Cassandra crossingLa profezia di Monti e i rischi del continuo indebitamento italiano

Come ha ricordato più volte il senatore a vita, lo scostamento di bilancio non può diventare lo strumento ordinario per gestire la finanza pubblica. Con il pretesto della guerra in Ucraina e della pandemia i partiti non si fanno problemi a infrangere il tabù dell’equilibrio di bilancio

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Con un intervento che andrebbe letto e conservato come un piccolo manuale di buona educazione politica il senatore Mario Monti ha annunciato mercoledì in Senato che non avrebbe votato la risoluzione di approvazione del DEF presentata dalla maggioranza di governo, per denunciare «una pericolosa assuefazione ad uno stato di grave disequilibrio della finanza pubblica italiana» e per «segnalare ad un’opinione parlamentare e pubblica piuttosto distratta la pericolosità della china sulla quale ci troviamo». 

Dare alla guerra la colpa del peggioramento dello scenario complessivo – ha detto Monti – è un alibi, perché esso è «in parte dovuto a una errata lettura che fino a qualche mese fa il Governo e alcuni esperti, in particolare in Italia, davano della situazione macroeconomica, dell’abbondanza di liquidità, del livello anormalmente basso dei tassi di interesse e dell’essere venuto meno ogni vincolo di finanza pubblica o di limitazione alla creazione della moneta». 

Per troppo tempo la classe politica e accademica ha diffuso «la convinzione che il debito pubblico sia un problema del secolo scorso e che nei rapporti tra lo Stato e cittadini non sia il momento di prendere, ma di dare e così via…» ed eluso il problema «che il regime tenuto in vita in questi anni dall’espansione monetaria a oltranza praticata dalla BCE e dalle altre maggiori banche centrali, sarebbe stato destinato a infrangersi fra non molto sugli scogli dell’inflazione, dei tassi di interesse in crescita e delle profonde disuguaglianze che esso ha alimentato». 

In particolare Monti ha censurato nella risoluzione di maggioranza la normalizzazione dello scostamento di bilancio come strumento ordinario e non eccezionale di gestione della finanza pubblica, con la giustificazione dell’emergenza: «Vorrei far presente che, anche di fronte alla pandemia, anche di fronte alla guerra in Ucraina, è un nostro errore azionare il riflesso condizionato per cui in questi casi è ovvio che debba esserci maggiore disavanzo. Ormai abbiamo capito tutti chi pagherà il maggiore disavanzo ed il maggiore debito: i nostri figli e i nostri nipoti, se non interverrà prima una crisi da instabilità finanziaria». 

Così lo scostamento di bilancio, dice Monti con una metafora felice, diventa la «scala mobile» della finanza pubblica. E, potremmo aggiungere, come la scala mobile si illudeva di tutelare il potere d’acquisto dei cittadini con un meccanismo che in realtà inseguiva e alimentava l’inflazione, allo stesso modo lo scostamento di bilancio lascia al legislatore l’illusione di accrescere il potere di spesa dello Stato aggravandone la vulnerabilità finanziaria.

Una lettura miserabilmente politicista della scelta di Monti potrebbe ricondurre la sua posizione rigorista all’invidia personale del senatore a vita per Mario Draghi e per il suo straordinario successo e non alla motivata contrarietà verso una tendenza al lassismo finanziario, che coinvolge la generalità dei partiti politici e a cui anche l’attuale presidente del Consiglio si oppone peraltro in modo decisamente vigoroso.

Più onestamente, bisognerebbe riconoscere che Monti, abbastanza incurante delle alterne fortune della sua figura pubblica, continua a riservarsi nel dibattito politico-economico quel ruolo di fastidiosa Cassandra che aveva esercitato per anni dalle colonne del Corriere della Sera e che al momento del redde rationem – cioè quando le sue profezie si rivelarono purtroppo azzeccate – l’aveva naturalmente candidato alla gestione di un’emergenza, che, a differenza di altri, aveva per tempo previsto e provato inutilmente a prevenire con le sue prediche inutili. 

Gli errori e la sfortuna seguiti alla sua salita in campo – un altro atto di imprudente, ma non inutile generosità, per impedire che si riproponesse lo schema bipolare che aveva portato l’Italia al quasi default – alla fine hanno autorizzato chiunque non solo a liquidare i suoi meriti storici, ma anche a maramaldeggiare sulla sua persona e a screditare le sue idee, la cui inattualità costituisce invece la misura esatta della perdurante anomalia politica italiana. 

Quello che mercoledì il senatore a vita ha indicato con un candore un po’ sfrontato in Senato è destinato a riproporsi come il punto di rottura degli equilibri finanziari e politici di un Paese che, per ripudiare la religione del rigore, è nuovamente disposto, a destra come a sinistra, a sposare qualunque superstizione idolatrica, che si riveli nell’immediato popolare e remunerativa.

In questo quadro, la pandemia e la guerra, anziché apparire circostanze eccezionali che autorizzano interventi eccezionali, ma comunque costosi e non gratuiti, sono diventati nella vulgata politica la prova provata del fatto che il tabù dell’equilibrio di bilancio e delle sostenibilità finanziaria può essere infranto senza conseguenze. 

L’inferno del Covid e dell’Ucraina è diventato il paradossale viatico di un’illusione edenica, quella di un mondo in cui gli stati spendono quanto vogliono e le banche centrali stampano moneta per pagarne i debiti. Non il keynesismo, insomma, ma il peronismo. 

Come aveva già provato inutilmente a spiegare durante la sua esperienza di Governo il rifiuto delle compatibilità finanziarie per un Paese destinatario di aiuti diretti e indiretti da parte dell’Unione, cioè da parte di altri stati membri, rischia di pregiudicare ogni ragionevole richiesta di solidarietà europea, quando questa non appaia finanziare la riduzione dei divari e la coesione dell’Europa, ma il free riding di Paesi che si sentono semplicemente più furbi degli altri o, per qualche ragione, più meritevoli di eccezioni ad hoc. 

Insomma, proprio chi ritiene che – sfruttando l’abbrivio del Next Generation Eu – questo sia il momento per innovare la governance economica dell’Unione e accrescerne la capacità fiscale e le funzioni redistributive, deve tenere in conto che la responsabilità nazionale e la solidarietà europea rimarranno sempre due facce della stessa medaglia. 

Monti ha fatto benissimo, per l’ennesima volta, ad ammonire su questo vincolo insuperabile, che troppi politici (la quasi totalità) pensano di potere sfidare, contando sul fatto che l’Italia sia troppo grande per fallire e che possa tenere in scacco i partner europei minacciando di continuo l’omicidio-suicidio finanziario.