Dégorger à la volée. Sentite come suona bene, com’è suadente questa frase. Come ci fa pregustare un momento unico ed elegante, come ci predispone naturalmente a un’esperienza di grande raffinatezza, e ci seduce con la sua soave leggerezza fatta di bollicine.
Questa pratica, che nelle cantine è svolta in maniera automatizzata, in alcune occasioni viene realizzata a mano, per verificare come il vino spumante sta evolvendo in bottiglia.
Ma partiamo dall’inizio: per produrre le bollicine con il metodo classico, quello che viene usato per fare lo champagne, il vino fa la sua seconda fermentazione in bottiglia, con il tappo a corona. Solo quando i lieviti hanno finito la loro opera le bottiglie vengono stappate, le fecce residue dei lieviti vengono espulse con la pressione e il vino è pronto per la sua fase finale. È questo il momento in cui viene aggiunto il “dosaggio” e il vino diventa da pas dosé (senza aggiunte) a extra brut, fino a brut, demi-sec e doux, andando ad aumentare con la dolcezza.
Se il dégorgement avviene durante una serata, in un ristorante, davanti a delle persone che non hanno mai partecipato a questa esperienza, la magia che si compie davanti alla bottiglia è unica. Bere un vino che non è ancora finito, che non è in commercio e che non potrà mai essere “così” se non nel momento esatto in cui questa cosa avviene, renderà quella serata indimenticabile per tutti gli appassionati.
Questa magia si è compiuta proprio durante una delle cene di Forketters, l’esperimento di social dinner che Anna Prandoni e Chiara Buzzi hanno organizzato e che il nostro giornale sostiene, nella sala di Marco Ambrosino, chef del 28posti di Milano. Dopo l’apertura con l’ormai classico gin tonic, preparato dal magistrale Leo Todisco con Gin Engine, che sarà poi anche la chiusura della serata in pairing con il dolce, la cena è stata condotta con grande piacevolezza.
Il menu proposto dallo chef è la sua nuova proposta primaverile e ha sedotto gli ospiti con la sua varietà e per la sua espressione gastronomica: lo chef con grazia e precisa eleganza dosa creatività e ingegno, ingredienti e pratiche consuete con fermentazioni e tocchi esotici, in grado di stupire ad ogni assaggio e di donare complessità e ricchezza alla degustazione. Accanto a questa esplosione di sapori, il momento “clou” della serata è stato senz’altro la “nascita” del vino.
Perché oltre al piacere di bere un vino unico, l’esperienza è completata dalla grande professionalità e manualità che questo gesto richiede. Occorre stappare con precisione per far uscire le fecce, girando la bottiglia nell’esatto momento in cui l’aria dal fondo arriva al collo. È una questione di istanti, per fare in modo che escano solo le fecce senza perdere troppo di vino.
Se il tappo viene tolto un istante prima si rimescolano i lieviti, mentre un secondo dopo si perderebbe una quantità eccessiva vino. Tolto il tappo, i lieviti e i depositi tartarici vengono spinti all’esterno dalla pressione nella bottiglia sprigionando energia e dinamismo. Servono gesti precisi e veloci, e alla fine il vino che ritroviamo nel bicchiere è la più pura espressione che possiamo avere: il Kellermeister di Cantina Kaltern, Andrea Moser, ha reso questo momento entusiasmante, dando ai non esperti l’occasione di vedere dal vivo una pratica normalmente riservata solo agli addetti ai lavori. Nel bicchiere, la scoperta di un vino con una acidità spiccatissima ma anche con grande spinta, grande eleganza e una bevibilità inattesa. Un vino che non potremo bere in nessuna altra occasione, perché questo momento – di solito – è riservato agli enologi per capire l’evoluzione del prodotto e per scoprire come lavorare prima di procedere alla tappatura finale.
Per i presenti, l’occasione unica di vivere un “dietro le quinte” diverso, che rende questo esperimento legato al mondo della ristorazione un’occasione, che ogni volta cambia e offre spunti di riflessione e di emozione diversi. Per partecipare, ecco il calendario delle prossime cene.