«Siamo in un’economia di emergenza, bisogna riprogrammare le risorse e stare vicini ai settori che avranno grandi contraccolpi, dall’energia alle materie prime. Ma sbaglia chi dice che il Pnnr è da buttare». Il ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao alla Stampa dice che, nonostante le turbolenze, incluse quelle di governo su fisco e giustizia, bisogna restare ottimisti. «L’inflazione durerà mesi, forse anni, dipende da come andrà il conflitto. Ora generazioni di dirigenti e di politici dovranno imparare a adattarsi in fretta: la capacità di reagire c’è, l’Europa ha stupito tutti e i governi hanno imparato a muoversi più velocemente di prima».
«Il tempo per impostare bene il rilancio ce l’abbiamo», spiega. Quanto alla tenuta del governo, dice: «Lavoro bene con i colleghi, non ho motivo di vedere un rallentamento: tra giugno e settembre avremo messo in cantiere tutto il Pnrr. Ci sono dei temi sul tavolo che sono politici: il fisco, la giustizia. Spero si possano fare delle giuste sintesi».
Ma sarà un’epoca di scelte, dice il ministro:«Dovremo scegliere tra tante cose: tra alcune forme di generazione dell’energia e altre, tra alcuni modelli di stili di vita e altri, con quale velocità effettuare alcune transizioni. Dobbiamo cambiare tante regole, fare scelte a lungo termine senza lasciarsi prendere dalle ideologie».
E il Piano nazionale di ripresa e resilienza resterà il faro per compiere queste scelte. Perché, spiega Colao, quel piano è ancora valido, «i fondamenti del Pnnr sono strategici». Ma andrà tenuto conto comunque dell’inflazione. «Dobbiamo essere attenti, mantenere la barra dritta in un mare che ha onde molto più alte».
E se il ministro dell’Economia Daniele Franco non esclude più lo scostamento di bilancio per rispondere alla crisi e proteggere imprese e famiglie, Colao spiega che «ci sono cose che possiamo fare senza ricorrere allo scostamento di bilancio, e le stiamo già facendo. Poi ci sono temi più rilevanti come l’energia, che richiedono soluzioni più complesse. In quel caso io penso che a livello europeo i capi di governo si siederanno al tavolo e decideranno cosa fare».
Intanto, Colao assicura che la transizione digitale procede: «Stiamo andando molto bene: abbiamo venti iniziative implementate o in attuazione mentre tre stanno ancora cercando di trovare la loro strada. La gara per la fibra è stata chiusa, il polo strategico nazionale anche assieme a scuole e sanità. È successa una cosa incredibile. Abbiamo aperto una piattaforma su cui scuole, comuni e ospedali possono chiedere i soldi: ci sono state amministrazioni che dopo un minuto e venti secondi si sono fatte avanti. I primi comuni sono stati Stazzema e Martina Franca. In una settimana sono stati assegnati quasi dieci milioni. Non facciamo più bandi in senso classico ma avvisi con costi standard e in questo modo semplifichiamo molto la procedura di adesione».
Il ministro fa un esempio: «Ho qui la app Io, che è la app della pubblica amministrazione: siccome siamo collegati all’Inps, mi è arrivato un avviso per ricordarmi di pagare i contributi a una collaboratrice domestica. Per farlo mi sono bastati tre clic. L’ho mostrata a un ministro tedesco, mi ha guardato sgranando gli occhi. Questo lo faremo anche con l’Agenzia delle Entrate, per le multe e i bolli. La stessa cosa per il fascicolo sanitario elettronico».
Mentre la gara per la banda ultralarga «è chiusa, c’è una commissione che sta giudicando, ci sono state offerte e verrà realizzata. Quella è la prima gara. Poi c’è quella che permetterà di portare il 5G nelle aree rurali, e che dobbiamo ancora chiudere». «Per il 30 giugno dobbiamo farcela, sia per la banda ultra-larga sia per il 5G. Sono fiducioso».
Colao spiega anche che ora è il momento di aiutare gli operatori italiani delle telecomunicazioni. Poi c’è il grande tema di Tim e della rete unica. «Il governo rimane sempre neutrale rispetto ai singoli soggetti, ma non siamo neutrali rispetto alla visione: abbiamo detto chiaramente che al Paese serve una infrastruttura di altissimo livello, come ha la Spagna e non la Germania», spiega. «Se la necessità è avere una rete unica, allora questa sia al servizio di tutti, non faccia favoritismi e aiuti la scelta dei cittadini e la concorrenza. Sta ai singoli consigli di amministrazione trovare le formule perché questo succeda, non a noi». Ma «se il prezzo per avere una infrastruttura importantissima è la rete unica, la si faccia: che investa, che venda all’ingrosso, rispettando le buone regole della concorrenza».
Poi c’è il cloud. Su questo, dice il ministro, «siamo a buon punto, ci sono offerte da due consorzi per una partita che vale quasi un miliardo. E poi ce n’è un’altra, che vale un altro miliardo, a favore del mercato commerciale. I cyber-attacchi di questi giorni ci spiegano perché è importante il cloud: se c’è un attacco, c’è un backup fatto la sera prima».
Sulla cybersecurity, «partivamo indietro, non avevamo l’Agenzia per la cyber-sicurezza. È stata creata, sta assumendo e avrà un suo corpo di 800 esperti, un centro di assistenza e monitoraggio che aiuterà il privato e il pubblico a difendersi».
E il 5G? Dopo il dibattito sui possibili rischi riguardanti Huawei e la Cina, Colao spiega che «il caso non riguarda solo il 5G, ma tutto il mondo dei dati distribuiti e non è specifico di Huawei. Poi c’è il tema geopolitico e dobbiamo capire se vogliamo avere una quota così grossa delle forniture da un solo Paese. Credo che l’esperienza del gas qualcosa ci abbia insegnato. Possiamo dipendere per il 50% della tecnologia dalla Cina?». La risposta è no. «Al primo anno all’università Bocconi un professore mi ha spiegato che non bisogna dipendere per più del 30% da un solo fornitore. Credo che la vecchia saggezza avesse ragione. Per questo abbiamo rivisto la normativa del Golden Power». Ovvero, «per tutte le tecnologie di telecomunicazioni e poi per quelle di cloud vogliamo avviare un dialogo con le società di mercato che ci faranno vedere i loro investimenti e chi sono i fornitori, avremo la visione di un quadro di insieme e capiremo se un fornitore arriva al 60%».
E in quel caso «interverremo e diremo no. Non vogliamo dipendere troppo da alcuni Stati, non vogliamo rischiare su alcuni nodi strategici e così proteggiamo le imprese italiane».