Le pagine social ufficiali della Federazione Russa sono un archivio sinistro di minacce e “pizzini” per nemici troppo accaniti nel denunciare e per amici troppo tiepidi nel perorare la cosiddetta operazione speciale in Ucraina, cioè la più sanguinosa e criminale guerra di aggressione condotta sul suolo europeo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Solo nel nostro Paese però questi canali potevano finire per trasmettere pure i B-movie della commedia politica all’italiana e ufficializzare le gallerie dei nuovi mostri, che popolano il centro e le periferie di un Paese compromesso da amicizie non ripudiabili con l’avvelenatore del Cremlino.
Ne abbiamo avuto un esempio nella giornata di ieri, 9 maggio, quando, alle ore 17 circa, la pagina Facebook dell’ambasciata della Federazione Russa in Italia ha pubblicato un post con foto e video, annunciando che “oggi al Cimitero comunale di Palestrina con la partecipazione dei rappresentanti dell’Ambasciata, delle rappresentanze diplomatiche russe a Roma e del Comune di Palestrina si è svolta la tradizionale cerimonia solenne in onore dei partigiani italiani e sovietici caduti nella Seconda Guerra Mondiale”.
Antefatto. A Palestrina sono sepolti alcuni soldati dell’esercito sovietico (russi e ucraini) che, dopo essere fuggiti da un campo di prigionia a Monterotondo, si unirono alla lotta partigiana e morirono sul campo combattendo contro i tedeschi. Il loro sacrificio è ricordato ogni anno dalle autorità italiane alla presenza dei rappresentanti diplomatici di Mosca e di Kiev. Dal 2014, dopo la prima fase dell’invasione russa dell’Ucraina (Donbass e Crimea), le celebrazioni sono avvenute in forma separata.
Ieri, nella sezione, diciamo così, russa della commemorazione c’è stata quella paginetta istruttiva di politica-spettacolo che l’Ambasciata di Mosca ha tenuto così tanto a valorizzare su Facebook.
Il primo consigliere Mikhail Rossiyskiy ha sostenuto che l’aggressione all’Ucraina – definita “i recenti eventi politici e militari”, perché notoriamente la parola “guerra” è proibita per i russi in patria come all’estero – dimostra che la lotta contro il nazismo rimane ancora attuale. La mattanza di Bucha come la liberazione di Auschwitz. Chiaro, no?
L’onore reso anche quest’anno a Palestrina ai soldati sovietici morti per mano nazista è stato poi interpretato dalla direttrice del Centro russo di cultura di Roma, Dariya Pushkova, come la dimostrazione che “in Italia ci siano persone che non provano a riscrivere la storia. Persone consapevoli del significato del Giorno della Vittoria per tutta l’umanità e che non hanno paura di parlarne”. Un perfetto dispositivo negazionista: l’identificazione della guerra con la prosecuzione di un’eterna militanza antinazista.
Ovviamente a questa sagra del putinismo glocal sono accorsi i militanti della sezione locale del Partito Comunista, che giorni prima avevano annunciato una propria manifestazione con un manifesto, in cui la Z di Zagarolo era rappresentata con i tratti di quella che campeggia sui tank russi.
Di quello che ha detto in questa circostanza il rappresentante delle istituzioni italiane – C’era pure lui? Certo che c’era! – abbiamo contezza solo dal breve documento reso disponibile dall’ambasciata russa. Il vicesindaco di Palestrina, il leghista Umberto Capoleoni, con fascia tricolore e vigili urbani al seguito in divisa d’onore, ha detto: “I vostri caduti sono i nostri caduti. Il loro sacrificio, come quello dei nostri eroi, appartiene all’umanità”. Avremmo potuto scommettere – viste le antiche predilezioni del vicesindaco di Palestrina per il Putin no-gender e no-Covid – che gli astanti non abbiano sentito dissociazioni dal negazionismo di stato russo da parte dell’unico rappresentante delle istituzioni italiane presente.
A toglierci ogni dubbio è stato lo stesso Capoleoni, sentito dal Foglio, che ha giustificato la scelta del silenzio sull’Ucraina dicendo che “fare riferimenti ancora a delle guerre attualmente presenti sul piano internazionale era comunque… non dava lo stesso ricordo che invece abbiamo dato oggi a questa commemorazione”, cioè, fuori dalla neo-lingua da operazione speciale, non possiamo parlare dei morti ammazzati in Ucraina perché li stanno ammazzando i nostri graditi ospiti.
Peraltro il problema, in questo caso, più che nelle parole dette e taciute da Capoleoni, stava proprio nella sua presenza e nella corriva disponibilità a proseguire la routine delle celebrazioni “anti-naziste” nel pieno di una guerra, di cui l’anti-nazismo rappresenta la giustificazione sacrilega e mostruosa. Ma a quanto pare, quella presenza non è stata problematica per nessuno, a partire dall’interessato. Ed è un altro segno, tutt’altro che minimo e provinciale, dell’infiltrazione putiniana della democrazia italiana.