Cosa accadrebbe se tutti gli abitanti della Terra scegliessero di rinunciare alla carne? Marco Springmann, ricercatore all’Università di Oxford, ha calcolato che se l’intero pianeta diventasse vegetariano, entro il 2050 le emissioni dovute alla produzione di cibo crollerebbero del 60%, arrivando addirittura al 70% nel caso più radicale di dieta vegana. Questo significa necessaramente consumare una varietà di vegetali, semi e cereali molto più ampia di quella attuale. Materia da food scouter, una figura pressoché sconosciuta in Italia, ma già ben presente all’estero dove questo genere di professionisti affianca regolarmente gli chef nella ricerca di prodotti di nicchia. Guido Botticelli è un buyer specializzato in ambito vegetale e ha portato a Contrada Govinda, il ristorante di Davide Longoni a Milano, piccole chicche come il carciofo violetto di Castellammare di Stabia, le cui foglie durante la crescita vengono protette da una coppetta di terracotta così da essere consumate crude senza scarto e il pisello Centogiorni del Vesuvio, presidio Slow Food salvato dal rischio estinzione. Il ristorante, all’interno del centro culturale Hari Krishna, segue i dettami della cucina indiana vegetariano-vegana: bandite la carne e le uova, la giovane chef georgiana Nata Qatibashvili propone una carta ispirata ai principi della cucina circolare con verdure, spezie e legumi in primo piano. Un esempio pratico di cosa voglia dire fare impresa ed essere etici è il recupero quotidiano di materie prime e eccedenze, al ristorante e in tutte le sette panetterie di Milano. Da anni, buona parte del pane e dei dolci invenduti a fine giornata viene donato a Pane Quotidiano, una onlus che si occupa di distribuire generi alimentari a chi non può permettersi di fare la spesa a prezzo pieno; il resto finisce nelle box di Too Good To Go, la app attraverso cui è possibile acquistare a prezzo scontato generi alimentari che non possono essere venduti il giorno dopo.
«L’unica rivoluzione che possiamo fare è quella della gentilezza» chiosa Giovanni Mineo cresciuto alla corte di Longoni e dal 2018 anima del panificio Crosta insieme con Simone Lombardi. «La pandemia ha alzato il velo su molti aspetti della nostra esistenza. Essere gentili, fare la nostra parte in questo mondo iperconnesso, ridistribuire un po’ di ricchezza è da sempre la nostra filosofia. Siamo stati tra i primi ad adottare la app tre anni fa. Non lo facciamo per guadagnarci ma per recuperare i costi vivi e diffondere un messaggio positivo. Chi ci conosce sa che le nostre box sono davvero generose e per questo motivo quando le facciamo vanno letteralmente a ruba».
Spesa etica anche da ZeroPerCento, la bottega che dà lavoro a persone con disabilità intellettiva con due punti vendita, uno in zona Niguarda e uno in zona Sarpi. Qui gli imballaggi sono banditi il più possibile e i prodotti venduti alla spina sono buoni due volte, perché pagano il giusto prezzo alla fonte e coinvolgono cooperative impiegnate nel reinserimento lavorativo dei detenuti: i lievitati della Pasqua arrivano dal laboratorio di pasticceria dell’istituto penale minorile Beccaria, la birra artigianale dal carcere romano di Rebibbia, il riso da un’azienda virtuosa alle porte di Milano. Il fresco di giornata o vicino alla scadenza viene recuperato attraverso le box, due o tre al giorno al giorno.
Stessa filosofia virtuosa anche per Fluid Fresh Food, il regno di frutta e verdura pronta da mangiare. Luca De Carolis spiega che l’idea di proporre cibo sano a chi mangia tutti i giorni fuori a pranzo gli è venuta qualche anno fa, considerando il gran numero di uffici in centro. Poi il Covid ha scombinato le carte e di quattro punti vendita oggi resiste solo quello di piazza Cavour, davanti a giardini Montanelli. Sperando che “passi a nuttata” e che le persone tornino in ufficio, si lavora con materia prima sempre freschissima da assemblare nelle bowl.
Il cambio di passo verso il non spreco è necessario non solo per rispettare le normative sempre più stringenti in materia ma soprattutto perché ogni singola scelta che facciamo ha un peso che impatta sull’ambiente. Da dove arriva il prodotto che sto acquistando o consumando al tavolo del ristorante? Chi lo ha prodotto e con quali risorse? Sempre più consumatori decidono i loro acquisti in base a queste domande e sono soprattutto le nuove generazioni a essere particolarmente attente.
