Che fa Berlusconi?Il ritorno del Cavalier tentenna e l’incerto futuro del centro-destra

Forza Italia è in equilibrio tra moderazione, europeismo, sovranismo e populismo. E non ha deciso se far rimanere in vita l’alleanza con Meloni, restringersi in un Listone guidato da Salvini oppure andare da solo (con il proporzionale)

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Silvio Berlusconi è ricomparso sabato scorso in un albergo romano dei Parioli tra i sospiri e il giubilo della sua corte, dei parlamentari, dei colonnelli e residui capibastone forzisti nel territorio. È ricomparso in carne e ossa dopo quasi tre anni di assenza. Quasi un’ostensione di un soggetto sacro ai fedeli. Era intervenuto a qualche evento del partito con una telefonata, con voce flebile e a volte impastata.

Pochi eletti sono stati ammessi alla casa reale di Arcore, sempre filtrata dalla senatrice Licia Ronzulli. Lontani i tempi dei bagni di folla in piazza o per le strade delle città, delle vittorie elettorali contro l’Ulivo e l’Unione che abbracciavano dagli stalinisti di Cossutta ai democristiani del Sannio e dell’Irpinia. Berlusconi non ha più quella carica magnetica e sciamanica che trasmetteva alle truppe, come mi è capitato di osservare da cronista nel 2010 al Cavalieri Hilton.

Dai quattro angoli del Lazio erano arrivati in quella sala moquettata dalle luci fredde tutti i candidati della lista del Popolo della libertà: mogi, scoraggiati, frastornati perché la loro lista era stata esclusa dalle elezioni regionali. Era stata esclusa pure la lista della candidata presidente Renata Polverini. Insomma, una catastrofe, possibilità di vincere zero. Ecco, in quell’occasione, Berlusconi fece un discorso motivazionale da uomo d’impresa. Ma fece di più: scese dal palco e, facendosi largo tra le sedie e i musi lunghi, andò a parlare con ognuno degli esclusi. Li toccava, gli sussurrava parole magiche all’orecchio, gli stringeva la faccia tra le mani, li rianimava.

Noi giornalisti cinici pensavamo che si trattasse di mera consolazione, di una cerimonia funebre. Guardavamo Renata Polverini, che era rimasta sul palco e la compativamo. Risultato: tutti in campo ventre a terra, il Cavaliere in grande spolvero nelle città e nei paesi laziali, raffiche di interviste, televisioni Mediaset caricate a pallettoni. Infine la vittoria nelle urne: con due liste in meno la ex leader del sindacato di destra UGL conquistò la poltrona politica più alta nel palazzone della Regione in via Cristoforo Colombo.

Archeologia politica, ma sono passati solo 12 anni. Il Popolo della libertà non c’è più, è ritornata Forza Italia che dai fasti del 30 e rotti per cento è ridotta all’8, una percentuale in risalita rispetto a pochi mesi fa e che Berlusconi vuole portare ben sopra il 10 per cento. Lo ha promesso sabato scorso con un discorso imbalsamato nel retorico ruolo del centro che si allea con la destra (il centro-destra con il trattino).

Per Berlusconi, senza questo centro la coalizione non vince e non è moderata abbastanza per essere accettata in Europa e nel consesso internazionale. Che non vinca è certo, i numeri sono numeri. Che non vada oltre il 40 per cento è altrettanto vero. Che riesca a governare, con una destra molto più forte, radicale e determinata rispetto al passato è un’altra cosa.

Il punto critico sta tutto nelle contraddizioni dell’ex presidente del Consiglio che non ha più la forza e l’energia di una volta. È diventato un “Cavalier tentenna”, tentato dal far correre Forza Italia da sola alle Politiche del 2023 (sempre che non si voti prima). È un’ipotesi che sabato, a quell’incontro di cui abbiamo parlato all’inizio, ha ventilato proprio Licia Ronzulli, quindi autorizzata dal capo. È una minaccia rivolta a Giorgia Meloni. Il messaggio è: «Stai attenta, cara Giorgia, perché se tiri troppo la corda ti piazziamo tra le ruote una legge elettorale proporzionale e resti all’opposizione».

Il Cavalier tentenna, però, non ha ancora sciolto la riserva sul nuovo sistema elettorale. Così come non ha chiaro in testa se il centrodestra classico rimarrà in vita oppure se si restringerà in un Listone Lega-Forza Italia guidato da Matteo Salvini, «l’unico vero leader che c’è in Italia» (parole dello stesso Berlusconi durante il quasi matrimonio con Marta Fascina). Il tutto senza escludere che nella prossima legislatura ci possa essere di nuovo una coalizione larga e quindi Mario Draghi ancora a Palazzo Chigi.

Grande è la confusione sotto il cielo azzurro berlusconiano. E non si tratta più di quella postura politica e personale o di quel farsi concavo e convesso che in passato ha caratterizzato il galleggiamento e i successi dell’ex premier, patron di Fininvest e amico personale di Putin (a proposito, adesso dice di essere deluso da Vladimir, di non riconoscerlo più). Il Cavaliere tentenna a ogni angolo.

È ritornato a partecipare, anche se da remoto, ai vertici del Ppe, il partito popolare europeo al quale è legato da anni, ma è lo stesso partito che ha cacciato il premier ungherese Victor Orbàn e che ha votato in Europa per metterlo sul banco degli imputati: a Budapest lo Stato di diritto è più che ballerino. Lo stesso Orbàn che è uno dei punti di riferimento dei suoi alleati vicini (Salvini) e lontani (Meloni), che è il più tiepido nel contrastare Mosca e sostenere gli ucraini in armi.

Alle presidenziali francesi, Berlusconi tifa Macron mentre il leader leghista fa la ola per Marine Le Pen, che la Cdu tedesca e il Ppe considerano il diavolo. A Parigi, Meloni non si sente rappresentata da nessuno ma fa notare che tutta la destra unita, in Francia come in Italia, vincerebbe a mani basse.

Forza Italia è un Giano bifronte. I ministri Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna sono dei superdraghisti, come la stragrande maggioranza dei deputati, mentre i senatori azzurri sono filoleghisti. Il suo vecchio consigliere Gianni Letta è antisovranista e vorrebbe portare Forza Italia in uno schieramento centrista lontano dai due poli. Fedele Confalonieri invece ha un cuore che batte verde padano.

Quando si toccano i temi delle tasse e della difesa della casa nel centrodestra scatta l’unità, così oggi Salvini e Tajani guideranno la delegazione congiunta di leghisti e forzisti all’incontro con il premier Draghi per modificare la delega fiscale. È l’unico vero tema che amalgama questa coalizione che, invece, sulla politica estera, sui rapporti con gli Stati Uniti e sulla guerra in Ucraina è divisa in tante sfumature.

Berlusconi è in equilibrio tra moderazione, europeismo, sovranismo e populismo. Il suo 8 per cento rimane congelato in una sorta di terra di mezzo e non sa se affidarlo a Salvini o se metterlo al servizio di una nuova storia liberale che lui ha sempre teorizzato e mai realizzato.