Liudmilla (nome fittizio), ucraina, risiede in Italia da parecchi anni. Con l’aggravarsi della situazione nel suo Paese ha deciso di prestare la sua opera di volontaria sul fronte dell’accoglienza dei profughi, suoi connazionali, al loro arrivo nella Penisola. Ha chiesto di tenere celata la sua identità perché queste sono le regole dell’associazione con cui opera, anch’essa deve restare anonima. Come Liudmilla, sono in tanti che scelgono di andare ad aiutare i profughi al confine italiano: ricevono una sovvenzione giornaliera, una stanza in hotel dove soggiornare in cambio del loro contributo. Ma ogni settimana è obbligatorio il ricambio, perché «le emozioni sarebbero troppo forti da sopportare per lungo tempo: ci rimandano a casa per “decompensare”. Dopo settimane ci richiamano e possiamo scegliere di tornare».
Lei è a Trieste, città che rappresenta il punto di arrivo, dopo giorni di sofferenza, per i tanti in fuga sui pullman di diverse onlus italiane. Sono soprattutto donne e bambini. «Prima ne arrivavano 8-10 al giorno con 20-40 persone a bordo. Ora che i corridoi umanitari sono meno sicuri sono diminuiti. Anzi, addirittura per la Pasqua ortodossa in molti hanno deciso di tornare in Ucraina. Ci sono quindi anche pullman che rientrano», testimonia Liudmilla, mettendo fin da subito in luce la fierezza del suo popolo. «Le ragazze e signore sono tutte disperate, ma bellissime: nei loro occhi si legge l’orgoglio. Da un giorno all’altro sono state buttate fuori dal loro Paese: pensano solo a tornare in Ucraina e riprendersi la propria vita».
L’accoglienza è generosa e copre ogni esigenza. Sono presenti le diverse associazioni che prestano aiuto, oltre alla polizia, il servizio civile, le ambulanze e gli ambulatori: «Hanno organizzato un servizio con tende in cui si trova ogni ben di Dio. Cibo, bevande, medici, psicologi. A me, che sono arrivata in Italia quando là c’era ancora il comunismo, fa impressione, anche oggi, poter vedere tanti doni offerti al prossimo. Una ricchezza inimmaginabile. Viene spiegato loro che con passaporto ucraino si può viaggiare gratis su tutti i treni e mezzi pubblici in Italia. E che la Wind dà la possibilità di avere una scheda con un numero telefonico gratuito. Eppure, appena arrivano, nessuno vuole scendere dal pullman». Perché? «In un primo momento dicono e ripetono che stanno bene, che non hanno bisogno di niente. In realtà sono stanche e affamate, per forza. È una reazione dettata dall’orgoglio e dal desiderio di non essere di peso: non era certo nelle loro intenzioni capitare in Italia, anzi». E quindi? «Inizialmente salgo sul pullman e in ucraino ovviamente spiego loro i diritti che hanno in Italia e l’accoglienza che sarà loro riservata. Poi invito tutti a scendere per ristorarsi e riposare un po’ dal viaggio». E succede qualcosa? «Non subito. Restano sedute, nessuna si lamenta e dice che avrebbe piacere a scendere. A quel punto la metto giù un po’ più duramente: dico loro che sono obbligate a lasciare momentaneamente il pullman, che è una prassi da seguire. Perché so che non è vero che non hanno bisogno di niente: non può essere vero».
Scendono quindi, e camminano: fanno una passeggiata, accettano di rinfrescarsi e mangiare qualcosa. Solo dopo qualche ora alcune vogliono parlare: «Tra loro appena il 20% non ha idea di dove andare dopo questi primi giorni: queste persone verranno poi accompagnate in centri di accoglienza. In generale però la maggior parte ha parenti o amici già presenti in Italia o Europa da raggiungere. Quello che è devastante sono i racconti su cosa sta succedendo in Ucraina: ogni donna quasi arriva con un bambino. Anche se spesso non è suo: quando qualcuno parte per un corridoio umanitario gli viene affidato perché lo porti in salvo. Vengono consegnati anche agli autisti: forniscono loro il nome e l’indirizzo della persona dove mandarlo una volta in Italia». Ma non sempre succede: nella confusione generale le indicazioni si smarriscono o vengono ignorate e allora i bambini vengono affidati all’Unicef, o ad altre organizzazioni, rimanendo lì per giorni. Vengono nutriti, giocano, ma non si sa se riusciranno mai a raggiungere i loro riferimenti e cosa sarà di loro.
La voce di Liudmilla si fa più angosciata, il pensiero va ai racconti che ha ascoltato delle donne giunte in Italia. «L’uomo si fa manipolare, compie delle crudeltà allucinanti. I soldati russi violentano i piccoli davanti alle loro madri. Stanno tutti impazzendo per il dolore».