I fatti, in breve, sono questi. Iuri Maria Prado, commentando un intervento televisivo di Andrea Purgatori a L’Aria che Tira, il 25 febbraio scorso scriveva su Twitter: «Poco fa, a Telecinquestelle aka @La7tv, questo tipo qua @andreapurgatori, ospite di questa qua @myrtamerlino, diceva che ‘Putin si sta impegnando a non spaventare la gente».
Il giorno successivo, Andrea Purgatori così rispondeva, sempre su Twitter: «Lei è un pover’uomo che raccatta qua e là, monta e smonta ciò che le restituisce un po’ di senso della vita sotto forma di applausini. Non ascolta. Non capisce. Non ci arriva. Si concentri su cravatte e pastasciutta. Oppure si dedichi al fascio a tempo pieno. La sua vera natura».
Prado si rivolgeva quindi al giudice di Milano chiedendo di considerare lesivo e illecito il post di Purgatori, di ordinarne la rimozione e di disporre la pubblicazione del provvedimento a spese di Purgatori sul Corriere della Sera. Il giudice dava ragione a Prado e a breve, sempre al Tribunale di Milano, sarà discusso il reclamo di Purgatori su questa decisione.
Al di là del merito giudiziario della vicenda, è decisamente interessante quello politico-culturale perché illumina molto chiaramente un aspetto patologico del nostro dibattito pubblico, che riguarda l’uso politico, in senso personalmente diffamatorio e storicamente contraffattorio, dell’accusa di fascismo. Uso che non inizia certo oggi, ma che in questo caso si manifesta in modo esemplarmente grottesco.
Partiamo dai fondamenti logici della questione. L’addebito di fascista al pensiero politico di qualcuno e al suo modo di darvi concretamente corso nella vita pubblica dovrebbe considerarsi legittimo laddove esista una qualche forma di corrispondenza oggettiva, nelle idee professate e nella condotta tenuta da parte del (così definito) fascista, con il pensiero e la concreta azione politica dei partiti e movimenti fascisti e neo-fascisti, dalle origini sansepolcriste del 1919 fino ai giorni nostri, in Italia, e non solo in Italia.
Nel nostro Paese si è invece adusi, nella pubblicistica e nella polemica politica, a qualificare come fascista non solo chi abbia detto o fatto qualcosa di fascista – con riferimento a un repertorio di idee e di condotte precisamente caratterizzate e facilmente identificabili – bensì chi sostenga tesi considerate contrarie a una certa rappresentazione dell’antifascismo.
In questo modo si diventa fascisti non se si sostengono tesi e si tengono comportamenti qualificabili come tali, bensì se ci si oppone a una certa vulgata antifascista. Chiunque può essere dichiarato fascista, insomma, non se appartiene al fascismo, ma se non è ritenuto degno di appartenere al vero antifascismo, in quanto giudicato estraneo o avverso a quel che qualcun altro qualifica come inderogabile impegno antifascista, contro qualunque cosa possa, da questo stesso, essere al fascismo accomunata. Ad esempio, il capitalismo liberale, la globalizzazione, gli Stati Uniti d’America, l’Alleanza Atlantica o, più recentemente, la difesa dell’integrità territoriale dell’Ucraina.
Il che è doppiamente contraddittorio: in primo luogo perché se il fascismo può essere considerato, nelle sue diverse articolazioni, un fenomeno ideologicamente unitario, l’anti-fascismo certamente non lo è, annoverando fin dall’inizio al proprio interno culture politiche radicalmente alternative e contrapposte, anche in ordine alla difesa della non negoziabilità del principio democratico. In secondo luogo perché, in questo modo, l’addebitato fascismo di qualcuno perde ogni connotato oggettivo, e diventa la rappresentazione soggettiva, quando non puramente arbitraria, dell’antifascismo di qualcun altro.
Nella risentita ingiunzione di dedicarsi “alla sua vera natura”, cioè “al fascio a tempo pieno”, non c’è solo il giudizio di Purgatori sulle idee e sulle azioni del presunto “fascista” Prado, ma c’è soprattutto l’accusa al secondo di intralciare fascisticamente la divulgazione televisiva del primo e quindi di contraddire il giudizio secondo cui l’obiettivo di Putin sarebbe stato “di non spaventare la gente”, pure facendola oggetto di furiosi bombardamenti.
Quindi paradossalmente l’accusa di relativizzare l’aggressione russa, fino a darne una versione contraffatta dallo scrupolo umanitario, diventa una prova di fascismo, come se la relativizzazione e la contraffazione della guerra di Putin e delle sue forme ferocemente criminali fosse una prova di militanza e di virtù antifascista e metterla duramente in discussione un conclamato attestato di fascismo.