Edoardo Valsecchi, dopo il master in Management dell’enogastronomia, food and beverage e varie esperienze di lavoro negli Emirati Arabi e nel Regno Unito, a neanche trent’anni si è lanciato nel business della ristorazione vegetariana aprendo un locale in zona Tortona con l’obiettivo di coprire un segmento ancora abbastanza sguarnito a Milano, la ristorazione plant based di qualità. «L’idea di Linfa – Eat different nasce dal fatto che sono vegan – spiega – e credo fortemente nel rispetto del nostro pianeta e di tutte le sue forme di vita. Non ho mai visto un ristorante così virtuoso – racconta – in cui ogni frutto, ogni vegetale viene usato in modo pressoché integrale e se non può essere destinato alla clientela lo consumiamo noi dello staff. Cerchiamo di essere virtuosi anche fuori dalla cucina, giusto per fare un esempio tutta l’energia che consumiamo proviene da fonti rinnovabili». Un impegno premiato anche da Forbes che ha incluso Linfa tra le 100 eccellenze del 2022, primo ristorante veg a meritare questo riconoscimento.
In zona Nolo, il quartiere a nord di Loreto compreso tra la stazione Centrale e il naviglio della Martesana, ci sono molti locali aperti soprattutto la sera, ma poca offerta diurna. Scegliere di avviare qui la propria attività significa fare una piccola scommessa con la città, arricchendo l’offerta di spazi belli, dove fermarsi per un pranzo, un caffè e due chiacchiere.
«Noi abitiamo in zona – racconta Claudia che insieme alla socia belga Tine gestisce Fòla, format che riunisce sotto un’unica insegna gastronomia, pasticceria e bottega di quartiere – e ci siamo rese conto che mancava un posto dove le mamme potessero portare i bambini a fare merenda il pomeriggio o le signore di una certa età fermarsi a prendere un tè. Mattina e ora di pranzo restano i momenti della giornata in cui lavoriamo davvero, gli scontrini del pomeriggio hanno cifre irrisorie però crediamo nel valore sociale del restare aperti anche in orari meno clou. Qui sono benvenuti anche ai freelance che cercano un posto tranquillo dove fermarsi a lavorare un po’. Non siamo il genere di locale che ti manda via dopo dieci minuti per far posto al prossimo cliente». L’idea di sostenibilità parte dal packaging biodegradabile e dai detersivi bio e arriva fino al menu con tante proposte orientate al vegetariano e prodotti a chilometro vero: i latticini sono del consorzio Latteria di Branzi, che dal 1953 raccoglie il latte prodotto da oltre settanta piccole aziende della val Brembana, la frutta e la verdura arrivano dall’azienda agricola biologica Corbari di Cernusco sul Naviglio, capofila di una rete di piccoli agricoltori biologici. «La nostra è una realtà molto piccola, siamo contente perché riusciamo a pagare tutti i fornitori e a fare un po’ di utile che ripaghi i nostri sforzi. Essere etici per noi significa anche non produrre più del necessario; le torte di compleanno ad esempio le facciamo solo su ordinazione e usiamo le box giusto il sabato, perché la domenica siamo chiusi, o prima di qualche lungo ponte».
In Porta Venezia c’è un’altra bakery con la stessa filosofia “open”. Chiara Abate e Francesca Marcantognini, 54 anni in due, hanno aperto da un paio di mesi Tema – Variazioni sul Gusto, un grazioso panificio/pasticceria dove a seconda dell’orario l’aria profuma di burro francese o pizza rossa. Dopo varie esperienze – Chiara come pastry chef in vari ristoranti stellati, Francesca da Bonci, Francesca da Bonci – e un pezzo di formazione comune da Cast Alimenti, decidono di partire per Avignone, dove lavorando insieme matura l’idea di un progetto comune, una bakery di nuova concezione in cui tutto quello che viene servito, al banco o ai tavolini sul soppalco, deriva da filiera certificata e segue il ritmo delle stagioni. «Il nostro mantra? Rispettare l’identità della materia prima e trarre il meglio da quello che ci offre la natura, senza forzature». Si inizia con la colazione – da provare gli sfogliati e il maritozzo, anche in versione vegana – a mezzogiorno si sforna la pizza romana in teglia (classica o nelle versioni più fantasiose, comprese una goduriosa carbonara e la gricia) e si prosegue fino all’ora dell’aperitivo. Tutto senza fretta: pizze e focacce hanno una lievitazione superiore alle 18 ore, i croissant tra riposi e pieghe, raggiungono le 30. Perché anche il tempo è un valore. Così a fine giornata il poco che avanza, salato o dolce, non va sprecato ma finisce nelle box e fa felice qualcun’altro. Il minimo che si possa fare per celebrare il cibo e tutto l’amore che serve per produrlo.
Tante realtà differenti tra loro e sparse a macchia nella città ma tutte con alcuni punti cardine in comune: l’attenzione per una materia prima sceltissima, fare meno per fare meglio e offrire più qualità, innescare processi virtuosi all’interno di ogni segmento produttivo, anche se si tratta di piccole realtà. E ancora una volta lo zero spreco e il minor impatto possibile per l’ambiente tornano in prima linea tra gli obbiettivi di tante nuove piccole e medie imprese nel settore food and beverage, che vedono spesso giovani illuminati e appassionati guardare con un occhio al proprio business e con l’altro al pianeta e al suo futuro.