Il cielo è sempre più bluLa scelta di Valentino per aiutare la sostenibilità nell’aviazione

Il grande brand di moda ha aderito al programma di Air France e KLM in modo che i suoi clienti corporate possano compensare le emissioni di CO2 associate ai loro viaggi, contribuendo per una cifra equivalente all’acquisto di carburante sostenibile da parte delle due compagnie aeree

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In tempi di emergenza energetica e climatica, il miglior modo per risolvere il problema dell’inquinamento non è necessariamente volare di meno: è farlo meglio. Ecco perché il settore aereo si sta impegnando a usare carburanti sostenibili, apparecchi più efficienti e rotte più rispettose dell’ambiente. 

Un volo su 4 effettuato sul territorio europeo è alimentato con combustibile importato dalla Russia ed è quindi probabile che indirettamente finanzi la guerra condotta da Vladimir Putin. Lo dichiara un report da poco pubblicato da Greeenpeace, specificando che ben il 70% delle importazioni di petrolio russo in Europa è destinato al settore dei trasporti.

Tra i mezzi eterodossi di contrastare l’aggressività del leader russo ci sarebbe dunque anche un ripensamento del settore aereo che ne acceleri la transizione ecologica puntando su apparecchi più efficienti, diversificazione dei combustibili e razionalizzazione delle rotte. Per il  momento su quest’ultimo punto incide ancora il citato conflitto russo-ucraino: la chiusura di vasti tratti di spazio aereo dal Nord America alla Russia ha aggiunto tempo ai voli intercontinentali, con conseguente aumento delle emissioni e dei costi per le compagnie aeree, «incluse quelle che impiegano modelli efficienti, come il Boeing 787-9 o l’Airbus A350-900», ha dichiarato Umang Gupta, amministratore delegato della società di consulenza Alton Aviation Consultancy.

Per esempio la necessità di seguire una nuova rotta più a sud ha prolungato il volo United Airlines da Chicago a Delhi di un’ora in direzione est e di due ore al ritorno. E lo stesso vale per molte delle rotte tra l’Europa e l’Asia, che ora devono “scivolare” al di sotto dello spazio aereo russo.

Ma razionalizzare le rotte vuol dire anche eliminare i voli inutili, come parrebbero parecchi di quelli entri i confini di uno stesso stato. Secondo uno studio del think thank OBC Transeuropa del novembre 2021 il 34% dei 150 voli più trafficati a corto raggio è rimpiazzabile con meno di 6 ore di treno. E secondo la citata Greenpeace, sopprimendo i primi 250 voli a corto raggio in Europa si eviterebbero 23,4 milioni di tonnellate di CO2 per anno, pari alle emissioni della Croazia.

Perciò, mentre la Francia si appresta a bandire i voli a breve raggio, previo consenso del Senato, l’Austria ha già introdotto una tassa di 30 euro sui biglietti aerei per i voli inferiori a 350 km e sostituito il volo Vienna-Salisburgo con un servizio ferroviario aggiuntivo, in cambio di indennizzi alla compagnia aerea nazionale Austrian Airlines.

Dove però la soppressione delle tratte non è pensabile, le compagnie aree stanno puntando su velivoli sempre più efficienti. Un recente report di OAG, principale sito di statistiche aeree, che ha stimato la quantità media di carburante utilizzata per km, conferma che chi utilizza aeromobili più recenti consuma (e perciò inquina) meno.

Sulle rotte transatlantiche la nuovissima flotta di Aer Lingus ha quasi la metà dell’impronta di carbonio della compagnia meno efficiente, Air France. Sulle rotte più brevi invece, la compagnia “peggiore”, Iberia, consuma 3 volte più di Jet2.com, la migliore; eppure il parco aereomobili è simile. Perciò «la scelta degli aeroporti potrebbe spiegare la differenza» recita il report.

Infatti «è probabile che i voli sulle principali città, richiedendo, per il traffico in pista, lunghi percorsi di avvicinamento usino più carburante rispetto ai voli su aeroporti fuori mano». Ulteriori benefici ambientali si ottengono quando si adottano accorgimenti come il rullaggio con un solo motore (Austrian Airlines), la riduzione dell’uso delle luci di atterraggio (Aer Lingus) e l’ottimizzazione del percorso (KLM).

In più Volotea, AirFrance e Norwegian Airlines hanno adottato Sky Breathe, un software che analizza le tratte e le operazioni di volo per ottimizzare il consumo di carburante.  A questo proposito, una delle novità più promettenti è legata a SkyNRG, società che fornisce alle compagnie aeree biocarburanti ottenuti da rifiuti riciclati come olio da cucina usato, rifiuti industriali e residui agricoli. Noti come SAF (Sustainable Aviation Fuels), questi combustibili vanno miscelati con quelli tradizionali e sono idonei ai serbatoi attuali senza modifiche.

