EDOARDO: La Serbia è un Paese che confina con altri otto. Attraverso le piatte distese della Vojvodina, stiamo arrivando alla triplice frontiera con Ungheria e Romania. Un paesaggio inospitale. Villaggi perlopiù abbandonati, le finestre sfondate o con le serrande chiuse, i tetti ondulati per il cedimento delle travi. Questa parte della Serbia si sta spopolando, se ne vanno all’estero o a Belgrado.
FRANCESCA: Majdan. Già dal nome la località evoca ricordi sinistri, basta aggiungere “ek” finali per comporre l’orrendo Majdanek, il campo di concentramento polacco.
L’assonanza non è solo fonetica, purtroppo. Ci arriviamo dopo tre ore di auto e chilometri di paesaggi nebbiosi come in un film di Tarkovskij, casolari in rovina, piccole fattorie dimenticate. È a una di queste costruzioni, una stalla diroccata, che siamo diretti. Si staglia in mezzo al nulla, circondata da pozzanghere e sterpaglie. Di fronte a quello che fatico a definire ingresso, c’è un gruppo di uomini che battono i piedi per il freddo (la temperatura è scesa sotto lo zero): la prima cosa che salta agli occhi sono le loro scarpe, perlopiù sneakers in tela. Ma l’abbigliamento non è meno incongruo: tute acetate, giacche a vento che sarebbero inadatte pure a Palermo, pochissimi indossano i guanti, quasi tutti un berretto in pile. Ci stavano aspettando.
Alle loro spalle una lamiera funge da protezione all’accesso del ricovero che ci apprestiamo a varcare con la reticenza di chi prevede che, oltre la soglia, lo aspetti un girone infernale. E tale è.
Una struttura rettangolare lungo il cui perimetro grandi aperture lasciano entrare un vento gelido. Sul pavimento è disseminata una cinquantina di minuscole tende sudice e lacere, con intorno un tappeto di lerciume. C’è un odore aspro, sprigionato dai materiali utilizzati per accendere fuochi di fortuna: pneumatici, cartoni e poca legna, perlopiù umida e quasi inservibile. Si fa avanti un ragazzo, fradicio, è appena tornato dopo l’ennesimo tentativo di traversare il confine rumeno, il famigerato game. I poliziotti lo hanno minacciato con la pistola seguendo l’ottuso rituale del pushback. E lui: «Perché mi punti addosso la pistola? Non sono un animale pericoloso!»
«We are no animals, we are no criminals», sono le frasi che ripetono insistentemente anche a me. Vorrei rispondere che, se anche lo fossero, non meriterebbero un trattamento del genere, e che il termine «criminale» andrebbe semmai rivolto a quelli che li respingono in maniera più o meno brutale. Siamo in Europa, santiddio. C’è anche un bambino, avrà otto anni, si chiama Ahmed. Non lascia mai la mano del padre, ed è l’unico, in quell’inferno, a regalarmi un sorriso. Ingoio una bestemmia insieme alle lacrime che faccio fatica a controllare. Penso alla notte che si avvicina, ai telefoni scarichi (il loro vero e unico tesoro), alle temperature implacabili, a me, che fra qualche giorno tornerò nel Paese che sognano. Ci hanno messo tre mesi per arrivare qui dalla Siria, attraversando Turchia, Grecia e Kosovo.
EDOARDO: Molti di loro hanno ai piedi nudi un paio di Croc semisbriciolate. Mostrano le loro piaghe e cicatrici, frutto della guerra o dei maltrattamenti polizieschi. A parte le randellate e le ustioni di sigaretta e ferro da stiro, la violenza più odiosa l’ha subita un siriano a cui i gendarmi si sono limitati, sadicamente, a rompere gli occhiali. Quando li intercettano, gli fregano i soldi, gli spaccano i cellulari, affinché non ci provino più, eppure loro continuano a provarci. Nel gergo della rotta balcanica, si chiama game, il tentativo ripetuto di scavalcare le frontiere, dieci volte, venti o trenta volte: una specie di lotteria, o di roulette, la cui posta è la vita. Uno di loro è andato stamattina al confine, ha provato ad attraversare, ha preso la sua razione di legnate ed è tornato alla stalla tutto pesto. Ci riproverà.
«Vedi, la migrazione è come l’acqua. Blocchi un punto e comincerà a gocciolare da un’altra parte».
da “Vite in sospeso Migranti e rifugiati alle frontiere d’Europa”, di Edoardo Albinati e Francesca d’Aloja, 2022 Baldini + Castoldi s.r.l – Milano, pagine 128, euro 15