Quasi quasi parlo degli NFT, che mentre scrivevo L’economia del sé ho passato giorni a studiare convinta mi stesse sfuggendo qualcosa: ciò di cui parlavano tutti non poteva essere la formidabile stronzata che pareva a una ricognizione superficiale. E invece era proprio una scemenza come Second Life (ve la ricordate? Era l’irrinunciabilità di vent’anni fa) o Clubhouse (ve la ricordate? Era l’irrinunciabilità di tre quarti d’ora fa): che fatica un’epoca in cui ogni settimana sei costretta a studiare una nuova scemenza che dopo tre quarti d’ora non ti servirà più conoscere.
Parlerei persino degli NFT, che mi interessano forse addirittura meno del calcio, pur di non parlare di Madonna che produce un NFT in cui le escono degli alberi dalla passera, la Courbet dell’epoca dei bitcoin (no, quello di Courbet mica era un autoritratto, e la vagina virtuale di Madonna l’ha disegnata un tal Beeple, quindi semmai Courbet sarebbe lui, e lei la modella, ma a fama invertita: di Constance Queniaux, la modella di Courbet, nessuno si ricorda il nome).
Il tema, ovviamente, non è la menopausa di Madonna, la menopausa di una che sta in scena da quarant’anni ma non si arrende, non si scansa, non si copre, e il tempo che abitiamo le ha fornito pure la copertura ideologica (se vi fa inorridire la vecchia con la passera fiorita è perché siete sessisti, siete ageisti, siete anatocisti). Il tema siamo noi.
Ha scritto ieri Maria Laura Rodotà sulla Stampa che «con Madonna e i suoi genitali molti di noi sono cresciuti» – il che è vero, per le trentaequalcosenni. Sex, il librone erotico patinato, è di trent’anni fa: noialtre eravamo già grandi. Per le mie coetanee – quelle che avevano dodici anni all’altezza di Like a Virgin e quattordici all’altezza di True Blue – Madonna è stata quasi tutto tranne che il sesso libero. Sì, nel video di Papa don’t preach aveva quella maglietta con scritto che gli italiani lo fanno meglio, ma era una canzone in cui diceva al padre che era rimasta incinta e voleva tenersi il bambino: neanche La ragazza con la pistola era così retrogrado, neanche le lettere a Cioè che chiedevano se il bidè con la Coca Cola fosse anticoncezionale facevano passare così tanto la voglia.
In compenso dopo quel video volevamo tutte tagliarci i capelli corti, così come dopo quello di Like a virgin avevamo comprato orrendi guanti di pizzo, così come da Material girl le migliori di noi impararono i fondamentali della scalata sociale: the boy with the cold hard cash is always mister right. La passera era un mezzo, mica un’installazione botanica.
Adesso che la passera è un fine – e che a chiamarla così verrò come minimo accusata d’essere Belpietro: siamo un’epoca che fa passare concetti mostruosi sterilizzandone il lessico, e quindi una detentrice di passera è obbligata a chiamarla vagina – Madonna si dev’essere giustamente chiesta perché solo lei no.
Se tra i libri più venduti in Italia ci sono le poesie di una tizia di cui non si conoscono le doti letterarie, ma si sa che si espone molto per ottenere una legge che riconosca il mal di vagina (ignoravo fosse finora illegale avere male là sotto, ma è perché ho moltissimi limiti culturali), allora vuol dire che la vagina è una corrente letteraria, artistica, espressiva. Se i giornali sono pieni della poetessa esordiente cui duole, Madonna – con la carriera che ha avuto – avrà pur diritto di farsela fiorire.
Oltretutto per beneficenza (ai bambini ucraini: c’è pure il ricatto del tema importante): l’asta per gli NFT si chiudeva ieri notte, chissà quale dei tre è stato quotato di più. Quello in cui dalla cicconica passera esce un albero, quello in cui escono farfalle, quello in cui escono bruchi (che sembra un po’ la scena dei Visitor in cui l’umana partoriva l’alieno: se siete della generazione cresciuta con Madonna ve ne ricorderete).
Il tema, insisto, siamo noi: Madonna è una tela su cui abbiamo sempre proiettato tutto, la smania di rivalsa sociale, la possibilità di farcela se non eri né la più bella né la più intonata, persino quello slogan che è sempre falso tranne quando la riguarda, quello dei quarant’anni che sono i nuovi vent’anni. A quarant’anni, Madonna era bella come mai prima. Era l’anno di Ray of Light, per capirci. Era a metà tra la prima e la seconda gravidanza, era una tizia che aveva partorito e aveva la pancia più piatta che a venticinque anni, era una che cantava da che avevamo memoria e ora faceva il suo miglior disco, era la prova che persino quando eri Madonna avevi margini di miglioramento, e che non esistevano «ormai è tardi» che avessero senso.
Adesso, ogni volta che la vediamo su Instagram piena di filtri e di iniezioni e di smaniosità e di figli e d’apparente incapacità di rilassarsi, noi ci agitiamo e rivorremmo la possibilità di dire che ormai è tardi: questa vita che è cominciata a quarant’anni ci toccherà accollarcela anche a settanta? Dovremo essere ancora in forma, ancora fotogeniche, ancora alla ricerca di modi per farci notare, pure se quei modi consistono nel far produrre un avatar di noi stesse (che in realtà sembra un avatar della Barbie) dalla cui passera far uscire flora e fauna? Non arriverà a nessuna età di questa dannatissima donnitudine postmoderna il momento di sfilarci la dentiera, metterla nel bicchiere, e passare la serata a leggere un giallo sotto la coperta? Fine fatica mai?