Vari paesi UE hanno già stabilito linee guida per i SAF: i Paesi Bassi, per esempio, hanno stabilito che costituiranno il 14% del carburante per l’aviazione civile entro il 2030. Ma da un lato la riduzione delle emissioni rispetto al cherosene, che pure c’è, varia a seconda di come i SAF vengono prodotti (alcuni sono prodotti da idrocarburi); dall’altro, essi sono molto più cari dei combustibili tradizionali. E qui si pone il classico dilemma dell’uovo o della gallina: se la produzione di SAF avvenisse nella misura necessaria a soddisfare le esigenze dell’aviazione, il prezzo scenderebbe, diventando competitivo con il cherosene. Ma, senza domanda, l’offerta non cresce; e poiché l’offerta attuale è ridotta, è difficile stimolare la domanda. 

Non mancano, tuttavia, segnali incoraggianti: per esempio il brand di moda Valentino ha scelto di aderire al programma SAF di Air France e KLM in modo che i suoi clienti corporate, dopo aver stimato le emissioni di CO2 associate ai loro viaggi, possano compensarle contribuendo per una cifra equivalente all’acquisto di carburante sostenibile da parte delle due compagnie aeree. E da gennaio 2022 la citata KLM ha previsto di aggiungere che su tutti i voli in partenza da Amsterdam  lo 0,5% di carburante sostenibile, offrendo ai i clienti la possibilità di acquistarne una quantità extra. 

Certo, per ora dare un impulso più deciso resta appannaggio delle istituzioni politiche, che possono prescrivere, per esempio, che sia SAF una data percentuale di tutto il carburante usato dalle compagnie (con l’effetto però di aumentare il costo del biglietto aereo dell’8% entro il 2050). E un primo segnale c’è già: nel settembre 2021 il presidente americano Joe Biden ha erogato incentivi affinché l’aviazione civile statunitense ricorra esclusivamente a SAF entro il 2050.

Tuttavia, per quanto lodevoli, al momento le sue idee sembrano irrealizzabili: nel 2019 negli Stati Uniti sono stati prodotti 900 mila litri di SAF a fronte di un fabbisogno annuo di 813 milioni. L’Agenzia internazionale per l’energia prevede che i SAF possano rappresentare il 19% del carburante aereo entro il 2040. Il che è un progresso, ma anche un risultato sotto la soglia sufficiente per allineare l’aviazione agli accordi sul clima di Parigi.

Per fortuna, c’è un altro modo immediato per ridurre l’impatto climatico dell’aviazione: evitando le condizioni per la formazione di scie di condensazione. Queste striscie di vapore acqueo, fuoriuscito dagli scarichi, intrappolano il calore solare, riscaldando l’atmosfera e amplificando il contributo complessivo dei voli al riscaldamento globale fino al  7-8 % del totale.

Uno studio pubblicato nel gennaio 2021 sulla rivista Atmospheric Environment ha evidenziato per la prima volta come il 2% dei voli, effettuati in particolari condizioni di umidità e temperatura, da solo abbia contribuito all’80% del riscaldamento connesso alle scie. Basterebbero perciò pochi cambiamenti sull’altitudine di questi pochi voli per ridurne l’impatto. L’autorità per l’aviazione dell’UE, Eurocontrol, sta valutando nuovi metodi operativi che evitino le scie di condensa. Ed entro 10 anni, prevede Marc Stettler, docente di trasporto e ambiente all’Imperial College di Londra, è certo che «nel processo di pianificazione della rotta si considereranno sia il consumo di carburante sia la possibilità di formare scie di condensa». 

Nel frattempo, le associazioni di ecologisti, preoccupate che la guerra in Ucraina possa paradossalmemte ridare forza ai produttori di idrocarburi, che offrono le soluzioni più semplici, avanzano proposte pragmatiche per evitare che i costi della svolta green del settore aereo siano scaricati su tutti i passaggeri. Tra i suggerimenti spicca una tassa sui frequent flyers: escluso un viaggio a/r all’anno, l’imposta cresce con il numero di voli. Greenpeace chiede invece uno sforzo ai legislatori europei: ancora troppi voli vengono effettuati semi-vuoti perché l’Ue prevede che le compagnie aeree debbano mantenere l’80% delle loro operazioni di volo se vogliono conservare i propri slot. 

Lo ha ammesso perfino il Ceo di di Lufthansa, Carsten Spohr, accennando a migliaia di voli non necessari e invocando esenzioni alla norma che siano rispettose del clima. All’inizio della pandemia questa soglia di operatività era stata congelata, ma ora dovrebbe ritornare almeno al  64%: uno spreco di risorse irrispettoso del clima e del contesto geopolitico. Perché se la guerra in Ucraina è finanziata dalla vendita di idrocarburi russi, come suggerisce David Blood, cofondatore con Al Gore di Generation Investment Management, società di investimenti green, forse «è arrivato il momento di capire che essi non sono solo insostenibili dal punto di vista ambientale, ma che indeboliscono anche il tessuto sociale, politico ed economico del mondo».

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