Passato lo shock, passate le manifestazioni di solidarietà e l’ondata di boicottaggi e sanzioni, la classe dirigente occidentale sembra piuttosto perplessa sul da farsi in Ucraina. I difensori sono riusciti a fare ciò che si riteneva impossibile: a quasi cento giorni dall’invasione russa si può dire che Kiev sia riuscita a contenere uno degli eserciti più potenti del mondo e a mantenere la propria legittima autorità nei territori non occupati. Già questo può essere considerato una grande vittoria dell’Ucraina, raggiunta anche grazie all’enorme quantità di equipaggiamento e armi fornite dall’Occidente.
Nonostante le giustificate paure nei confronti di Mosca, nelle prime settimane di resistenza i sostenitori dell’Ucraina hanno avuto dalla loro una combinazione di fattori senza precedenti: è chiaro chi si trova dalla parte del torto, e il modesto obiettivo dei difensori – la sopravvivenza dello Stato ucraino – ha reso politicamente fattibile fornire all’Ucraina ciò che serviva per arrestare l’avanzata russa.
Il fallimento dell’offensiva di Putin in Donbass apre però una nuova fase della guerra. Salvo sorprese, ci stiamo avviando verso uno stallo prolungato. La spinta dell’esercito russo è ormai esaurita: nei fatti vuol dire che le perdite di veicoli, soldati ed equipaggiamento non permetteranno una nuova grande offensiva per almeno un paio di mesi.
Senza una mobilitazione parziale o l’invio dell’attuale classe di leva al fronte, Mosca avrà difficoltà a ricostituire gli organici delle unità attualmente impegnate nei combattimenti. E se le dichiarazioni del Pentagono sono vere, presto potrebbe anche ritrovarsi a corto di missili di precisione. Ciò obbligherà i russi a incrementare ulteriormente l’uso dell’artiglieria e di sistemi imprecisi come le bombe a grappolo, che nonostante lo spaventoso effetto sui civili sono strumenti nettamente più inefficienti da un punto di vista militare.
Il dilemma è abbastanza evidente: finché le forze di terra non saranno in grado di montare una nuova offensiva, per i russi sarebbe consigliabile limitare il supporto aereo ravvicinato e l’uso di missili cruise; d’altra parte, interrompere le campagne di bombardamento contro le infrastrutture e l’industria darebbe una tregua ai sistemi di rifornimento e all’economia ucraina.
Qualsiasi scelta fatta da Mosca avrà quindi un costo strategico importante. A questo si aggiunge la difficoltà che i russi avranno nel cambiare il proprio approccio alle prossime offensive: non si può cambiare dottrina bellica in corsa e dopo decenni di addestramento. I russi continueranno quindi a perseverare nel montare offensive complesse nonostante abbiano dimostrato di non avere sufficienti capacità di coordinazione. In alternativa, opteranno per avanzate molto caute, esponendosi così a rapide controffensive ucraine e perdendo la possibilità di sfruttare a fondo eventuali vittorie locali.
È difficile che l’Ucraina sia in grado di organizzare grandi operazioni per riconquistare territori ormai saldamente in mano ai russi. Ovviamente non va sottovalutato l’impatto che la resistenza sta avendo nelle zone occupate, soprattutto nel sud del Paese. Detto questo, ai difensori manca la potenza di fuoco mobile necessaria per operazioni di ampio respiro. I 200 cannoni a lunga gittata forniti finora possono colpire in profondità le retrovie russe, ma hanno un’efficacia relativa in operazioni altamente mobili.
Le discussioni riguardanti l’invio degli obici semoventi di produzione tedesca PzH 2000 e di sistemi antiaerei mobili riflettono necessità operative molto chiare: ad oggi le forze ucraine non sono abbastanza mobili da sfruttare fino in fondo le debolezze delle unità russe.
L’avanzata attorno a Kharkiv è stata possibile perché gli ucraini sono molto abili a mettere sotto pressione diversi settori contemporaneamente e a costringere il comando russo a rafforzare alcune zone del fronte a scapito di altre. Kiev sta effettivamente sfoltendo il numero delle direttive d’attacco russe, costringendoli ad accantonarle una a una: strategia vincente, ma non certo un’offensiva in grande stile.
Questo pone i decisori occidentali di fronte a scelte molto meno ovvie rispetto a febbraio e marzo. Che si preferisca il rapido raggiungimento di un cessate il fuoco o una riconquista dei territori occupati dopo il 24 febbraio, sarà necessario sostenere lo sforzo bellico ucraino per un periodo prolungato, sia tramite il supporto diretto a Kiev, sia mantenendo la pressione sulla Russia.
