L’Ucraina in Europa, subitoUna strage, un portachiavi e Kiev come ventottesima stella dell’Unione

La foto simbolo della strage russa a Bucha e l’afflato europeo di Maidan sono il contagio liberaldemocratico che il criminale del Cremlino teme di più. Ecco perché la nazione aggredita da Putin deve formalmente diventare uno Stato membro dell’Unione

Foto diffusa dall’account Twitter della Presidenza ucraina

Le immagini scattate nelle città ucraine abbandonate o liberate dai macellai russi sono stomachevoli e fotografano esattamente quello che sarebbe successo su scala nazionale se gli ucraini avessero ascoltato i consigli geopolitici degli imbecilli e dei loro complici che li ospitano in quelle cloache chiamate talk show italiani. Quelle immagini, inoltre, spiegano perfettamente quale sarebbe stato il destino di tutti gli ucraini se si fossero arresi all’invasore per evitare guai ulteriori o se non fossero stati aiutati con quel poco o tanto che gli europei e gli americani hanno fatto finora per evitare il genocidio di un popolo.

Ma tra tutte le immagini orrende e oscene ce n’è una cruciale per capire che cosa sta succedendo al confine con l’Europa orientale e per comprendere qual è la posta in gioco quando di mezzo c’è Vladimir Putin e il suo popolo obnubilato e connivente.

La fotografia è quella della mano gelida di una giovane donna di Bucha, trucidata dai russi a bordo della strada, delle unghia ben curate e del mazzo di chiavi di casa che evidentemente la vittima ha tenuto con sé fino al momento dell’esecuzione a freddo.

Quel mazzo ha un portachiavi in plastica rigida che raffigura la bandiera europea. Non lo stemma di una squadra di calcio, non l’icona del santo patrono, ma l’emblema dell’Europa.

Pensateci: la bandiera blu con le stelle gialle dell’Unione europea a Bucha, a nord ovest di Kiev, vicino al confine con la Bielorussia, simbolo e custode della sicurezza domestica di una giovane donna che il tradizionalismo fascista dei russi ha spazzato via.

Gli ucraini sanno che cosa vuol dire vivere di fianco alla minaccia russa, alle invasioni dell’Armata rossa, alle carestie imposte dal Cremlino, ai provocatori dei servizi di Mosca e al costante pericolo di genocidio. E guardano fieramente a ovest, all’Europa, per cercare riparo, sviluppando un fisiologico spirito nazionalista che li tiene uniti e che in questa circostanza li sta salvando dalla capitolazione che la cosca del Cremlino si immaginava dì poter ottenere in pochi giorni.

L’Ucraina è diventato uno Stato indipendente nel 1991, all’indomani del crollo del totalitarismo sovietico, e da allora si batte per liberarsi dai gangli dell’imperialismo russo. La favolosa rivoluzione arancione del 2004 è stata una rivolta di massa contro i brogli elettorali orchestrati dal fantoccio del Cremlino Viktor Janukovyč, mentre la commovente e tragica occupazione di Maidan, a cavallo tra il 2013 e il 2014, è nata in seguito al voltafaccia dell’uomo di Putin a Kiev che si era rifiutato di firmare l’accordo per l’avvio del processo di adesione dell’Ucraina all’Unione europea.

Su Netflix c’è un formidabile documentario sull’epopea di Maidan, si intitola Winter of fire, un film che dovrebbe essere trasmesso nelle scuole italiane ed europee, nella speranza che non sfornino soltanto elettori bipopulisti ma anche persone dotate di raziocinio e moralità. 

In quella piazza europea, nel novembre 2013, gli abitanti di Kiev si diedero appuntamento per protestare contro la decisione di Janukovyč, dettata dal Cremlino, di fermare il percorso europeo nonostante il fantoccio di Mosca in campagna elettorale avesse promesso il contrario. A Maidan si riunirono al grido «l’Ucraina è in Europa» e sventolarono le bandiere europee in modo gioioso e toccante, in particolare per noi che diamo per scontata l’appartenenza all’Europa, anzi diamo anche spazio televisivo a quei cretini dell’Italexit. Quelle di Maidan erano bandiere europee come quella della donna uccisa a Bucha.

Gli ucraini volevano allora e vogliono adesso l’Europa, cioè una vita normale, libera e indipendente, a distanza di sicurezza dallo stato di polizia che hanno conosciuto negli anni dello Zar e del comunismo, e di nuovo nei mesi di occupazione di Maidan.

Putin e i suoi scherani temono invece il contagio liberale dell’Europa e hanno invaso militarmente la Georgia e l’Ucraina esattamente per isolare la Russia dalle pericolose idee democratiche e per tenere il popolo in lockdown antidemocratico contro cui i baluba della commissione Dupre ovviamente non dicono una parola. 

A Maidan, grazie alla resistenza eroica di Kiev, Janukovyč fu costretto a fuggire in elicottero, naturalmente in Russia, ma soltanto dopo che la sua polizia ha lasciato sul campo circa duecento morti e migliaia di feriti.

Qualche mese dopo, sempre nel 2014, l’Ucraina ha smantellato quel corpo di polizia criminale e ha ripreso il lento cammino verso l’Europa. Putin ha risposto invadendo la Crimea e il Donbas.

Con Donald Trump alla Casa Bianca e con le operazioni informatiche in giro per il mondo, la Russia ha aiutato i partiti europei antioccidentali e ha delegittimato l’Unione europea, mentre l’amico Cialtrone in Chief a Washington indeboliva la Nato e tratteneva i finanziamenti americani all’Ucraina perché Kiev non voleva confezionare un dossier falso contro il figlio dello sfidante Joe Biden.

Sventato quel complotto grottesco, nonostante l’aiutino italiano, Biden ha disarcionato Trump e quindi, per fermare la pericolosa voglia d’Europa dell’Ucraina, a Putin è rimasta soltanto la strada della guerra su larga scala. Oggi Putin sta perdendo la guerra e i suoi obiettivi territoriali sono ridimensionati, ma a furia di radere al suolo le città ucraine e uccidere i civili inermi potrebbe ancora vincerla.

Gli ucraini vanno intanto salvati, ma come ha capito perfettamente la coraggiosa presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola, in visita a Kiev prima di qualsiasi altro politico del continente, in gioco c’è l’adesione dell’Ucraina all’Europa, l’aspirazione degli ucraini e lo spauracchio di Putin. 

Aiutare umanitariamente e militarmente la resistenza ucraina è un dovere morale, e quanto prima bisognerà decidere che cosa fare con le forniture di gas russo, i cui proventi finanziano lo sterminio degli ucraini. Ma dopo Bucha e Maripol, dopo i bombardamenti a Odessa e Charkiv, la cosa da fare subito è far entrare l’Ucraina nell’Unione europea. Ora.

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