Quando si parla di spreco alimentare ci si addentra in un discorso molto più ampio, complesso e delicato di quello che pensiamo che non si limita all’idea del «Non bisogna avanzare il cibo né tantomeno buttarlo», si tratta di una questione che abbraccia moltissimi altri temi, altrettanto importanti. Questo è dovuto al fatto che lo scenario odierno è radicalmente mutato (in meglio) rispetto a quello di anni fa, complice anche l’approvazione della legge n.166 avanzata dall’Onorevole Maria Chiara Gadda e conosciuta anche come la normativa “antispreco”.
Se, prima dell’entrata in vigore di questa legge, era diffusa l’opinione che fossero principalmente aziende, imprese e grandi catene di supermercati a generare le quantità più elevate di sperpero di cibo, oggi, cittadini e consumatori finali, sono coscienti dell’importanza delle loro azioni in termini di sostenibilità alimentare, sociale e ambientale; basti pensare al fatto che tra il 60% e il 70% degli sprechi alimentari viene generato tra le mura domestiche. Affrontare il tema del food waste, specialmente in seguito ad una pandemia mondiale che ha scardinato completamente le nostre abitudini d’acquisto e di consumo, necessita un approccio attento e analitico che deve partire innanzitutto dalla consapevolezza del lessico che utilizziamo. Quando parliamo di “scarti alimentari” ci riferiamo a tutto ciò che è un rifiuto e come tale deve essere trattato e smaltito. Quando utilizziamo invece il termine “eccedenze alimentari” indichiamo una quantità di cibo eccessiva che va oltre le dosi necessarie per soddisfare la popolazione, che dovrebbe essere donata o trasformata in altre tipologie di prodotti, come conserve per esempio.
Lo scopo della legge n.166 e della “Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare” ha proprio questo obiettivo: ridurre gli sprechi di cibo lungo tutta la filiera agro-alimentare e favorire allo stesso tempo il recupero e la donazione dei prodotti in eccedenza.
Unite in questa battaglia con l’obiettivo di consolidare la legge e la sua applicazione attraverso un’educazione su tutti i fronti, la Fondazione Banco Alimentare, Onlus che si occupa del recupero e della redistribuzione delle eccedenze a strutture caritative e Federdistribuzione, federazione che riunisce le aziende della Distribuzione Moderna, alimentare e non.
«Il 5 febbraio è una giornata di sensibilizzazione molto importante per tutti, deve riguardare tutto il processo produttivo: dalle aziende, ai dipendenti fino ai consumatori finali. L’operazione si ripete ogni anno con l’obiettivo di ridurre sempre più gli sprechi lavorando sulle eccedenze e migliorando di anno in anno i risultati raggiunti» afferma Giovanni Bruno, presidente di Banco Alimentare. La vera sfida oggi risiede nell’educazione dei due filoni interessati in modo egualitario e omogeneo, un’educazione che non deve essere frammentata, bensì mirata e sinergica. Aziende e consumatori devono collaborare.
«Gli sprechi purtroppo sono presenti in tutta la filiera, dalla produzione, alla distribuzione commerciale fino al fronte familiare. I progetti devono essere trasversali, focalizzandosi anche nei passaggi intermedi della catena, migliorando i sistemi di stoccaggio, i magazzini e le tecniche di congelamento» dichiara Carlo Alberto Buttarelli, Direttore Ufficio Studi e Rapporti con la Filiera di Federdistribuzione.
Un altro spunto di riflessione molto importante riguarda l’approvvigionamento delle materie prime: aziende e consumatori devono essere consapevoli delle quantità di cibo che necessitano andando ad acquistare solo quello di cui hanno realmente bisogno. Produrre meno cibo, o meglio, solo quello necessario e ridistribuire quello avanzato, significa non solo fare del bene da un punto di vista socioeconomico, ma anche ambientale: 123 tonnellate di cibo donato significano 54 tonnellate di CO2 risparmiato. Uno spiraglio di luce si intravede nelle generazioni più giovani che dimostrano una spiccata cultura antispreco, facendo spese ridotte e acquistando prodotti di aziende che portano avanti impegni nella sostenibilità ambientale e sociale.
«La legge è nata con un approccio partecipativo, con l’obiettivo di essere chiara, concreta e uguale per tutti. Le norme devono non solo essere bene scritte, è necessario farle crescere e raccontarle con autenticità e competenza affinché non finiscano per diventare greenwashing» afferma l’Onorevole Gadda. La legge non è solo la legge “antispreco”, è una legge che mira al benessere dei cittadini e alla loro felicità. Stimolare uno stile di vita sano ed equilibrato, agevolare ambienti di vita idonei e garantire in questo modo il diritto alla salute a tutti.
Se da un lato ci sono leggi che ci aiutano, dall’altro dobbiamo essere noi cittadini a farle funzionare, il coinvolgimento di ciascun individuo è fondamentale. Lo spreco alimentare si ridurrà notevolmente quando tutti faranno squadra, ma soprattutto quando le persone capiranno che gli alimenti hanno un valore che va ben oltre al loro prezzo. Il valore del cibo è legato alla funzione che assolve, ai bisogni che soddisfa, per questo quando il cibo esce dalla filiera commerciale deve necessariamente trovare un nuovo valore sociale che possa aiutare altre persone.