«Entro la seconda metà del 2024 dovremmo essere autonomi, potremmo fare a meno di importare gas russo». Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani lo dice in un’intervista a Repubblica, spiegando i dettagli della strategia energetica italiana dopo la missione in Africa per diversificare le importazioni.
I cardini della strategia italiana per affrancarsi dal gas di Mosca sono tre. «Il primo è aumentare il gas che arriva in Italia attraverso i gasdotti: per esempio solo dall’Algeria nell’arco di tre anni ci sarà un aumento del gas importato di 9 miliardi di metri cubi», spiega. «Poi puntiamo sull’aumento del gas liquefatto che arriva da noi via nave: grazie agli accordi con Algeria, Angola, Congo, Qatar il gas liquefatto importato aumenterà di 1,5 miliardi di metri cubi quest’anno per arrivare a regime, nella seconda metà del 2024, a 12,7 miliardi di metri cubi». E accanto a questo, ci sarà anche un piano di risparmi, «che riguarda le rinnovabili, la cui crescita è impetuosa e che ci consentiranno di risparmiare 7 miliardi di metri cubi di gas al 2025», ma anche «il controllo delle temperature domestiche o lo sviluppo di biocarburanti, che ci permettono di tagliare 2,5 miliardi di metri cubi quest’anno e arrivare a oltre 10 miliardi nel 2025».
Insomma, «combinando i tre approcci, più gas, più Gnl, più rinnovabili e risparmio, raggiungeremo i 29 miliardi di metri cubi» che ogni anno importiamo dalla Russia «nella seconda metà del 2024», dice il ministro.
E fino ad allora «abbiamo fatto tutte le simulazioni per capire come i nuovi contributi di gas, gas liquefatto e i risparmi ci possono far arrivare al prossimo inverno e a quello successivo. Stiamo facendo gli stoccaggi per avere le scorte, ma tutto dipenderà da se e quando sarà sospesa la fornitura russa: se fosse sospesa tra un mese il prossimo inverno sarebbe complicato da gestire. Se invece fosse sospesa a fine anno potremmo andare avanti abbastanza tranquillamente».
Resta il caso dell’eventuale pagamento in rubli da parte delle aziende europee che comprano il gas russo. «Serve un indirizzo chiaro, univoco per tutti gli Stati membri da parte della Commissione europea», dice il ministro, «anche perché in assenza di una direttiva europea chiara la responsabilità verrebbe scaricata sui singoli governi o sulle oil and gas company. Occorre quindi una decisione politica. Poi se la decisione non fosse ancora matura, si potrebbe prendere un po’ di tempo per capire meglio le questioni legali, ma di tempo non ce n’è tanto».
Quanto alle condizioni di questi nuovi accordi sottoscritti dall’Italia, Cingolani spiega che «si tratta di contratti privati e dipenderà dalla capacità di trattare delle compagnie energetiche. Ma alla fine sui contratti a lungo termine i prezzi saranno più o meno quelli che abbiamo adesso. Voglio però precisare che non si tratta solo di accordi sul gas, ma di partnership più ampie, che riguardano l’innovazione e il suo impatto sociale e culturale. In un continente giovane che rappresenta il futuro del Pianeta». Certo, ammette, «l’ideale sarebbe essere autonomi dal punto di vista dell’energia. Ma visto che l’Italia non lo è, credo sia più semplice avere a che fare con sei o sette Paesi di dimensioni non grandissime, piuttosto che con uno solo che copre da solo il 40% della fornitura e che è anche una potenza geopolitica».
E sul tetto al prezzo del gas chiesto dall’Italia, il ministro sottolinea che «il price cap del gas è una soluzione europea, che risolverebbe certe storture del mercato energetico, compresi i picchi abnormi di prezzo». Ma «non può essere fatta a livello di singolo Stato membro, che altrimenti si ritroverebbe isolato. Certo è un concetto che non viene benvisto dai mercati del gas, anche se potrebbe essere indicizzato e quindi meno rigido. Devo dire però che mi impressiona leggere il rapporto dell’Acer, l’associazione delle Authority elettriche europee, che sostiene che il mercato libero dell’elettricità funziona e non va perturbato. Noi stiamo subendo da mesi aumenti delle bollette del 600% che mettono a rischio imprese e famiglie e sostenere che questo libero mercato dell’energia funzioni mi sembra quantomeno azzardato».
Poi Cingolani specifica che tutto questo non fermerà però la transizione green. «Noi, nonostante la guerra in Ucraina, siamo determinati a perseguire l’obiettivo che ci siamo dati: ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro il 2030. E, come è scritto nel Pnrr, far sì che in quello stesso anno il 72% dell’elettricità sia prodotta da fonti rinnovabili».
Intanto però si torna al carbone. «Abbiamo 4 centrali a carbone che erano in dismissione. Adesso per 12, massimo 24 mesi, le manderemo a pieno regime perché ci consentono di risparmiare 3,5 miliardi di metri cubi di gas. Emetteranno più CO2, ma nel frattempo accelereremo così tanto con le rinnovabili che tali emissioni verranno presto compensate» dice. Ma «rimane comunque una misura transitoria».