Mia figlia, undicenne, è celiaca. Se opportunamente sorvegliata e contrastata, è una patologia che non impensierisce e perlopiù rappresenta una scocciatura perché obbliga a un regime alimentare e igienico assai rigido: ma davvero c’è di peggio, come si dice e come si sa.
L’altro giorno la figliola si è lasciata andare a una minuscola violazione dell’obbligo di non assumere cibo con glutine. Io stavo facendo colazione con questa cosa per me ordinaria e per lei vietata che in Italia chiamiamo brioche (in Medio Oriente dicono “cornetto”), e lei mi guardava con occhi che non riuscivano neppure a essere imploranti ma solo rassegnati e, come diceva Savinio descrivendo una giostra mal ridotta in riva al mare di Normandia, «muta come solo i poveri sanno tacere». Che una bimba nata e cresciuta non si dice in ricchezza, ma insomma nell’ordinario benessere di una città cui nulla manca, in una routine di interessi e preoccupazioni che non implica il fabbisogno alimentare, si trasfiguri in una bestiola che fissa tristemente quell’impasto di zucchero e farina cui non può ambire, come il cane davanti al pranzo non condiviso del padrone, denuncia bene in qual misura a governarci oscuramente ma con prepotenza siano i comandi arcaici della nostra esistenza, il nucleo puro e antenato che tuttavia ci contrassegna e ci vincola al nostro stato vero e originario.
Ma dicevo della brioche: ovvero, appunto, in magrebino corrente, “cornetto”. Cedo, e decido di ammollargliene un minuscolo brano. La fanciulla non può farne che un boccone, perché quello è: ma è come se la deglutizione di quel piccolo residuo pastoso avesse risarcito ere di angosce da denutrizione. E quando la bimba, a sigillo di quel ripagamento, ormai noi usciti dal bar, mi ha detto «Papà, era buonissima…», allora io ho pensato che a inibire il diritto non a un dolce contenente glutine, ma a un cibo qualsiasi, diffusamente e anche poco lontano da qui non c’è una prescrizione medica ma lo stato derelitto di tanti. Ho fatto osservare la circostanza a mia figlia, che ha smontato così quei miei vagheggiamenti: «Eh, portagliele anche a loro le brioche». Era tornata umana, cioè stronza.