Ho un debito di riconoscenza personale e familiare con Moni Ovadia (lui probabilmente nemmeno lo sa), e perciò faccio fatica a criticarlo pur quando dice cose a mio giudizio profondamente sbagliate. Ma quelle che ha detto in un’intervista pubblicata l’altro giorno da il Riformista denunciano un tale livello di disinformazione – e, mi spiace dirlo, di forsennatezza intellettuale – che faccio più fatica a tacere.
Mi riferisco, in particolare, all’affermazione di Ovadia secondo cui «gli ebrei hanno un grande debito con l’Armata rossa» poiché, aggiunge, «se l’Armata rossa non avesse tenuto e contrattaccato…». Che è come dire che i mongoli dovevano essere grati ai russi perché altrimenti vincevano i giapponesi o – faccio volutamente l’esempio urticante – che le vittime dell’esodo istriano hanno un grande debito con la resistenza jugoslava che ha contrastato le forze dell’Asse. Oppure – si perdoni ancora – che gli ucraini hanno un debito enorme coi russi, che gli vogliono denazificare il Paese.
Il problema – con cui non fanno i conti quelli che la pensano come Moni Ovadia, e disgraziatamente sono tanti – è che il patto nazi-comunista del 1939 non è revocato da una resipiscenza sovietica pagata con i 27 milioni di morti che giustamente Ovadia ricorda in quell’intervista, ma da una digressione della medesima impostazione imperiale che non arriva a Berlino per portare pace e libertà, ma per imporre un altro giogo.
E ci arriva sulla scorta di una tradizione di pratiche antisemite non propriamente episodiche: quella di cui non molto tempo fa parlò Piero Fassino (spiace doverlo ricordare, ma tant’è) discutendo dello stalinismo che ha «tra le sue tare i pogrom anti ebraici» (a me non verrebbe in mente di dire che le deportazioni e l’assassinio in massa degli ebrei erano una tara del Terzo Reich, ma lasciamo perdere).
Finché non faremo chiarezza su queste cose (e non sono i guerrafondai yankee a impedire che se ne faccia), continueremo a discutere su piani diversi e incompatibili.