Le contraddizioni di GiorgiaMeloni presenta il programma per governare, ma non sa ancora con chi

La leader di Fratelli d’Italia ha aperto a Milano la conferenza programmatica allargando i confini del suo partito, ma non ha citato neanche una volta gli alleati del centrodestra. E ha proposto una politica europea di difesa unica, ma senza rinnegare il sovranismo che la ostacola

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Il primo a non sottovalutare l’appuntamento di Fratelli d’Italia, che si è aperto ieri a Milano, è il leader del Partito democratico, Enrico Letta. E fa bene. Dice che intende raccogliere la sfida del governo. Precisa di essere radicalmente alternativo a quello che la destra sta pensando e proponendo, ma si rende conto di dover guardare con attenzione e preoccupazione a ciò che accade nel partito che tutti i sondaggi danno in testa, sopra il 21%.Davanti agli stessi Democratici, anche se di un pelo. 

Anche il sindaco di Milano Beppe Sala, intervenendo alla kermesse di Fratelli d’Italia, ha ricordato questo primato e i 44 mila voti presi da Giorgia Meloni nella sua città. Senza risparmiare nulla, ma proprio nulla, nella critica alla visione sovranista e conservatrice sul piano dei diritti civili e delle emergenze (ambientale, economica e oggi militare): si possono affrontare solo ed esclusivamente all’interno di una logica europea e globale. 

Il sindaco ha voluto ricordare Giuseppe Tatarella: il teorico del dialogo di Alleanza Nazionale, il quale sosteneva che il nemico lo sconfiggi o ti sconfigge, mentre con l’avversario, anche se ti sconfigge, continua il confronto. 

Politico maturo e adulto, Letta non ha una visione ideologica, non guarda alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia (dal titolo “Italia, energia da liberare, appunti per un programma conservatore”) come se fosse un passaggio di routine della politica italiana. Fa bene a non sottovalutare l’avversario: bisogna conoscerlo e studiarlo bene se lo si vuole battere nelle urne, non a chiacchiere, e se vuole evitare il pericolo di trasformare l’Italia in un Paese governato da chi ha fatto del sovranismo e dell’identità nazionale la sua cifra politica. 

I due, Enrico e Giorgia, si sono annusati e conosciuti da vicino in questi ultimi tempi in diversi incontri pubblici. Si sono legittimati a vicenda, provocando litri di bile a Matteo Salvini, che sta perdendo peso elettorale, mentre lei ha monopolizzato l’opposizione. Con la conseguente presa di consenso nell’elettorato più debole, quello che subisce l’aggravarsi progressivo delle condizioni sociali ed economiche in cui ci troviamo e, peggio ancora, ci troveremo quando si faranno sentire gli effetti devastanti della guerra in Ucraina. Non a caso il Pd è tanto sensibile alle sirene della sinistra più radicale e della Cgil, mentre Giuseppe Conte si traveste da Mélenchon in salsa italiana. 

Ma la presidente del Partito Conservatore europeo nel suo discorso è riuscita a proseguire la svolta di Fiuggi e a proporre una destra repubblicana che si lascia alle spalle gli istinti trumpiani, le tentazioni exit dei cugini britannici, le pulsioni anti-europeiste dell’ungherese Viktor Orbán?

L’opzione atlantista contro Mosca, a fianco del governo di Varsavia (padrone nel gruppo e nel partito dei Conservatori), non basta perché Giorgia Meloni continua a declinare l’Europa come un insieme di nazioni e di patriottismi confederati che non può evolvere in una politica estera e di difesa comuni, bloccata com’è dal diritto di veto anche di piccoli Paesi. 

Eppure ieri Meloni ha criticato l’Europa proprio perché non ha una politica estera e di difesa comuni. E non ha smentito, questo è Il punto esiziale, la tesi secondo cui la legge italiana è sempre prioritaria alle norme europee. 

«Tornare padroni del nostro destino» per Meloni significa anche una revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per questo propone di concentrare le risorse su «obiettivi raggiungibili» e non sulla transizione ecologica «fatta con materiale cinese che viene prodotto con le centrali a carbone e la devastazione ambientale dell’Africa». E parla di Europa confederale che dovrebbe giocare un ruolo internazionale e autorevole nei confronti di Putin e nel mondo, aumentando le spese militari. 

Ma come si fa se queste spese sono sostenute dai singoli Paesi e non da Bruxelles? Se la legge italiana dovrà sempre prevalere sulle decisioni comunitarie e Paesi come Polonia e Ungheria bloccano ogni passo in questa direzione?

Come si può dire «essere alleati e non sudditi degli Stati Uniti ha un costo» se non nasce una vera Federazione europea? Come si può chiedere un «fondo di compensazione per le Nazioni più colpite dalla guerra, al quale deve partecipare tutto l’Occidente, compresi gli Stati Uniti meno colpiti», se il sovranismo è l’alfa e l’omega del suo approccio? Meloni avrebbe dovuto parlare di sovranismo europeo, allora.

Rimane il dato di fondo: le contraddizioni tra la giusta critica alla globalizzazione mercantile e speculativa e un patriottismo sempre in difesa dell’interesse nazionale. «Noi – ha gridato Meloni da un palco milanese adatto a un concerto rock – non abbiamo padroni, il popolo italiano è l’unico padrone che abbiamo. La patria è la prima delle madri e capisco quelle madri ucraine che hanno lasciato i loro bambini al sicuro e sono tornate a combattere, magari a morire».

Meloni si prepara a governare, allargando i confini del suo partito a personaggi che nulla hanno a che fare con la tradizione missina e di Alleanza Nazionale, come Marcello Pera, Giulio Tremonti, Carlo Nordio, Luca Ricolfi, l’ex presidente della Confindustria veneta Matteo Zoppas, il docente di economia dell’impresa Cesare Pozzi e Stefano Donnarumma che guida Terna. Tra questi nomi che interverranno alla conferenza programmatica in questi tre giorni, Meloni pensa di pescare i ministri di un futuro governo. Ma di quale governo? Con chi?

Il centrodestra sembra cerebralmente morto. Nessuno della Lega e di Forza Italia è stato invitato a Milano. Meloni, Salvini e Berlusconi non riescono a mettersi d’accordo neanche sul candidato sindaco di Palermo e vanno divisi con candidature concorrenti. 

Nel suo discorso, non a caso, Meloni non ha fatto il minimo cenno al centrodestra. Ha totalmente ignorato i presunti alleati. Ha sorvolato per carità di Patria, è il caso di dirlo, visto il patriottismo di Giorgia. Le parole espresse ieri dalla leader di Fratelli d’Italia rischiano di rimanere lettera morta senza una coalizione che vince, dando per scontato che da sola non ci riuscirà. Una maledizione che schiaccia i due schieramenti, perché anche dall’altra parte, a sinistra, finora l’encefalogramma sembra piatto.