«La popolarità di Vladimir Putin per ora è in salita. E sempre più gente sostiene l’offensiva in Ucraina». Per Lev Gudkov, membro dell’istituto di sondaggi indipendente Levada, intervistato da Repubblica, la propaganda del Cremlino unita alla repressione sta portando i suoi risultati. «La percentuale di quanti credono che il Paese stia andando verso la giusta direzione è aumentata notevolmente», dice.
Stando all’ultima rilevazione dell’istituto, dichiarato “agente straniero” dalle autorità, in un mese di “operazione militare speciale”, il tasso di approvazione di Vladimir Putin è balzato dal 71% di febbraio all’83% di marzo. Il presidente russo starà perdendo la battaglia sul terreno in Ucraina, ma sta vincendo la battaglia in patria. Neanche le immagini dei morti di Bucha sposteranno l’orientamento della popolazione. «La gente non protesterà per quello che è successo perché è stata convinta che non sia reale», continua Gudkov. «Tutte le reti tv mandano in onda solo smentite. Dicono che si è trattato di una messinscena, di una montatura».
A oltre cinque settimane dal lancio dell’offensiva in Ucraina, consenso e rabbia verso l’Occidente hanno preso il sopravvento. Il messaggio della “lotta al nazismo” ha fatto leva sull’elemento più unificante dell’identità nazionale nel Paese erede dell’Urss che ha battuto Hitler.
Ma molto ha fatto anche la repressione. Dopo l’entrata in vigore della legge sulle fake news e oltre 15mila arresti, in strada non si vedono i cortei delle prime settimane ma solo picchetti solitari. Molti di quanti si opponevano a quello che accade in Ucraina sono andati via dal Paese. E i pochi che restano trovano le porte delle loro abitazioni imbrattate dalla scritta “traditori”.
I più stretti collaboratori di Putin condividono con lui il retroterra ideologico e sono pronti a portare avanti la guerra. E tra le cerchie più ampie delle élite, le sanzioni hanno avuto l’effetto opposto a quello sperato dall’Occidente. «Capiscono che ora le loro vite sono legate solo alla Russia e che devono costruirle qui. Si sentono offesi e non rovesceranno nessuno», spiega la giornalista indipendente Farida Rustamova. Altri, spiega Lev Gudkov, «sono spaventati perché la repressione nei loro confronti si è fatta più dura. In passato veniva arrestato soltanto il 2% dei dirigenti di alto livello: governatori, ministri e loro vice. Negli ultimi cinque-sei anni, invece, il 10-12% della nomenklatura suprema. Perciò stanno zitti».
Secondo il centro statale Vtsiom, il 74% della popolazione sostiene la cosiddetta “operazione militare speciale”. A quanti mettono in dubbio la bontà delle risposte degli interlocutori, alla luce delle leggi sempre più repressive, Gudkov risponde: «Per nascondere la propria opinione, bisognerebbe averne una. Per ogni moscovita ci sono circa 15-17 fonti d’informazione, un numero che, di per sé, crea una certa criticità nei confronti di ogni notizia. In provincia, invece, dove vivono circa due russi su tre, ci sono solo due o tre fonti: un canale tv federale e un canale tv o una radio locale. Lì non hai scelta. Internet arriva a stento. E una famiglia dal reddito di 25-30mila rubli non può permettersi un pc da 60mila».
Ma, secondo Gudkov, non c’è “un effetto Crimea”: «Allora ci fu un vero e proprio slancio, un’euforia, un’estasi nazionalista. Adesso lo sfondo emotivo è diverso: c’è paura, disperazione, depressione, smarrimento e persino indignazione. Ma la gente accetta quello che accade perché ha negli occhi solo il quadro che le mette davanti una macchina propagandistica e demagogica aggressiva e menzognera che opera 24 ore su 24. La gente comprende che sia stata violata qualche norma internazionale, ma crede che sia stato fatto in nome di un bene superiore: la difesa dei “nostri” dai nazisti ucraini che praticavano il genocidio».
Andrà considerato però anche l’effetto delle sanzioni. «Finora sono state percepite solo nelle grandi città che in un mese hanno visto emigrare circa 200mila persone. Un esodo mai visto. Ma presto ci sarà un effetto a catena: crescita della disoccupazione, inflazione, carenza di generi alimentari e farmaci, sospensione delle industrie, ritiro delle aziende occidentali con riduzione del personale. Le conseguenze non si manifesteranno prima della metà dell’estate. E ci vorrà del tempo perché la gente se ne renda conto. I russi, sotto questo punto di vista, sono inerti».