Campo largo alla tedescaUn’alleanza tra Pd, verdi pragmatici e liberalsocialisti per evitare il declino

Per superare il bipopulismo, il Nazareno non deve guardare ai malridotti grillini e alla sinistra radicale, ma al tentativo di Calenda di creare una nuova area politica che tenga insieme progressisti e ambientalisti seri. Come i Grünen in Germania che governano con la Spd e i liberali

Unsplash

Carlo Calenda ha ragione quando scrive, come fa nel suo ultimo libro “La libertà che non libera”, della necessità di trovare una «casa politica forte» a quello che lui definisce «umanesimo repubblicano e liberalsocialista». Per non rimanere fermi a un conflitto ideologico in bilico sul «vuoto bi-populismo». È quello che in Italia manca in un vero e innovativo campo largo immaginato dal Partito democratico di Enrico Letta e che non ha nulla a che fare con il coinvolgimento dei Cinquestelle di Giuseppe Conte.

Non è la versione italiana di Jean-Luc Mélenchon che serve a questa parte politica e neanche i bizantinismi sulle armi difensive e offensive. Una distinzione tecnicamente impossibile, come ricorda il generale Leonardo Tricarico, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare. «Abbiamo il dovere di mandare armi in Ucraina. Siamo un Paese – ha detto in una recente intervista all’Huffpost – che si è disinteressato sistematicamente della difesa per anni e oggi gli stessi protagonisti non si possono improvvisare statisti. Fossi in Conte non mi avventurerei in considerazioni di carattere tecnico».

Quello che servirebbe a un campo largo di governo non è soltanto la casa liberalsocialista e progressista di cui parla Calenda. Servirebbe anche un forte e radicato partito dei Verdi come c’è in Germania. I Grünen oggi sono i maggiori sostenitori dell’invio di armi a Kiev, pungolano il Cancelliere Olaf Scholz. Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino di Repubblica, scrive che tutto il partito è per la linea sintetizzabile in più panzer Made in Germany e meno chiacchiere. Riporta una serie di dichiarazioni in questo senso del ministro dell’Economia Robert Habeck e della ministra degli Esteri Annalena Baerbock. E poi ricorda che perfino il presidente della Commissione Europa del Bundestag, Anton Hofreiter, un botanico dai capelli lunghissimi e l’aria da fricchettone anni Settanta, parla come il generale von Clausewitz: «Abbiamo a che fare con una guerra imperialista e colonialista». Hofreiter è stato tra i primi a recarsi a Kiev per portare la solidarietà dei Grünen.

Il punto non secondario è che in Germania l’88 per cento degli elettori dei Verdi al governo con la Spd è strafavorevole a mandare armi in Ucraina. In Italia invece l’opinione pubblica vacilla, i sondaggi, per quello che valgono, raccontano di maggioranze contro il sostegno militare. Giuseppe Conte cavalca questo sentimento nella speranza di rianimare un Movimento populista che sta precipitando sotto la soglia psicologica del 10 per cento. Matteo Salvini, scivolato sotto il 20 per cento, è diventato francescano, cercando di far dimenticare quando, proprio in contrapposizione a Papa Francesco, esaltava Karol Woityla, il quale notoriamente contro Mosca non andava per il sottile.

E poi c’è il paragone tra i Grünen ed Europa Verde, di cui ha scritto su Linkiesta Beppe Facchetti. Un paragone impietoso con un partito nato in Germania dai movimenti pacifisti e anti-atomici e arrivato al governo di Gerhard Schroeder negli anni Novanta con il ministro degli Esteri Joscher Fischer, il quale avallò i bombardamenti Nato a Belgrado e Pristina. E che in una recente intervista al periodico Taz ha detto che «credere di poter prescindere dalla dissuasione e la sicurezza come conseguenza della nostra storia sbagliata nella prima metà del Ventesimo secolo è stato un errore. Da questo errore è nata l’illusione che si potesse arrivare a un cambiamento pacifico di sistema in Russia solo attraverso l’interscambio commerciale. Questa illusione e ci ha portato a una dipendenza per la quale o paghiamo ora un forte prezzo». La dipendenza dal gas di Putin, di cui è grande amico l’ex Cancelliere Gerhard Schröder, diventato ricco con Gazprom.

Rimaniamo sul punto, alla mancanza in Italia di quella forza su cui sta lavorando Calenda e dei Verdi di governo per un vero campo largo alla tedesca.

Letta, per vincere, non può contare su una ridotta elettorale legata al radicalismo degli anni Settanta e Ottanta. Per superare la soglia di sbarramento elettorale, i Verdi pensano di sommare il 2 per cento con l’uno virgola qualcosa di Sinistra Italiana guidata da Nicola Fratoianni. A differenza di quelli tedeschi, gli ambientalisti italiani sono rimasti davanti ai cancelli dell’aeroporto Magliocco di Comiso per impedire l’ingresso dei missili Cruise della Nato nel 1983.

Me le ricordo quelle manifestazioni pacifiste. C’ero pure io accanto ai giovani tedeschi che parlavano già allora di idrogeno, di rivoluzione ecologica, energia solare, fotovoltaico e tutto quello che sembrava fantaecologia e ora è in cima a tutte le agende di governo per salvare il Pianeta e per liberarsi dal cappio del gas russo. Molti di loro sono diventati sindaci, governatori e ministri. In Italia era il periodo dei primi obiettori di coscienza, dei né con l’URSS né con la Nato. Erano gli anni in cui la Legambiente aveva dirigenti come Paolo Gentiloni e dove iniziò a fare politica Ermete Realacci (in questi giorni si è schierato a favore della scelta di fare a Roma, finalmente, un termovalorizzatore).

Cambiare opinione non solo è lecito, spesso è indispensabile per evitare la sclerosi del pensiero e prendere atto dei mutamenti della storia. Non si tratta neanche del solito refrain si nasce incendiario e si muore pompiere. Si tratta di governare le difficoltà dei nostri tempi, di prendere atto che ci sono dei despoti che minacciano la sovranità di popoli liberi e occidentali. E che, ci piaccia o no, con tutti i suoi difetti, la nostra democrazia è l’unica che abbiamo. Come c’era scritto negli adesivi sulle auto e nelle camere dei ragazzi (roba di altri tempi?) di Legambiente negli anni che ho ricordato: l’immagine di una Terra minacciata dai missili e la scritta «È l’unica che abbiamo».