«Vi avevamo avvertiti che il Nord Stream 2 è un’arma. Ma la vostra risposta è stata: è solo economia, economia, economia». Volodymyr Zelensky nel suo appello al Bundestag ha messo a fuoco con una frase icastica il vero tallone d’Achille dell’Europa: non essere in grado di ragionare se non in rigidi termini di economia e di mercato.
Ma non casualmente, dopo il questo suo discorso fortemente emozionale e perfettamente centrato, Olaf Scholz e i parlamentari tedeschi hanno glissato e sono passati burocraticamente a discutere dell’ordine del giorno sul Covid. Ennesima occasione sprecata per affrontare il tema politico dell’oggi perché pochi giorni dopo varie fratture di faglia tutta politiche hanno visto ancora una volta l’Unione Europea divisa nei lavori preparatori per il Consiglio Europeo del 24-25 marzo.
Il tema, la politica energetica continentale, ancora una volta è stato ed è affrontato dai 27 con criteri tutti e solo economici, basati cioè sulle diverse esigenze di approvvigionamento energetico di ogni paese, ennesimo caso di sovranismo diffuso, in un ottica ristretta di puro bilancio, di rapporto costi-ricavi.
Una ottica miope, ristretta, contabile che non è incrinata neanche dal paradosso di una Ue che fornisce giustamente all’Ucraina armamenti per 500 milioni di euro per difendersi dall’invasione russa e contemporaneamente però versa direttamente nelle casse della Russia di Putin miliardi di dollari ogni giorno per finanziare la sua guerra tramite la piattaforma SWIFT, non toccata non casualmente dalle sanzioni (l’Italia da sola, secondo i calcoli del ministro Roberto Cingolani ne ha versati 30 miliardi di euro nei 30 giorni di guerra).
Paradosso causato dal rifiuto di pensare politicamente e a meri calcoli di bilancio: il metano e il petrolio forniti da Putin costano meno dei consistenti investimenti europei necessari a costruire una rete di approvvigionamento diversificata in modo da non avere, come sarebbe stato possibile, nessun paese fornitore (sono tutti politicamente inaffidabili, tranne gli Stati Uniti, naturalmente) con quote superiori al 10-15%.
Tutto questo, mentre Putin usa invece politicamente l’arma energetica e annuncia che d’ora in poi i pagamenti europei di gas e petrolio dovranno essere effettuati in rubli. Una risposta alle sanzioni che ha subito fatto rialzare la quotazione della moneta russa.
Tre sono gli schieramenti in cui si divide un’Unione che si rifiuta di prendere atto che il metano è un’arma.
L’Italia con la Spagna, il Portogallo il Belgio e la Grecia pochi giorni fa ha tenuto un vertice per proporre una politica energetica di pretto e saggio marco europeista basata su acquisti comuni a prezzo massimo calmierato, una sorta di fondo Sure, come quello avviato dopo la pandemia per fronteggiare la disoccupazione, su grandi stoccaggi comunitari e su uno sganciamento del prezzo dell’elettricità da quello del metano.
Un progetto particolarmente caro a Mario Draghi che infatti gli ha dedicato largo spazio nel suo intervento davanti alle Camere riunite per ascoltare il messaggio di Zelensky. Di fatto, i paesi mediterranei propongono di lavorare nella logica di un nuovo Recovery Fund energetico finanziato da fondi europei come quello contro l’emergenza Covid. Progetto non ostacolato dalla Francia, che però si tiene defilata, forte della propria autonomia energetica tutta costruita sul nucleare. Dunque i paesi mediterranei propongono un nuovo passo verso una sostanziale unità politica dell’Europa.
Fortissima però l’opposizione a un nuovo Recovery europeo da parte dei Paesi Bassi – che godono di eccellenti fonti metanifere proprie e che è ancorata alla propria rigida ideologia liberista quanto al tetto del prezzo del metano – e che pone sempre il proprio sanissimo bilancio davanti a ogni considerazione politica e di solidarietà europea, a capo di un blocco di cui fanno parte Germania Irlanda, Danimarca e Lussemburgo.
Berlino infatti, che nella Ruhr e nella Saar gode di consistenti riserve minerarie di carbone non sfruttate, non ha nessuna intenzione di abbandonare la linea di una politica energetica nazionale, autonoma, concretizzata da un Nord Stream 1 di cui poco si parla ma che continua a pompare miliardi di metri cubi di metano dalla Russia. Nord Stream 1, si badi bene, che la Germania di Schröder e della Merkel ha costruito con la Russia, come Nord Stream 2, accedendo alla richiesta di Putin di non farlo passare via terra, con costi ben più contenuti, ma attraverso il Baltico.
Il percorso naturale e più corto via terra infatti sarebbe naturalmente passato per Lituania, Estonia, Lettonia e Polonia, innescando sviluppo economico in questi paesi, arricchendoli di royalties e dotandoli di un potere politico. Invece, Schröder e Merkel hanno aderito alla richiesta di Mosca di punire questi paesi, membri della Ue e ovviamente considerati inaffidabili dal Cremlino, nel nome di una rinnovata Ost politik i cui frutti si vedono oggi.
Ma vi è anche una ulteriore frattura di faglia europea con i paesi baltici, la Polonia, la Cechia e la Slovacchia che chiedono invece immediate sanzioni per la cessazione di acquisti energetici dalla Russia per evidenti ragioni politiche, ricevendo però un secco stop dalla ministra degli Esteri tedesca, la verde Annalena Baerbock «se solo potessimo lo faremmo, ma non possiamo».
Il tutto con una nuova frattura dello stesso patto di Visegrad perché l’Ungheria si rifiuta di cessare i rapporti energetici con Mosca: «Non sosterremo sanzioni che mettono a repentaglio la nostra sicurezza energetica». Contemporaneamente, Polonia, Ungheria e Bulgaria, chiedono di sospendere il cronoprogramma di riduzione delle emissioni per il contrasto al cambiamento climatico suscitando non pochi contrasti.
Dunque, la abituale frantumazione di un consesso europeo che non riesce a elaborare una visione politica comune di ampio respiro, strategica, neanche dopo lo choc della sanguinaria invasione russa dell’Ucraina e che si accontenta di procedere di mediazione in mediazione, sempre al ribasso.
Mediazione che sulle fonti energetiche si concretizzerà probabilmente in una indicazione della Commissione Europea a favore di acquisti in comune di metano, sulla scia dell’acquisto in comune dei vaccini contro il Covid, affidata a una nuova, ennesima commissione ad hoc, a un rinvio sul tema caldo del prezzo massimo contingentato del metano e dello sganciamento del prezzo dell’elettricità da quello del gas e a un invito ai paesi membri ad aumentare la capienza dello stoccaggio sino al 90% della capienza.
La Germania, comunque, si è già detta contraria a replicare l’acquisto in comune del metano, forte dei contratti vantaggiosi a suo tempo stipulati con Gazprom. Del nuovo passo, tutto politico, verso una effettiva unità europea d’azione di un nuovo Recovery energetico e dei fondi comuni per finanziarlo si parlerà un’altra volta, forse a maggio.
Intanto tutti consumano più carbone e sempre più lo importano dalla Russia!