A febbraio, lSégolène Royal, ex candidata del partito socialista francese, che nel 2007 perse di poco alle presidenziali contro Nicolas Sarkozy, aveva fatto un appello al «voto utile» al primo turno per Jean-Luc Mélenchon. Era stata attaccata da ogni parte. «Poi, in realtà, tutti hanno ripetuto voto utile e alla fine ha funzionato o quasi», dice alla Stampa.
Il leader della France insoumise, la gauche radicale, domenica ha ottenuto il 21,95% dei voti, a breve distanza dalla seconda piazzata, Marine Le Pen, a quota 23,15%. «Da una parte mi dico che la sinistra in Francia esiste ancora: quando si sommano i risultati di tutti i candidati della gauche si arriva al 30%. Ma ho anche un triste rimpianto: io l’avevo detto che bisognava fare sbarramento all’estrema destra già al primo turno. I candidati minori si sarebbero dovuti ritirare», dice. «Avrebbe fatto onore a loro stessi e alla sinistra considerare che un ego personale non riassume da solo la storia della gauche. Che ha sempre vinto realizzando delle convergenze, perché al suo interno esistono sensibilità diverse e questo ne fa anche la forza. Lo fece François Mitterrand nel 1981 ed ebbe ragione».
Su Mélenchon dice che «nessuno è perfetto. E poi ha mostrato la sua profondità, l’ampiezza di vedute. Ha un discorso strutturato, è colto: sa di cosa parla. È stato lui a fare la migliore campagna, lo riconoscono anche a destra. Ha un carattere molto forte, talvolta ingombrante. E allora? Non stiamo mica parlando di aggressioni sessuali o di sottrazione di fondi pubblici come se ne vedono nelle sfere del potere attuale…».
E ora al ballottaggio voterà Macron: «Certo, non abbiamo scelta», dice.
Cosa si aspetta ora da lui? «Deve meritare il suo voto. È partito nel 2017 su una politica né di destra, né di sinistra, ma alla fine è stata solo di destra. Abbiamo avuto la repressione della rivolta dei gilet gialli, le privazioni di libertà durante il Covid. E la repressione sociale tentata con la riforma delle pensioni, che era punitiva e non è passata. Abbiamo una degradazione dell’ospedale pubblico e professori e insegnanti che sono tra i meno pagati di tutti i Paesi dell’Ocse. Abbiamo assistito al ritorno di un’ideologia completamente superata che risale agli anni Ottanta, per cui bisogna privatizzare tutto. L’elettorato di sinistra si sente vittima di un raggiro e non è pronto ad andare a votare al ballottaggio per Macron. Lui li deve riconquistare».
Ma resta il pericolo che alla fine vinca Marine Le Pen. «Niente è mai certo in politica e lo scarto è ridotto», spiega. «Lei ha ancora delle riserve di voto: tra i Repubblicani, nel movimento di Zemmour e pure tra i delusi di Mélenchon, nelle categorie popolari. E poi Le Pen ha un programma sociale, che ha segnato un’evoluzione rispetto al passato».
Ma è cambiata davvero? «Ha lavorato, ha studiato. Ha ragionato sul suo programma, attenta ai bisogni della vita quotidiana: tutto qui. La gente che ha paura del futuro e non ne può più, si dice: forse con lei cambierà. Non ci sono grandi frasi, grossi concetti nel suo programma, ma può funzionare agli occhi dei ceti popolari. Penso anche che la dimensione femminile sia un vantaggio per lei, in un contesto di grande brutalità, violenza. Tutti sono stati scossi da crisi e ripetizione. Non c’è stata empatia, gentilezza, dolcezza, tolleranza. Tutto era divieto e repressione. Il suo essere donna può aiutarla».