Il terzo turnoMelenchon e Le Pen puntano alle legislative per opporre a Macron la “coabitazione”

Il 12 e 19 giugno si eleggeranno i deputati della Assemblea Nazionale. Forte del 22% dei consensi il capo della France Insoumise spera di diventare primo ministro. E anche la leader del Rassemblement national conquisterà parecchi collegi, ma la distribuzione disomogenea dei consensi non dovrebbe creare troppi problemi al presidente rieletto

LaPresse

Terminate le elezioni presidenziali, la politica francese si prepara al “terzo turno”, le elezioni legislative del 12 e 19 giugno che chiuderanno la sequenza elettorale con la scelta dei membri dell’Assemblea nazionale. Le legislative sono, di fatto, 577 mini-presidenziali: il territorio è diviso in altrettanti collegi uninominali che eleggono il proprio deputato in un sistema maggioritario a doppio turno, con delle regole che premiano i partiti più forti.

Al ballottaggio si qualificano infatti i primi due candidati per numero di voti e tutti gli altri candidati che superano il 12,5% degli iscritti (con un’astensione tradizionalmente del 50%, vuol dire il 25% dei voti). Questo rende possibili dei ballottaggi “triangolari” o addirittura “quadrangolari”, che contribuiscono a rafforzare il primo partito, che in casi del genere ha bisogno soltanto della maggioranza relativa per conquistare il seggio.

Il meccanismo è pensato per consegnare una maggioranza solida al partito del presidente appena eletto, grazie al sistema elettorale e alla fisiologica smobilitazione degli avversari, usciti sconfitti nell’elezione principale e quindi meno capaci di riportare i propri simpatizzanti alle urne. Tuttavia, il contesto di grande divisione in tre blocchi emerso dal primo turno del 10 aprile sembra aver dato qualche speranza in più agli oppositori di Emmanuel Macron, che vorrebbero sfruttare le legislative per ribaltare il risultato delle presidenziali e ottenere una maggioranza politica capace di imporre al presidente una “coabitazione”, oppure ottenere un risultato tale da impedirgli di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi, e quindi costringerlo a un governo di coalizione.

Il leader della France insoumise, Jean-Luc Mélenchon, punta al primo scenario: il 19 aprile, in un’intervista alla rete televisiva Bfm Tv, ha chiesto ai francesi di eleggerlo primo ministro, votando per una maggioranza di sinistra. Con il suo 22% ottenuto al primo turno, Mélenchon è effettivamente in buona posizione per aspirare a un risultato di rilievo alle legislative, ma deve riuscire a tenere insieme i quattro partiti che oggi compongono la galassia di sinistra e negoziare candidature uniche in tutti i collegi. Non sarà semplice riuscirci, né questo di per sé garantisce la vittoria.

Marine Le Pen, invece, sembra privilegiare il secondo scenario: la leader del Rassemblement national non ha intenzione di ritirarsi dalla vita politica, e riuscirà molto probabilmente a conquistare parecchi collegi. Difficile tuttavia che questo renderà il suo partito decisivo, anche perché la distribuzione dei consensi non è omogenea nel territorio nazionale. In ogni caso, rispetto al 2017 quando Mélenchon e Le Pen ebbero al primo turno dei risultati comparabili al 2022 ottenendo poi rispettivamente 17 e 8 deputati, la situazione è molto diversa, e per Macron non sarà una passeggiata.

Ecco perché una delle prime scelte importanti che dovrà compiere il presidente è la nomina del nuovo primo ministro e del governo. Quello attuale, Jean Castex, non sarà riconfermato, anche perché il ruolo cambierà profondamente: Castex ha avuto la funzione di collaboratore senza grande peso politico all’interno di una maggioranza presidenziale piuttosto coesa, mentre il suo successore avrà due compiti cruciali e più politici. In primo luogo condurrà la campagna elettorale per le elezioni legislative, alle quali è tradizione che alcuni ministri siano anche candidati. Non è un esercizio semplice, come dimostrano le dichiarazioni di Le Pen e Mélenchon, e prevede una certa dimestichezza con la contesa elettorale.

In seguito, e questa sarà la seconda funzione, il primo ministro dovrà occuparsi di tenere insieme politicamente il gruppo parlamentare macronista e i suoi alleati, un compito più complesso rispetto al 2017, quando la disciplina era assicurata dal fatto che il presidente in esercizio avrebbe cercato un secondo mandato, e dunque nessuno aveva interesse a disattendere le consegne della maggioranza. Stavolta non sarà così: Macron non potrà più ricandidarsi, e all’interno del suo partito, eterogeneo dal punto di vista delle provenienze partigiane, si aprirà la battaglia per la successione, vera rivoluzione politica dei prossimi cinque anni.

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