«Non ho scioperato. Una scelta molto sofferta, ma non mi sentivo di farlo». Ezia Maccora, presidente aggiunta dei Gip di Milano, spiega a Repubblica perché non ha partecipato allo sciopero delle toghe indetto dall’Associazione nazionale magistrati contro la riforma dell’ordinamento giudiziario approvata dalla Camera e ora in esame al Senato. Il primo dopo 12 anni.
E i numeri dicono che l’astensione, in effetti, non è riuscita. La soglia del 50% non è stata neanche sfiorata. A scioperare, spiega il Corriere, sono state soprattutto le toghe giovani e i piccoli uffici (picchi del 90% a Busto Arsizio e Nola, 73% il distretto di Bologna), ma pochissimo i magistrati più anziani e le sedi grandi.
«Lo sciopero come forma di protesta è sempre stata l’extrema ratio, strumento da usare con massima cautela…», dice Maccora. «Ho parlato con molti colleghe e colleghi in questa settimana e avevo percepito la preoccupazione di tutti per questa forma di protesta in un momento storico in cui il Paese fa i conti con gli effetti della pandemia e con una guerra in corso».
Lo strumento, secondo il magistrato, «avrebbe dovuto essere un altro. Un mezzo idoneo a far capire ai cittadini, ai giuristi, agli avvocati, le criticità della riforma e le nostre preoccupazioni. Per esempio sono state molto utili le assemblee aperte che si sono tenute in molti distretti». Anche perché non si tratta più delle riforme di Berlusconi, «con un attacco diretto all’indipendenza e all’autonomia della magistratura». In quei casi i magistrati avevano il sostegno di giuristi e di una larga fetta dell’opinione pubblica. «Oggi noi siamo preoccupati che i cittadini non capiscano lo sciopero».
Maccora racconta che visti i tempi lunghi per il voto finale al Senato, era stato chiesto «di riaprire il dialogo con la politica e con la ministra, e di organizzare giornate aperte ai cittadini per far capire gli aspetti negativi della riforma». Ma alla fine si è scelta la formula dello sciopero. E «chi l’ha fatto oggi deve necessariamente confrontarsi con il fatto di non essere riuscito a rappresentare tutta la magistratura».
Nella riforma, spiega, «ci sono aspetti sicuramente negativi, e c’è da augurarsi solo che i decreti delegati li correggano». Ad esempio: «Creare di fatto una separazione tra pm e giudice. Il migliore pm è quello che valuta le prove con l’occhio del giudice. L’impianto della riforma spinge verso una produttività slegata dalla complessità del lavoro del magistrato».
Il problema, conclude, è «mettere in evidenza le criticità, se ci sono, anche duramente, e soprattutto farle comprendere all’opinione pubblica per non avere una magistratura isolata dal Paese».