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Se conoscete Noam Chomsky solo in quanto simbolo di una certa sinistra o come critico dell’imperialismo americano, rischiate di perdervi un sacco di cose. Nelle sue argomentazioni coesistono il mondo che lui vorrebbe costruire e l’urgenza delle cose che vanno cambiate proprio subito, un’urgenza che contempla il compromesso. Chomsky è un pensatore utopista ma è anche uno che agisce con pragmatismo. Nell’esprimere il suo pensiero c’è qualcosa che gli impedisce di fare affermazioni radicali su come le cose dovrebbero funzionare (o funzioneranno) nel suo mondo ideale perché non ritiene che questo sia il modo in cui si possano innescare davvero dei cambiamenti.
Dico tutto questo, per far capire che nel suo pensiero Chomsky ha una profonda indipendenza, che ho sempre ammirato. Posso essere o meno d’accordo con le sue conclusioni, ma lui è sempre se stesso in ogni circostanza, sia quando è facile esserlo sia quando non lo è. Questa è una conversazione su entrambi gli aspetti, e cioè sul mondo futuro che Chomsky vorrebbe che costruissimo (e sul perché vorrebbe che lo costruissimo così) ma anche su come possiamo contribuire a salvare proprio ora il mondo che c’è, con tutti i compromessi, le imperfezioni e le contraddizioni che questo comporta. (Quella che segue è una trascrizione, editata e ridotta, della conversazione tra Ezra Klein e Noam Chomsky che è stata ospitata dal podcast del New York Time “The Ezra Klein Show”).
Ezra Klein
Mi lasci iniziare dalla base della sua visione del mondo. Che cosa distingue l’intelligenza umana dall’intelligenza animale, se possiamo chiamarla così?
Noam Chomsky
Beh, ci sono in sostanza due cose fondamentali che sono proprie della specie umana, che sono comuni a tutti quelli che vi appartengono e che non hanno analogie in altre specie. La prima la stiamo usando proprio ora ed è il linguaggio. Il linguaggio è il nocciolo essenziale del nostro essere e ci distingue completamente dal mondo animale. L’altro elemento esclusivo della specie umana è, semplicemente, il pensiero. A quanto sappiamo, nel mondo (e forse nell’intero universo) non c’è nessuna capacità di pensiero che sia in alcun modo comparabile con quella che possediamo noi. E le due cose sono strettamente legate: il linguaggio è lo strumento del pensiero, è il mezzo attraverso cui formuliamo il pensiero nella nostra mente e talvolta lo comunichiamo agli altri. Queste due capacità sembra che siano emerse insieme nell’Homo sapiens. Se si eccettuano alcune persone che sono affette da gravi patologie, sono comuni a tutti gli esseri umani. E non c’è niente di simile nel mondo animale. E, per quanto ne sappiamo, non c’è niente di simile neppure da qualche altra parte.
Klein
In che modo i suoi studi sul linguaggio alimentano la sua comprensione di come gli esseri umani possano prosperare e di che cosa gli esseri umani desiderino?
Chomsky
Una cosa straordinaria che ha a che fare con il linguaggio e che impressionò moltissimo il fondatori della Rivoluzione scientifica – e cioè Galileo e i suoi contemporanei – è ciò che talvolta viene definito come l’elemento creativo del pensiero umano. Siamo in qualche modo capaci di costruire nella nostra mente una serie illimitata di espressioni significative. Per lo più, questo accade senza che ne siamo coscienti. A volte, invece, ne siamo consapevoli. E possiamo usare queste espressioni in modi che sono sempre nuovi nella storia del linguaggio e nella nostra stessa storia e che, ciò nonostante, sono appropriati alle diverse situazioni. Nel corso dei secoli questo elemento creativo si è accompagnato, non assurdamente, a un fondamentale istinto di libertà, che è una parte essenziale della nostra natura: la resistenza alla dominazione e alle forme di controllo esercitate da un’autorità illegittima è un elemento determinante della natura umana e fa forse parte di quella stessa capacità creativa che si mostra in modo straordinario nel nostro normale uso del linguaggio.
Klein
Se vogliamo la libertà e vogliamo la creatività, come mai gravitiamo spesso intorno a cose che è come se le allontanassero da noi?
