Exit strategyLa missione di Draghi in America per portare la pace in Europa

Il presidente del Consiglio italiano, con pragmatismo e fine intelligenza politica, ha fatto pressioni a Washington perché si creino le condizioni per riaprire le trattative. Il termini del conflitto sono cambiati e grazie alla resistenza ucraina si può cominciare a pensare al cessate il fuoco

AP Photo/Manuel Balce Ceneta

Se qualcuno, ingenuo, sprovveduto o in mala fede, era convinto che a Palazzo Chigi ci fosse solo un tecnico di altissimo livello ma digiuno di politica, farebbe bene ricredersi, a smettere di far fibrillare e indebolire il governo. Magari dovrebbe sperare di tenerlo al suo posto non solo per questo finale di legislatura.

Le parole di Mario Draghi a Washington sono un bagno di realtà e di pragmatismo in piena sintonia con il presidente francese Emmanuel Macron. Un pressing forte dell’Europa nei confronti di Joe Biden affinché si creino le condizioni per mettere attorno a un tavolo tutti i protagonisti della guerra in Ucraina. Un tavolo di pace, perché è chiaro che nessuno potrà vincere, non c’è più un Davide e un Golia, come sembrava all’inizio della guerra.

Dov’è la Vittoria, come nell’inno di Mameli? Chi lo decide?  Per Draghi è l’Ucraina, Zelensky e anche Putin. Sono loro che dovranno decidere dov’è la Vittoria, il punto di caduta di un compromesso onorevole, perché, ha detto il premier italiano, sono loro che devono mantenere la pace, rispettare gli accordi. Insomma, non possono essere gli Stati Uniti o l’Europa a decidere quale sia l’asticella.

Per Draghi occorre togliere «ogni dubbio che si arrivi alla pace che fa comodo agli Stati Uniti e alla Russia e non all’Ucraina: sarebbe un disastro perché i primi a mantenere pace dovranno essere gli ucraini e i russi negli anni a venire».

È un messaggio a Putin, che credeva di essere Golia, e a Biden. È l’affermazione del ruolo dell’Europa che non pensa sia possibile vincere la guerra, umiliare Mosca. Così come, afferma Draghi, non è giusta la mossa americana di non sedere al G20 con i russi. Non è questo il modo per cominciare a pensare a come uscire vivi da questo diluvio militare, economico e umanitario.

Il premier italiano nella conferenza stampa all’ambasciata Italia, dopo l’incontro di ieri con il presidente americano, è stato molto preciso a scanso di equivoci: l’Italia e l’Europa non sono tra i tanti alleati degli Usa. Sono “l’alleato” per antonomasia, il più leale, ma questo non significa appiattirsi, non riflettere, non dire la propria nell’interesse dell’Occidente. Anche per esempio sul “pericolo umanitario” dovuto a scarsità di prodotti agroalimentari e al blocco delle esportazioni dai porti dell’Ucraina. «Lavrov dice che il blocco è causato dalle mine messe in mare dall’Ucraina – nota Draghi – ecco, questo potrebbe essere il primo punto da discutere per consentire che le navi partano, una prima condizioni per costruire un percorso di pace».

Draghi demolisce le critiche e le ubbie dei vari Conte e Salvini, dei pacifisti e neutralisti della domenica, dei chiacchieroni incompetenti dei talk show che non hanno responsabilità di governo e possono disquisire come al bar. C’è l’inflazione da tenere a bada, il costo dell’energia da abbassare, le imprese da tenere aperte, il potere d’acquisto delle famiglie (Draghi ha più volte fatto riferimento ai «poveri»), le carestie incombenti se i porti ucraini rimangono chiusi con tutto ciò che ne consegue anche in termini di migrazioni che dalle coste africane.

Non si può guardare il mondo in fiamme dal piccolo e angusto angolo italiano, con le fibrillazioni elettorali che vengono dai 5 Stelle e dalla Lega, con la richiesta di trascinare il governo ad un voto parlamentare sulle armi da inviare ai restanti ucraini. «All’inizio della guerra e nella discussione in Parlamento – ha ricordato Draghi a Washington – mi è stato detto: “Lei deve avere un ruolo”. Ma qui non bisogna cercare un ruolo ma la pace e questo deve essere l’impegno di tutti: cercare la pace e non di vincere. Cosa significa vincere? Per ucraini – ha precisato il premier – significa respingere l’invasione, ma per gli altri?».

I termini del conflitto sono cambiati. «La guerra ha cambiato fisionomia. All’inizio sembrava ci fossero un Golia e un Davide, con difesa disperata, ma oggi il panorama è capovolto: certamente quella che sembrava una potenza invincibile si è dimostrata non invincibile. Questo porta tutte le parti a una riflessione».

Draghi sta spendendo tutta la sua autorevolezza e credibilità per dare un ruolo autonomo all’Europa e convincere Biden a lavorare a un cessate il fuoco. Il premier è il più titolato a fare queste richieste perché è stato l’esponente europeo più vicino e leale all’Amministrazione di Washington. Lo è per convinzione ed esperienza personale nonché professionale. Non è un caso che all’incontro alla Casa Bianca era presente anche la Segretaria al Tesoro Janet Yellen, che ha collaborato con Draghi quando erano al vertice della Bce e della Federal Reserve. Sono stati loro due a elaborare le prime sanzioni finanziare e le misure restrittive alle banche russe.

Insomma, le parole di Draghi non possono passare inosservate. Anche quelle sulla solidità occidentale: “Putin non ci ha diviso”. Il premier italiano è il ponte più robusto su cui Biden può contare. Lo stesso presidente americano gli ha riconosciuto la capacità di aver tenuto unita la Nato all’Ue. È il mediatore tra i falchi (britannici e Paesi dell’Est) e gli impauriti (come la Germania, che per anni si è messa il cappio dell’energia attorno al collo nonostante gli avvertimenti americani). E senza mai tirarsi indietro sulla necessità di continuare a inviare armi per consentire agli ucraini di difendersi e magari rimandare indietro i carri armati russi quanto più possibile, far male a Putin, impedire, appunto, che Mosca arrivi a Odessa. Avrà avuto argomenti giusti per convincere gli americani che il diluvio di una crisi economica non risparmia nessuno. Non è solo l’Europa a subirne le conseguenze, oltre alla Russia e alla disastrata Ucraina. Anche gli Usa sentono il vento gelido dell’inflazione, oltre l’8%, e non è un caso ne parlano i giornali americani in prima pagina.

Draghi, Macron e l’Europa pensante stanno provando a costruire una exit strategy. Senza per questo entrare in contraddizione con Washington, ma non è detto che riusciranno a ottenere il cessate il fuoco. Putin forse non ha ancora capito di non essere più in grado di vincere. Forse è ancora fermo alle parole che aveva detto all’inizio della guerra a Draghi (riferite dallo stesso Draghi in conferenza stampa), ovvero che il cessate il fuoco ci sarà quando avrà raggiunto i suoi obiettivi. «Il punto è proprio questo: oggi gli obiettivi di tutti sono chiari, sono in via di definizione», ha sostenuto a chiare lettere il premier, che ritornando a Roma dovrà fare i piccoli conti di casa nostra.

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