Di fronte alle immagini dei crimini di guerra russi in Ucraina, cresce la pressione sull’Unione europea perché si adotti un quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca. A metà della settimana si attende una nuova lista di prodotti per i quali sarà vietata l’esportazione e l’importazione dall’Ue. Ma sul tavolo ci sono misure più pesanti, ovvero l’embargo di gas, petrolio e carbone, ma anche la chiusura dei porti a navi e merci russe. L’accelerazione europea potrebbe partire da nuove misure sul petrolio, che si potrebbero attuare in tempi più brevi rispetto a quelle sul gas.
«Le immagini appena viste rivelano crimini imperdonabili, inaccettabili anche nelle tragedie belliche. Occorre una risposta forte e unitaria da parte dell’Europa», commenta Romano Prodi in un’intervista a Repubblica. «Del loro gas abbiamo un gran bisogno, su questo non c’è dubbio. Ma i russi hanno molto bisogno di venderlo. Oltre al fatto che se dovessero chiudere il rubinetto, ci vorrebbe molto tempo per riaprirlo. E per loro sarebbe un suicidio. I grandi impianti non funzionano con un interruttore. Guardate al nostro Adriatico: di energia se ne potrebbe prendere parecchia, ma ci vorrà un anno e mezzo per riavviare l’estrazione».
L’ex presidente del Consiglio racconta che «quando ero al governo, dati i limiti della produzione interna, misi come obiettivo la massima diversificazione degli acquisti, posto che tutti gli Stati erano problematici. Ai tempi, per esempio, gli analisti indicavano l’Algeria come la più soggetta a rischi. La mia priorità è stata essere il più possibile indipendenti, ma il contesto generale italiano non lo permetteva. Sul nucleare c’era stato il referendum, l’idroelettrico faceva quello che poteva. Sulle energie rinnovabili si è lavorato, ma con risultati ovviamente non risolutivi. In conclusione si è continuato a dipendere dall’estero. Inoltre, da parte di tutti i Paesi acquirenti, agli esistenti contratti di lungo periodo, che garantivano la sicurezza di rifornimento anche a se a prezzi leggermente più elevati, si preferì la libertà di mercato. Per un po’ questo ha funzionato a nostro favore, poi il mercato è impazzito verso l’alto e lo stiamo pagando caro. Adesso abbiamo urgente bisogno di altri fornitori. Accolgo con favore l’offerta americana di aumentare l’esportazione di gas verso l’Europa, ma i produttori americani lo vendono a prezzo di mercato che ora è altissimo. Mi auguro possa essere l’occasione per ottenere energia in modo più diversificato e gestito».
Ora, se si dovesse davvero convertire in rubli il pagamento del gas, «apparentemente» sarebbe «una rivoluzione», spiega. Ma «in pratica è uno strumento di politica interna russa, per il controllo e il rafforzamento del rublo. Oltre a essere un segno di maggiore sovranità, ovviamente. L’interlocutore rimane Gazprombank che è stata esclusa dalle nostre sanzioni, per evitare di essere strozzati. Semplicemente si continuerà a pagare alla stessa banca in euro che li cambierà in rubli, con modalità più complesse e controllate dal governo russo. Se fosse stato davvero un fatto rivoluzionario, il prezzo del gas sarebbe schizzato. Ma così non è stato».
Mentre la Cina, secondo Prodi sta «comprando tempo. Lo si deduce dal concetto che sempre viene ripetuto: la Russia è amica, ma i confini sono sacri e non si toccano. Le due cose non stanno insieme. Naturalmente i più cinici dicono che la Cina stia aspettando di capire chi vince. E in fondo tra comprare tempo e aspettare, non c’è poi tanta differenza. Bisogna però tener conto che da un lato Cina e Russia sono alleate, ma dall’altro la Cina ha un giro di affari con Stati Uniti e Europa dieci volte superiore a quello con la Russia. La questione non è irrilevante vista l’importanza che Xi Jinping ha sempre dato alla crescita. Importanza che non può essere trascurata soprattutto in vista dell’imminente congresso del Partito comunista del prossimo novembre».
E l’Europa in tutto questo cosa può fare? «Questi tragici eventi devono spingere l’Europa a preparare la propria sicurezza futura, partendo dalla politica estera e della difesa», risponde Prodi. «La scelta della Germania di aumentare le spese militari è un fatto storico. Se la Germania però va avanti da sola, e l’Italia pure e gli altri idem, l’Europa perde una grande occasione: avere una comune politica estera e di difesa. Nei prossimi mesi potrebbe presentarsi la vera occasione propizia: se Macron vincerà le elezioni ha la possibilità di promuovere una cooperazione rafforzata fra Francia, Germania, Italia e Spagna alla quale si aggiungerebbero in fretta altri numerosi paesi. Si supererebbe così l’ostacolo dell’unanimità per compiere finalmente un passo decisivo verso una politica comune. Non è infatti obbligatorio andare avanti tutti insieme, così come è avvenuto per l’Euro».
L’aumento delle spese militari, su cui in l’Italia si è divisa la maggioranza, secondo Prodi va guardato sempre dalla prospettiva europea: «Aumentiamo la spesa, com’era previsto, ma decidiamo di farlo in un contesto comune, cioè europeo, altrimenti si spende di più senza avere nessuna efficacia. La divisione nel governo invece mi è sembrata solo una questione identitaria delle forze politiche, risoltasi in fretta. Quanto al dibattito sul pacifismo e le responsabilità della guerra in corso, non si può fare confusione. Io sono sempre stato e resto fedele all’Alleanza atlantica, ma nel 2008, insieme a Francia e Germania, ho votato contro la proposta di Bush di ammettere subito l’Ucraina nella Nato. Tuttavia questo non può mettere in secondo piano che c’è stata l’invasione e che l’Ucraina deve essere aiutata e sostenuta. Anche militarmente. Ma il dialogo tra le grandi potenze deve restare, e ora ne vedo poco».
Ma, conclude, «continuo comunque a ritenere che solo l’accordo fra Stati Uniti e Cina possa mettere fine alla tragedia della guerra in corso».