L’industria militare ucraina è vulnerabile ai continui bombardamenti russi e ci vorrà tantissimo tempo prima che sia in grado di produrre munizioni sufficienti, senza considerare che a un certo punto sarà necessario adattare parte delle catene produttive e di manutenzione per i sistemi di produzione post-sovietica agli standard Nato.
Per quel che riguarda il supporto indiretto, invece, l’Unione europea e i suoi alleati hanno già fatto molto per deteriorare le capacità belliche russe nel lungo termine.
Al di là della polemica sul pagamento del gas in rubli, l’embargo imposto sull’export di semiconduttori e componenti ad alta tecnologia renderà molto difficile la produzione di armi ad alta tecnologia e la sostituzione di missili, sistemi di guerra elettronica ed equipaggiamento moderno andati perduti durante “l’operazione speciale”.
A questo si aggiunge la stagnazione prolungata dell’economia russa, già duramente provata da otto anni di austerity e ormai completamente tagliata da qualsiasi tipo di opportunità di crescita e innovazione economica.
Parallelamente abbiamo assistito a un aumento della coesione nelle élite politiche russe, che ormai si trovano sulla stessa barca e sembrano ancora più ostaggio della volontà politica del Cremlino rispetto al passato. È probabile che lo Stato finirà per riprendersi completamente il controllo sull’economia del Paese, effettivamente bloccandone lo sviluppo e sottoponendola alle esigenze delle élite di sicurezza.
Il fatto che l’economia del Paese sia destinata a un lungo periodo di inedia e non a un collasso immediato rivela una dura verità: l’incapacità europea di imporre ulteriori sanzioni e l’effetto differito delle misure attuali può ragionevolmente portare i russi a credere di avere il tempo dalla loro parte. Tutto ciò che Mosca deve fare è attendere che le divergenze fra gli europei, o fra l’Unione europea e gli Stati Uniti, portino a un allentamento della pressione.
Il tempo è dalla parte dell’Ucraina, e un supporto costante da parte dell’Occidente permetterà a Kiev di spuntarla. L’invio di armi sempre più raffinate, come i sistemi antidrone consegnati dall’Italia, rafforzeranno le capacità dei difensori. Anche qui, ci vorranno mesi prima che le forze armate ucraine siano sufficientemente addestrate nell’uso di questi sistemi, e bisognerà fare attenzione a fornire strumenti che non richiedano uno sforzo troppo esoso a livello di manutenzione per un Paese allo stremo.
Le forze armate russe si sono rivelate meno avanzate del previsto: l’utilizzo di chip rimossi da elettrodomestici o di fotocamere Canon nei droni di sorveglianza dimostrano certamente un impianto tecnico-industriale rozzo. Paradossalmente, però, questo gli garantisce la possibilità di continuare guerra molto più a lungo rispetto a un esercito realmente modernizzato e con esigenze di materiale più costose.
Il dato analitico che ne deriva è che la situazione rischia di degenerare in uno stallo. Il dato politico, invece, suggerisce che Europa e Nato non possano abbassare la guardia e debbano pensare a come rendere lo sforzo sostenibile nel lungo periodo.
Da un punto di vista pratico, nuove misure per aiutare l’Ucraina a rimettersi in piedi – ad esempio sbloccando il porto di Odessa e garantendo l’export di grano sulle rotte del Mar Nero – saranno fondamentali per permetterne la resistenza a lungo termine.
Unione europea e Nato dovranno anche prepararsi politicamente a pressioni russe trasversali su tutto lo scacchiere internazionale: il Mediterraneo allargato, l’ambito cyber e la dimensione nucleare sono questioni secondarie rispetto all’Ucraina, ma tutte rientrano nel grande scontro in cui Mosca crede di trovarsi con l’Occidente.
Nella dottrina strategica russa si tende a parlare di scontri locali, regionali e globali, non di conflitti a breve o lungo termine. Presto la Russia proverà quindi a offrire concessioni o fare pressione su altri dossier mondiali per indebolire il supporto euroamericano a Kiev.
Accettare la prospettiva di uno scontro mondiale andrebbe a discapito della risoluzione del conflitto. Il cuore della guerra è in Ucraina, ed è lì che la violenza continuerà a consumarsi.