Il riscaldamento globale sta uccidendo l’Artico. Dal 1979 ad oggi l’estensione del ghiaccio marino intorno al Polo Nord si è ridotta del 14 per cento nel mese di marzo (punto di riferimento della stagione invernale) e del 50 per cento in quello di settembre. Si tratta di una perdita media annua pari ad 83mila chilometri quadrati, l’equivalente del 25 per cento del territorio italiano. La scomparsa è un fenomeno costante ed in alcuni anni ha raggiunto picchi preoccupanti. Nel 2012, ad esempio, lo scioglimento è stato pressoché totale. L’Amministrazione nazionale oceanica e atmosferica degli Stati Uniti (Noaa) ha reso noto che l’età media del ghiaccio, equivalente allo spessore che gli consente di resistere agli sbalzi termici, si sta riducendo e solamente l’1 per cento ha più di 4 anni. Il 70 per cento è stagionale, si forma ogni anno per sparire quello successivo.
Lo scioglimento dell’Artico, come ricordato da Wired, è una cattiva notizia anche per noi perché questo luogo funge da condizionatore dell’emisfero nord e se si guasta le cose potrebbero cambiare drasticamente. A cambiare, qualora ciò accada, potrebbero essere le correnti marine, il livello dei mari che renderebbe molte zone costiere inabitabili, la forza con cui si manifestano i cicloni e le ondate di calore ed in sostanza le nostre vite. I ghiacciai artici, come quelli della Groenlandia, stanno fondendo a livelli sempre più veloci a causa del susseguirsi di estate molto calde e di eventi meteo eccezionali che in passato si verificavano una volta ogni secolo. I modelli climatici più pessimisti avevano previsto che qualcosa del genere si sarebbe potuto verificare intorno al 2050 ma sono stati smentiti ed anche se la fusione dell’Artico non è irreversibile bisogna fare qualcosa.
L’Oceano Artico è il meno protetto tra tutti i mari del mondo. L’1.5 per cento delle sue acque sono sottoposte a qualche forma di tutela e l’alto mare, che non appartiene a nessuna nazione, non ha alcuna protezione. Un Trattato Globale consentirebbe di migliorare la situazione ma all’orizzonte non si intravede nulla. L’opinione pubblica, come certificato da un sondaggio di Greenpeace, è in favore di uno sviluppo di questo genere. Il 74 per cento delle persone intervistate in 30 Paesi chiede che siano protette le acque internazionali intorno al Polo Nord e più del 70 per cento del campione crede che l’Artico debba essere libero dalle trivellazioni e da altre industrie pesanti.
Il caldo impetuoso provoca violenti incendi, che sono sempre più comuni nelle parti più secche dell’Artico. La vegetazione della tundra russa, statunitense e svedese è stata distrutta dalle fiamme nel corso delle ultime estati. I danni provocati alla flora si riverberano sulla fauna, in particolare sulle milioni di renne e caribù che si cibano di muschi e licheni. La popolazione mondiale di questi esemplari è diminuita del 56 per cento negli ultimi 20 anni e queste perdite si sono rivelate devastanti per le popolazioni indigene locali. La cultura e la sussistenza di questi popoli è strettamente legata a quella di renne e caribù. I Sami, che vivono tra Europa e Russia, allevano le renne ma gli inverni più caldi li hanno costretti a cambiare abitudini. Gli Inuit, che usano tutte le parti del caribù per nutrirsi e creare vestiti, hanno sperimentato difficoltà analoghe.
Lo scioglimento del ghiaccio artico è una pessima notizia per il futuro dell’umanità ma, per alcuni, può rivelarsi un’opportunità per generare nuovi profitti economici. Nel sottosuolo di questa regione, che comprende il 15 per cento delle terre emerse ma ospita appena lo 0,05 della popolazione globale, ci sono enormi quantità di risorse come il petrolio e lo zinco, essenziale per la produzione delle batterie delle auto elettriche e per le turbine eoliche. Un clima più caldo può facilitare l’avvio di attività di estrazione in zone precedentemente inaccessibili, la posa di cavi di fibra ottica dato che l’Artico si trova in una posizione chiave per la connettività globale e l’apertura di nuovi territori di pesca.
Non bisogna trascurare l’apertura di nuove rotte commerciali per le navi che riducono i tempi di percorrenza, l’emissione di anidride carbonica ed hanno attirato l’interesse di Cina e Russia. Il Passaggio a nord-ovest, una scorciatoia dall’Europa all’Asia orientale attraverso il continente nordamericano, è oggetto dell’interesse degli esploratori da secoli ed ha una rotta settentrionale e duna meridionale. Nel 2007 è stato aperto per la prima volta alle navi senza la necessità di un rompighiaccio ed in futuro, come chiarito da Formiche.net, potrebbe diventare la scelta di numerosi mercantili. Ci sono contrasti sul suo status internazionale tra il Canada, che lo ritiene parte delle proprie acque interne e gli Stati Uniti, per i quali deve essere aperto al libero transito. Le tensioni tra le otto nazioni artiche (Stati Uniti, Canada, Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, Russia e Danimarca) sono presenti anche nell’attribuzione e sfruttamento delle zone economiche esclusive.