Chomsky
Beh, molta di questa volontà ci viene tolta fin dall’infanzia. Guardi i bambini. Continuano a chiedere: «Perché?». Vogliono spiegazioni. Vogliono capire le cose. Poi andiamo a scuola. Lì veniamo irregimentati. E ci insegnano che è proprio quello, e non un altro, il modo in cui si suppone che dobbiamo comportarci. Le istituzioni della società sono costruite in questo modo per ridurre, modificare e limitare gli sforzi attraverso i quali si può esercitare il controllo sul proprio destino.
Klein
Lei è un anarchico. Come definisce l’anarchismo?
Chomsky
L’anarchismo, per come lo capisco io, è abbastanza simile a una cosa ovvia. E penso che tutti, se ci pensano su, accetteranno almeno questo. Cominciamo con l’assumere che qualsiasi struttura di autorità e di dominio debba giustificarsi. Non è qualcosa che si auto-giustifichi. Ha l’onere della prova. Deve dimostrare di essere legittima. Se stai facendo una passeggiata con tuo figlio e il bambino corre in strada, tu gli prendi il braccio e lo riporti indietro: questo è un esercizio di autorità. Ma è legittimo. Puoi avere una giustificazione per averlo fatto. Ed esistono altri casi come questo in cui una giustificazione c’è. Ma nella maggior parte dei casi, se li si osserva da vicino, una giustificazione invece non c’è. E sono i casi di cui David Hume, Edward Bernays, Walter Lippmann, Adam Smith e altri hanno discusso per secoli. Si tratta, insomma, di autorità illegittime. Bene: le autorità illegittime dovrebbero essere smascherate, sfidate e sconfitte. E questo nella vita è sempre vero.
Klein
Una delle critiche che ascolterai è questa: quando si ha a che fare con strutture dotate di livelli economici complessi, c’è bisogno di un certo quantitativo di organizzazione gerarchica – che credo tu descriveresti, in molti casi, come “dominazione”. Insomma, per fare un esempio, se devi sviluppare e distribuire un vaccino a mRNA durante una pandemia, c’è bisogno di una vera organizzazione gerarchica per poterlo fare. E non tutti sono uguali nel momento in cui si prendono le decisioni. Serve qualcuno che guidi l’organizzazione. Serve qualcuno che diriga il laboratorio. E questo è difficile se stai prendendo ogni decisione partendo da zero e in tempo reale. Che cosa pensi di questo compromesso tra complessità e necessità di decidere?
Chomsky
Io non penso che si tratti di un compromesso se questo avviene in una società libera e democratica. Una società libera può selezionare delle persone che abbiano un’autorità amministrativa o di altra natura perché si facciano carico di una parte della gestione del bene comune. E possono essere rimosse da quel ruolo, perché su di loro si esercita un controllo popolare. E non si trovano a ricoprire quell’incarico perché il loro nonno aveva costruito delle ferrovie o perché sono stati capaci di brigare in campo finanziario per trovarsi poi con una montagna di soldi. Non si trovano lì per ragioni di questo tipo. Si trovano lì perché hanno ricevuto un mandato dal popolo che esercita l’autorità e li sottopone a verifica: non c’è nessuna delle strutture gerarchiche e di dominio a cui lei faceva riferimento.
È quello che accade, per esempio, nelle aziende sotto il controllo dei lavoratori, alcune delle quali sono anche enormi. Prenda la Mondragon, che è la più grande di queste e che esiste da circa 60 anni nel Nord della Spagna. È di proprietà dei lavoratori e sono loro che la gestiscono. Ed è un gruppo gigantesco con produzione industriale, banche, alloggi, ospedali e tutto. Non è perfetta sotto tutti i punti di vista, ma si basa sul principio fondamentale del controllo democratico popolare e sulla concessione di deleghe per svolgere funzioni manageriali quando è necessario. Funzionano in questo stesso modo anche quasi tutti i buoni laboratori universitari per la ricerca. Magari viene scelto un presidente di dipartimento per gestire il lavoro amministrativo e se a chi lavora nella facoltà poi non piace viene scelto qualcun altro. Con questi criteri si possono senz’altro creare strutture di ogni tipo che permettano un’organizzazione funzionante. Di fatto, la società anarchica dovrebbe essere altamente organizzata, ma dovrebbe essere sempre sotto il controllo popolare di una comunità libera e informata che possa agire senza che vi siano altre forze illegittime che vogliano esercitare il potere.
