«Questo governo deve continuare nel suo lavoro perché sta facendo bene. Si può fare sempre di meglio, ma non dimentichiamo di avere un campione del mondo come presidente del Consiglio». Dunque «non facciamo fesserie» ed evitiamo di spingere verso le elezioni anticipate.
Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, intervistato dal direttore de La Stampa, Massimo Giannini per l’apertura delle Gallerie d’Italia in piazza San Carlo a Torino, ammette che «l’inflazione rallenta la crescita» ma non la ferma, anche se avremmo bisogno di «altri interventi per sostenerla» e per mitigare l’impatto sociale della crisi. A partire dai correttivi sui salari. Secondo Messina, «è doveroso» alzarli soprattutto in alcuni settori.
«Abbiamo dei punti di forza assoluti e se lavoriamo su questi punti di forza con una visione di medio periodo saremo in grado di uscire, anche da questa condizione, in una situazione migliore», dice il manager. «Attenzione, però, serve grandissima cautela nei confronti di povertà e disuguaglianza. Questo è un punto che non possiamo permetterci di dimenticare». Ma «prima di dare messaggi negativi, ovvero “avremo dei seri problemi”, credo occorra spiegare come l’Italia potrà continuare a crescere, pur avendo bisogno di altri fattori abilitanti per accelerare lo sviluppo».
Secondo Messina, il rischio di una recessione o della stagflazione non c’è. «A meno che non venga interrotto totalmente il flusso di gas dalla Russia. L’inflazione è certa ma se riusciremo a impostare delle azioni in grado di sostenere la crescita e mitigare il disagio sociale, così come è stato fatto per superare la pandemia, saremo ancora in tempo per evitare quel rischio». Il problema, prosegue, è che «interrompere il rubinetto del gas significherebbe andare verso una recessione certa con una perdita di posti di lavoro significativa. Nel quadro di sanzioni attuale, rimboccandoci le maniche ce la faremo. Uno scenario di totale rinuncia al gas russo ci vedrebbe in sofferenza per qualche anno. Se riteniamo che questo sia il nostro contributo per fermare il conflitto, il Paese intero dovrà adeguarsi a quanto il governo indica, anche se credo sia una valutazione da fare con grandissima attenzione».
«Dobbiamo essere consapevoli che l’alternativa non è tra pace e condizionatore ma fra pace e cosa mangiamo», ribadisce. «Tra pace e condizionatore io scelgo senza dubbio la pace, ma se dovessimo scegliere tra pace e cosa mangiamo, questo significherebbe uno scenario di guerra. Dovremmo affrontare picchi di disoccupazione con 500mila o 1 milione di persone che perdono il lavoro, si aggiungerebbero ai cinque milioni di poveri e ad altri cinque milioni di lavoratori in gravi difficoltà».
Intanto, però, l’impatto del caro energia è arrivato ed è stato devastante. Secondo Messina, «l’area della povertà si allargherà già oggi. Dobbiamo guardare attenzione a chi oggi ha un reddito tra i 1.500 e i 2.500 euro al mese – e sono tantissimi – e ai pensionati. Per loro i rincari hanno una forte incidenza. Nei prossimi 12 mesi immagino interventi aggiuntivi sia per favorire la crescita economica sia per evitare situazioni socialmente drammatiche. Azioni non del solo governo ma anche di quelle aziende private che hanno una leadership, come la nostra. Serve un’azione di coordinamento da parte del governo che possa dar vita ad un progetto dove, tutti insieme, attraverso donazioni o meccanismi di coordinamento con le fondazioni bancarie, contribuiamo ad ottenere questo doppio risultato: aumento del Pil e mitigazione sociale».
Messina non se la prende con il reddito di cittadinanza: «Al netto di qualche mal funzionamento da correggere, nasce dall’idea che socialmente è necessario fare tutto il possibile per tenere tutti a bordo». E dice no a un nuovo scostamento di bilancio: «Si può intervenire sulla riqualificazione della spesa lavorando sulla costruzione di nuove modalità con cui si finanzia il debito». La proposta di Messina è che, tenendo conto che l’Italia è un Paese con una ricchezza di 10 trilioni, queste risorse vanno messe sul tavolo «con un risparmio delle famiglie maggiormente allocato sui titoli di Stato o sui fondi rappresentativi di beni immobiliari pubblici».
Però la svolta è che «se siamo in una fase di emergenza dobbiamo utilizzare bene le risorse disponibili. E non dobbiamo aspettare solo l’intervento pubblico, tocca anche alle grandi aziende, noi per primi. E poi dobbiamo chiederci se rispetto al lavoro svolto le retribuzioni sono corrette».
Questo è un altro grande problema, secondo Messina: «Ci sono alcuni settori in cui i salari possono essere rafforzati, certo non agganciandoli automaticamente all’inflazione. Si devono trovare le condizioni per introdurre dei correttivi, è doveroso farlo. Non so dirle se sia necessario farlo in tutti i settori, ma va fatto l’impossibile. Senza dimenticare l’housing sociale, infrastruttura necessaria per avvicinare la domanda e l’offerta di lavoro».
«Se questo governo continua nel suo lavoro nei prossimi 12 mesi può risolvere la gran parte dei problemi di fronte a noi. E chi prenderà in mano questo Paese, se lo farà in un quadro europeo, lo troverà in condizioni gestibili».