giudizio su di lui, lo si trovi o no simpatico, oggettivamente rappresenta la conferma che le leadership possono fare la storia. Se tre settimane fa avesse accettato l’offerta polacca di spostare il governo transitorio oltre il confine tra i due Paesi, nessuno avrebbe potuto biasimarlo. Ma Zelensky ha deciso di mettere a rischio sua la vita e ha scomposto i piani di Putin, che aveva scommesso su una resistenza ucraina di pochi giorni. Ha reso ancora più grottesca la logica guerrafondaia e sovietica del Cremlino». Il Parlamento, aggiunge, «ha dato un tributo a una personalità che ha cambiato il corso della storia».
Intanto c’è un pezzo di opinione pubblica italiana che di fatto rimprovera a Zelensky la mancata resa. Anzi, lo accusa per questo di essere il vero guerrafondaio. Letta commenta: «Esiste nel nostro Paese un sostrato di antiamericanismo, antieuropeismo e filopoutinismo che ha un consenso trasversale».
Ma l’accusa di partito guerrafondaio è anche rivolta dalla sinistra radicale ai Dem per aver appoggiato l’invio di armi in Ucraina. «Non c’è nessun bellicismo né mio né del Pd, la nostra preoccupazione è aiutare profughi e arrivare alla pace», risponde. «Siamo pacifisti ma certo non saremo mai come i caschi blu di Srebrenica, gente che si gira dall’altra parte mentre c’è un massacro. Sappiamo assumerci le nostre responsabilità quando necessario, come ha dimostrato la piazza di Firenze, citata da Zelensky». «Il Pd è ovunque si chieda la pace, senza facili manicheismi, ma con una linea chiara».
Zelensky però ha parlato in assenza di circa 300 parlamentari italiani. «Mi ha colpito molto il numero delle assenze», commenta il segretario. «Al di là della posizione sconcertante di chi non condanna l’aggressione russa, dobbiamo interrogarci sul fatto che un terzo dei parlamentari abbia ritenuto di non dover partecipare. Conferma che nel Paese esiste un’area non irrilevante che ritiene che la colpa della guerra non sia di Putin».
E una parte dei filo piutiniani si trova anche nei Cinque Stelle. Uno su tutti, Vito Petrocelli, che tra l’altro è presidente della commissione Esteri del Senato, che ha chiesto di uscire dal governo “interventista”. «Semplicemente indifendibile. Le dimissioni sono la conseguenza naturale delle sue parole e dei gesti», dice Letta.
E se Letta dice di non avere dubbi sul posizionamento dei vertici dei Movimento in merito alla guerra, Giuseppe Conte però si è detto contrario all’aumento delle spese militari al 2% del Pil. E i grillini, che avevano votato sì alla Camera, si preparano a dire no al Senato.
«Non mi scandalizzo per quello che dice Conte. Il punto non è la percentuale sulle spese nazionali, alla quale non mi impiccherei. Da anni gli Stati Uniti chiedono di riequilibrare le spese tra i partner, dato che ora una quota della difesa europea è a carico dei contribuenti americani», dice Letta. «Dico che ha poco senso che ogni Paese spenda di più se non si introduce una vera Difesa europea. Quello è il nostro destino e razionalizzerebbe le spese. Per questo sono deluso dal primo passo, la creazione di una forza comune di sole 5000 unità, basata su accordi vecchi, totalmente superati».
Letta preferisce non fare polemiche sulla missione russa in Italia all’epoca del Covid: «Era una situazione di emergenza, tutti gli aiuti servivano».
Intanto, la destra italiana, che è stata la più filoputiniana d’Europa, sembra aver cambiato linea. «Erano in aula, hanno applaudito. Ma siamo nella fase in cui i fatti contano più delle parole. Serve un’Italia coesa per fare in Europa le mosse necessarie. Qui si capirà se quella della destra è una svolta reale o solo cosmesi», dice Letta.
«Ora bisogna fare l’Europa Politica per davvero. Il vertice di questa settimana deve mettere la basi per un balzo. E serve una decisione indispensabile, il tetto al prezzo del gas a livello europeo, che per il suo valore strategico equivale al Next Generation Eu. Una scelta per calmare subito e in prospettiva i prezzi dell’elettricità ed evitare la bancarotta di famiglie e imprese. Senza tetto, metteremo solo cerotti». E conclude: «Mi auguro che il 9 maggio, al termine della conferenza europea, venga lanciata subito la Convenzione per cambiare i trattati, eliminando l’obbligo dell’unanimità e il diritto di veto».