Klein
Ma se si tende in quella direzione, come si fa a non ricadere di nuovo nel concetto di democrazia rappresentativa?
Chomsky
La democrazia rappresentativa non esiste. Se ci fosse davvero una democrazia rappresentativa sarebbe molto simile a una cosa così: la comunità selezionerebbe delle persone per svolgere un dato compito perché sono brave in quello o forse perché hanno voglia di occuparsene mentre altri non ne hanno voglia e preferiscono fare altro. Ma tutto sarebbe sempre sotto la supervisione del popolo, con la rimozione dall’incarico se necessario e con un’interazione costante. Credo infatti che ci dovrebbe essere una partecipazione a tutti i livelli.
Ora, prendiamo proprio il suo esempio: la distribuzione di un vaccino. Le persone dovrebbero poter avere voce in capitolo al riguardo. Come vogliamo che si svolga questa cosa? Come dovremmo comportarci se qualcuno si rifiuta di accettare il vaccino? Questo è un problema reale che stiamo affrontando proprio ora. Quasi la metà dei Repubblicani rifiuterà di farsi vaccinare. E questo significa che non usciremo mai dalla crisi innescata dal Covid perché non raggiungeremo mai un livello di immunità sufficiente a renderlo una semplice influenza non più letale, per evitare la quale ci sia magari da fare annualmente una dose di vaccino. Ma così non arriveremo mai a quel punto.
Oppure supponiamo che qualcuno dica: «Non indosserò una mascherina». Che cosa dobbiamo fare a questo riguardo? Bene, questi sono i problemi su cui la comunità deve decidere. Supponiamo che qualcuno dica: «Non ho intenzione di obbedire alle leggi sul traffico, non mi piacciono. Passerò con il semaforo rosso e guiderò sul lato sinistro della strada, perché voglio essere libero». Ecco, bisogna prendere delle decisioni al riguardo. E peraltro dire «Non indosserò una mascherina» non è molto diverso da questo, perché è come dire «Vado al centro commerciale e se ti infetto è un problema tuo». Le comunità dovranno prendere decisioni su cose di questo tipo.
Klein
Se siamo tornati a un sistema in cui alcuni dicono «Beh, dovete indossare una mascherina e dobbiamo fare un lockdown fermando l’economia» e altri dicono «No, questa è un’imposizione ingiusta che non accetto», allora mi sembra che stiamo parlando della necessità di fare modifiche più marginali di quanto non faccia pensare la parola “anarchismo”
Chomsky
Ma come? Eliminare i rapporti subordinati di lavoro sarebbe una cosa “marginale”?
Klein
Beh, ma allora mi parli di questo. Come eliminerebbe i rapporti subordinati di lavoro?
Chomsky
Nel modo in cui i lavoratori del XIX secolo – ragazze impiegate in fabbrica e agricoltori – volevano farlo. I lavoratori dovrebbero avere la gestione dell’azienda nella quale lavorano. Gruppi di agricoltori dovrebbero unirsi e trovare il modo per gestire il marketing e lo sviluppo esercitando loro stessi un controllo cooperativo. E chi lavora nel settore dei servizi dovrebbe fare la stessa cosa. È così che dovremmo avanzare verso un controllo popolare sulle istituzioni. Sarebbe un mondo totalmente diverso da quello in cui viviamo. Non è una cosa marginale. Ma lei ha perfettamente ragione sul fatto che affiorerebbero continuamente dei conflitti. È una cosa inevitabile. Prenda la famiglia più felice del mondo: anche al suo interno ci saranno dei conflitti. E bisogna trovare dei modi per ricomporli.
Un mondo in cui non ci sono conflitti non lo vorremmo neanche. Viverci sarebbe troppo noioso. Ci sono opinioni diverse, atteggiamenti diversi e idee diverse. È così che avviene il lavoro creativo. È così che avvengono i cambiamenti. La vita dovrebbe essere strutturata in modo tale che le diversità possano essere gestite in maniera civile, come capita, per esempio, in una famiglia felice o in un’impresa ben gestita o in un buon dipartimento universitario o in un’industria efficiente di proprietà dei lavoratori. Ci sono un sacco di strutture di questo tipo: cooperative di contadini, associazioni di agricoltori e altre organizzazioni di questo tipo. Vorremmo che il mondo fosse strutturato in modo da poter avere interscambi civili e meditati con l’obiettivo di provare a risolvere i problemi che ci sono.