A rendere ancora più surreale la vicenda è peraltro la circostanza che il nazionalismo russo, posto alla base dell’ideologia putiniana e a giustificazione della russificazione coatta dell’Ucraina, nasce storicamente dallo stesso ceppo ideologico, da cui in Italia germogliò il fascismo e su cui nella Russia sovietica è stato successivamente innestato l’imperialismo stalinista.
Purgatori difende la legittimità del suo giudizio – cioè che la “vera natura” di Prado è quella di un fascista – come un artificio polemico giustificato dalla durezza dello scontro pubblico e soprattutto come l’esercizio di un diritto di critica, la cui legittimità non è legata alla fondatezza degli addebiti mossi alla posizione avversaria.
Ma se è pur vero che la polemica politico-giornalistica può avere toni particolarmente accesi e che la critica non deve essere giudicata fondata per essere considerata legittima, il problema non è qui rappresentato dalla critica alle posizioni di Prado, liquidate da Purgatori nel modo sarcastico e irridente (“Non ascolta. Non capisce. Non ci arriva. Si concentri su cravatte e pastasciutta”) che Prado ha prontamente contraccambiato (“Minchia questo è giornalismo coi controcoglioni. Mica gliela racconti a questo. Embedded in Paraculand”).
Il problema è che attribuire a qualcuno una specifica identità politico-ideologica antiliberale e antidemocratica risulta oggettivamente lesivo della sua immagine e della sua reputazione, non tanto perché le ricollega a una tradizione e a un’esperienza politica responsabile di crimini efferati, di cui pure altri, come è successo e succede, potrebbe difendere il valore e l’onorabilità, quanto perché contraddice e quindi sfigura l’identità di chi dell’addebito è fatto oggetto, avendo sempre pubblicamente professato convinzioni del tutto contrarie.
Detto in altri termini, occorre destituire il fascismo di realtà storica e trasformarlo in una maschera ideologicamente neutrale di “impresentabilità” – questa è l’operazione compiuta da Purgatori, questa è l’operazione compiuta per decenni da certo antifascismo ufficiale – per potere dare del fascista a chi fascista non è e non è mai stato e che il fascismo ha sempre avversato nelle sue manifestazioni storiche e nella sua attualità politica.
Dare del fascista a qualcuno quando i principali caratteri del fascismo – squadrismo e violenza politica, antiparlamentarismo, corporativismo sociale, autarchia economica, colonialismo, razzismo, antisemitismo, confessionalismo – non sono mai stati da questi difesi e professati, ma contrastati apertamente, in un modo ampiamente documentato, rappresenta quindi una grave lesione dell’identità e della reputazione della persona, non perché il fascismo è cattivo, ma perché è esattamente il contrario di come il presunto fascista è e pretende di essere pubblicamente riconosciuto.
E qui si torna al presupposto in base al quale questo addebito è considerato da Purgatori legittimo nella polemica politica: perché non si fonda sulla realtà del fascismo, ma sull’immagine del fascismo di alcuni antifascisti. Questo, solo questo, può fare sentire autorizzato Purgatori a derivare ridicolmente il fascismo di Prado da alcune caratteristiche caratteriali, stilistiche e perfino fisiognomiche: come scrive, come si esprime, come si veste, che faccia ha…. Nel reclamo di Purgatori si legge anche testualmente che «il profilo Twitter di controparte contiene diverse sue fotografie in primo piano, nelle quali la postura e l’espressività del volto richiamano indubbiamente immagini di evidente natura fascista».
E non si tratta, come chiunque può vedere, di foto in fez, orbace o camicia nera, né di ritratti a mascella serrata, labbro sporgente e mani appoggiate sui fianchi, ma di due primi piani di un cinquantenne con una barba hipster, vestito un po’ eccentricamente con colori pastello. Il che conferma che per questa strada si arriva inevitabilmente all’esito che il fascismo è solo l’ombra del nemico che si staglia nella caverna ideologica dell’antifascismo ufficiale.
Così può diventare fascista anche un avvocato liberale di famiglia ebraica, come Prado, noto da alcuni decenni ai lettori di svariate testate giornalistiche per posizioni radicali sui temi delle libertà civili e della garanzia dei diritti costituzionali, contrarie a ogni forma di emergenzialismo giuridico e giudiziario e violentemente polemiche contro le retoriche prevalenti, non solo a destra, in materia di sicurezza e immigrazione. E diventa fascista perché irride, semplicemente virgolettandolo, il giudizio di un famoso giornalista che, sentendosi l’incarnazione dell’antifascismo, non tollera che gli si rinfacci l’ignominia delle sue parole (ricordiamole ancora: «Putin sta puntando sui suoi obiettivi, e nel frattempo cerca di non spaventare la popolazione»), pronunciate mentre l’esercito russo implementava l’operazione speciale contro il governo degli omosessuali e dei drogati, radendo al suolo condomini e ospedali.