Il giorno dopo la firma dell’accordo del presidente del Consiglio Mario Draghi in Algeria sull’aumento delle forniture del gas all’Italia, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi al Corriere dice che ora – per salvare imprese e famiglie – la strada è imporre un tetto al prezzo del gas. Come chiede Draghi da mesi. E se l’Europa non trova un’intesa, bisogna agire da soli.
Al di là delle differenze tra le previsioni di crescita del governo sul 2022 (3,1%) e quelle di Confindustria (1,9%), Bonomi spiega che «il punto è rendersi conto che la velocità della ripresa ha rallentato da ben prima della guerra».
«I segnali di frenata iniziano nell’autunno scorso», dice. «Come Confindustria avevamo chiesto una legge di bilancio orientata alla crescita, ma si è sprecata un’occasione. Sono usciti di scena o si avviano a farlo strumenti che aiutavano le imprese a investire, dal Patent box agli incentivi di Industria 4.0. E gli interventi fiscali sono stati in gran parte dissipati, invece di concentrarli sul taglio dei contributi». E aggiunge: «Si fossero usati meglio gli spazi in legge di bilancio, ci sarebbero state le risorse per sostenere le fasce più colpite dalla pandemia, giovani e donne, anche a favore della competitività. Mi confronto spesso con i miei colleghi di Francia e Germania e noto una differenza: da loro la difesa dell’industria è un fattore di sicurezza nazionale, perché è l’industria che crea reddito e lavoro. Da noi questa consapevolezza non c’è. Il problema non è del presidente Draghi: attiene ai partiti».
E rispetto ai partner europei, «il problema dell’energia qui è più acuto. Per noi la quota di elettricità prodotta dal gas è molto più alta persino che in Germania e questo rischia di diventare un handicap per le imprese, perché il gas è rincarato molto più delle altre fonti di energia».
Ecco perché la proposta italiana di imporre da parte dell’Ue un tetto al prezzo del gas ai produttori esteri secondo Bonomi è corretta. E il governo deve procedere comunque. «Se l’Europa non vuole, dobbiamo agire da soli: un tetto che valga in Italia sul prezzo del gas comprato all’ingrosso, molto sotto i livelli attuali», dice il presidente. «È fattibilissimo. L’Arera, l’autorità dell’energia, convoca gli importatori di gas e chiede trasparenza. Può farlo. Dobbiamo sapere quanto pagano il gas e conoscere la durata dei contratti. Non credo che gli importatori comprino tutto ai prezzi di mercato, impazziti, di questa fase. Capiremo così come applicare un tetto e quali sono i profitti sull’elettricità. Quest’ultima viene rivenduta a tariffe che riflettono l’altissimo prezzo di mercato attuale del gas: vedremo se c’è chi specula».
«Noi vogliamo intervenire a monte, sul prezzo del gas all’import. Ma c’è chi si avvantaggia oltremodo dei rincari», aggiunge. Il prelievo al 10% degli extraprofitti libera, secondo il governo, quattro miliardi in sei mesi. «Invece, a questi prezzi, degli aumenti in bolletta pari a circa 40 miliardi 36 saranno a carico di imprese e famiglie. Si rischia che quel 16-20% attuale di imprese che oggi riducono la produzione diventino il 50%. Eppure, questo non è ancora sentito come un problema di sicurezza nazionale».
Resta che introdurre il tetto sul gas a livello nazionale è più difficile e la proposta di farlo a livello europeo finora è bloccata. Perché? «La Norvegia nel 2021 ha visto crescere i proventi del suo fondo sovrano di 150 miliardi, vendendoci il gas a queste quotazioni di mercato sestuplicate. E ora fa pressioni sui Paesi nordici dell’Unione europea perché non accettino il tetto al prezzo», risponde. «La Svezia, infatti, si è opposta. Quanto alla Germania, compra il gas dalla Russia verosimilmente a prezzi molto inferiori di quelli che paghiamo noi, per le contropartite date ai russi come NordStream. Dunque, finora, non ci segue».
Oltre al tetto al prezzo del gas, poi Bonomi propone anche di «cambiare passo sui 400 impianti di fonti rinnovabili fermi per mancanza di autorizzazioni, specie a livello decentrato; riservare alle imprese una quota di energia prodotta da rinnovabili che rifletta i costi effettivi di produzione e non ai prezzi molto più alti del gas; aumentare la produzione di gas nazionale oltre quanto già deciso fino ad oggi, per esempio nell’alto Adriatico».
Quanto alle soluzioni sull’inflazione che riduce il potere d’acquisto di chi lavora, dice: «Sul piano tecnico gli aumenti sono già riconosciuti sulla base dell’indice armonizzato dei prezzi (Ipca). E l’inflazione molto bassa del passato recente ha fatto sì che gli aggiustamenti al rialzo abbiano superato i rincari effettivi del 5% in due anni. Ma è vero: dobbiamo dare più soldi ai lavoratori e la strada per questo è il taglio dei contributi che finora non si è voluto fare».
Con quali risorse? «Abbiamo 900 miliardi di spesa pubblica ogni anno. Abbiamo abbandonato la spending review, ma non riesco a credere che non si riesca ad avviare un lavoro che ne recuperi almeno 16. Le entrate tributarie sono previste dal Def in aumento da 527 miliardi nel 2021 a 548 miliardi nel 2022, e i contributi sociali da 246 a 263 miliardi. E la discesa del debito pubblico nei piani del governo è consistente. I margini ci sono».