Klein
Lei ha descritto se stesso come uno che ha un atteggiamento un po’ conservatore rispetto ai cambiamenti sociali. In che senso la sua visione dei cambiamenti sociali è conservatrice?
Chomsky
Io non penso che possano verificarsi cambiamenti sociali significativi e costruttivi finché una larga maggioranza della popolazione non si sia resa conto che senza una modifica del sistema esistente non sarà possibile raggiungere gli obiettivi che questa stessa maggioranza della popolazione ritiene equi e giusti. Solo a quel punto potrà esserci un radicale cambiamento nella società. Se invece questo cambiamento venisse forzato anzitempo, allora io penso che si finirebbe per cadere di nuovo in una struttura autoritaria di qualche tipo.
Klein
Lei, che ha da poco scritto un libro al riguardo (“Minuti contati. Crisi climatica e Green New Deal globale”, pubblicato in Italia da Ponte alle Grazie, ndr), crede che il sistema politico degli Stati Uniti e la politica globale siano in grado di affrontare la crisi climatica con la forza e la rapidità necessaria?
Chomsky
Beh, a questa domanda si può rispondere in due modi. E se la risposta è “no”, allora possiamo dirci reciprocamente addio. È semplice. Sappiamo come fare. Gli strumenti ci sono. Ed è una cosa fattibile. È tutto spiegato nella parte di quel libro che è stata scritta dal mio co-autore Robert Pollin, acuto economista che ha lavorato per anni su questi temi e che descrive metodi che funzionano. Molti di questi metodi si stanno già applicando e potrebbero risolvere davvero la crisi climatica e condurci verso un mondo migliore. Anche altri – come ad esempio Jeff Sachs del Columbia Earth Sciences Institute, che ha elaborato dei suoi modelli un po’ diversi – hanno fatto studi analoghi e sono giunti alla stessa conclusione: è una cosa che si può fare. E sappiamo che dobbiamo farla. Quelli fra noi che hanno voglia di guardare in faccia la realtà sanno che questa cosa va fatta entro un paio di decenni. Ed ecco che arriviamo alla sua domanda: «Gli esseri umani sono capaci di salvare se stessi da un suicidio di specie»? Perché il punto è questo. E io non conosco la risposta a questa domanda. Nessuno la conosce.
Klein
Che cosa pensa del movimento per la decrescita?
Chomsky
Qualcosa di giusto c’è. Ma per risolvere la crisi climatica c’è bisogno di crescita. È necessario sviluppare sistemi di energia alternativi. C’è un enorme lavoro da fare. È necessario ricostruire gli edifici e le città. È necessario che ci siano trasporti di massa efficienti. È necessaria una crescita in molti campi. Ora: quella di cui c’è bisogno è però una crescita del tipo giusto e non una crescita basata sul consumo e sullo spreco, su quello che domani è già da buttare, sull’uso di plastiche non biodegradabili e su quei processi agricoli distruttivi che, a causa dell’abuso di fertilizzanti, stanno distruggendo i terreni. C’è bisogno del giusto di tipo di crescita.
Klein
Mi permetta di farle una domanda su un’altra tecnologia che, a quanto lei dice, potrebbe risolvere molti problemi, e cioè sull’automazione, che di solito è invece vista come una cosa che fa perdere il lavoro alle persone. Ho sentito che lei ne parla invece con un interessante punto di vista ottimistico: lei ritiene che, se si adottassero delle politiche giuste al riguardo, l’automazione potrebbe essere lo strumento per costruire un futuro migliore ed economicamente più dignitoso per le persone. Mi parla dell’automazione e del suo ruolo nell’economia futura?
Chomsky
Tutti i lavori noiosi, usuranti e pericolosi che ci sono sulla faccia della Terra dovrebbero essere automatizzati il più possibile. Questo renderebbe più libere le persone che potrebbero così dedicarsi a occupazioni migliori, più creative, più appaganti e meno rischiose. E questo sarebbe un bene. Il modo in cui si introduce l’automazione è una questione di politica sociale ed economica. E può essere fatto in modi molto diversi. Sulle possibili scelte che si possono fare al riguardo, mi lasci soltanto menzionare gli importanti e attenti studi che sono stati condotti da un mio ex collega, il brillante storico della tecnologia David Noble, che purtroppo è scomparso un paio di anni fa. La sua opera principale è dedicata all’industria delle macchine utensili che è stata un elemento centrale del moderno capitalismo. A partire dagli anni Cinquanta l’industria delle macchine utensili ha iniziato a essere automatizzata. Stavano arrivando i sistemi di elaborazione numerica. Stavano arrivando i computer. E, grazie all’uso dei nuovi strumenti, stavano sviluppandosi varie possibilità di trasformazione di quel settore industriale.
C’erano due modi di procedere. E furono sperimentati entrambi. Una strada era quella di approfittare dell’automazione per sostituire gli operatori esperti con operatori senza competenze – e di trasformare i lavoratori in robot incaricati soltanto di eseguire gli ordini. L’altra strada era quella di approfittare dell’automazione per collocare più potere nelle mani degli operatori qualificati. Come Noble dimostra in modo piuttosto convincente, non c’era alcuna ragione economica per scegliere la prima delle due strade. E invece la si è imboccata quella strada, eccome se la si è imboccata, ma lo si è fatto per ragioni di potere. La classe dei proprietari e dei dirigenti vuole dequalificare le persone, vuole trasformarle in soggetti subordinati, non vuole che siano soggetti che agiscono con indipendenza. Quindi la classe dei proprietari sceglie il tipo di automazione che dequalifica gli operatori delle macchine – che ci sono ancora ma non hanno alcuna competenza – e li trasforma in servi più che in soggetti che possano esercitare un controllo e agire con indipendenza. E questa è una cosa che avviene tutte le volte.
Klein
Secondo lei, quante probabilità ci sono che nel prossimo decennio sia utilizzata una bomba nucleare nel corso di un conflitto?
Chomsky
Beh, si può prevedere con abbastanza tranquillità che questo non avverrà. Perché se invece verrà utilizzata una bomba nucleare non ci sarà più nessuno a cui la cosa possa importare. E quindi nessuno potrà dirmi che avevo torto. No, in realtà sto esagerando. Stiamo parlando di un conflitto tra le maggiori potenze nucleari. Tra l’India e il Pakistan potrebbe scoppiare una guerra nucleare che probabilmente spazzerebbe via l’Asia meridionale, ma altrove le persone sopravvivrebbero. Se invece la guerra nucleare fosse tra gli Stati Uniti e la Cina o tra la Cina e la Russia, allora questo vorrebbe dire, in sostanza, che tutto è finito. Voglio dire, ci sarebbero dei superstiti, ma nessuno vorrebbe vivere nel mondo che riemergerebbe da un simile conflitto. E
siste un trattato internazionale che è stato da poco preso in esame dall’Assemblea generale delle Nazioni unite: il Trattato per la proibizione delle armi nucleari. “Proibizione” significa che non si possono costruire e che non si possono immagazzinare. “Proibizione” significa “sbarazziamoci delle armi nucleari”. Ma purtroppo nessuno dei Paesi che hanno armi nucleari ha firmato l’accordo. Se gli Stati Uniti volessero dimostrare di avere quella leadership del quale gli intellettuali americani parlano così volentieri, ok, ecco un modo per farlo. Che prendano l’iniziativa e guidino gli sforzi per far sì che venga approvato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Voglio dire, non mi parrebbe una posizione estremista. È stata sostenuta da persone come Henry Kissinger, come George Shultz, segretario di Stato con Reagan, o come Sam Nunn. E cioè da persone che sono state proprio nel cuore di un sistema basato sulle armi nucleari e hanno capito che una guerra nucleare non può esserci. E che dobbiamo agire per eliminare queste armi.
C’è anche un altro modo per procedere in questo senso in modo significativo: stabilire in giro per il mondo delle zone libere da armi nucleari. Questo non risolverebbe il problema, ma contribuirebbe a ridurlo. E mostrerebbe in modo simbolico – e questa non sarebbe una cosa irrilevante – che vogliamo rinunciare a queste armi. E che le riteniamo totalmente sbagliate. E che non vogliamo averci nulla a che fare.
Klein
Mi sembra opportuno fermarci qui, così possiamo riflettere su questa cosa.
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