Di norma guardiamo l’Argentina sul mappamondo e pensiamo al tango, all’asado e al dulce de leche. Com’è possibile che una crema a base di latte e zucchero abbia finito per simboleggiare un Paese, o comunque una parte caloricamente rilevante dell’America Latina? Come per molte ricette diventati vessillo di ricettari nazionali o curiosi aneddoti con cui farcire la loro genesi, anche questo dolce nasce da un fortunato errore. O almeno, così recita una leggenda popolare dell’Ottocento in cui la domestica del generale Juan Manuel de Rosas dimenticò sul fuoco la lechada, tipica bevanda argentina ottenuta da latte e zucchero, che in quella distrazione ha avuto tutto il tempo di caramellizzarsi fino a trasformarsi in una crema marrone, il dulce de leche, appunto.
Santissime tentazioni
Se questa resta una storia sospesa tra mito e realtà, che Papa Francesco ne vada ghiotto non è una teoria, ma una golosa confessione di una guardia pontificia svizzera che in un libro ha rivelato le debolezze culinarie del pontefice nato a Buenos Aires. È proprio in una provincia della capitale argentina, precisamente a Mar del Plata, che conduce la gelateria che ha riportato il gelato italiano in Italia conquistando tutti con il suo dulce de leche, in questo caso servito sotto zero. La famiglia Otero ha origini piemontesi ma ha scelto Roma per aprire il primo Lucciano’s in Europa, il 59° a livello globale, l’unico brand che oltre ad avere i diritti della Universal Pictures per produrre il Minion icepop con le sembianze dei piccoli aiutanti gialli del protagonista di “Cattivissimo Me” adesso miniaturizza su stecco anche il Colosseo. A onor di cronaca non è la prima vetrina romana a procurare il dulce de leche in cono o coppetta – passaparola vuole infatti che il precursore sia stato il signor Gustavo di Pico Gelato – ma presto lo avrà in esclusiva racchiuso in una propria linea di creme spalmabili. «Il nostro consiglio è sicuramente quello di mangiarlo direttamente dal barattolo – sorride Christian, la nuova generazione Otero – ma anche spalmato sui pancakes, all’interno dei toast o sopra i waffle. Ogni bambino in Argentina ha dei ricordi legati al dulche de leche in diverse occasioni e forme in cui viene mangiato, al naturale o in versione gelato. Da noi tutti i gusti dovrebbero essere assaggiati in purezza tranne, forse, l’helado de leche che sta bene ovunque».
La Nutella sta all’Italia come il dulce de leche sta all’Argentina
Che fosse drappeggiato su fette di pane o in solitaria nella conca di un cucchiaino, il dulce de leche era tra i fondamentali nel frigo di Mariano Guardianelli, chef italo-argentino, dal 2019 una stella Michelin a Rimini con il suo Abocar – Due Cucine. Neanche i dolci romagnoli hanno permesso l’oblio di una simile bontà per Mariano che non ha resistito a introdurlo nei suoi petit four per tenere unito un bacio di dama, biscotto dalla forma tondeggiante che (non a caso) ricorda gli alfajores sudamericani. Avvicinandoci alla linea dell’Equatore, il dulce de leche diventa più liquido e cambia nome in arequipe, come lo chiama Juan Camilo Quintero, giovane stellato colombiano, responsabile dell’alta ristorazione di Borgo San Felice, una delle migliori destinazioni di Relais and Châteaux nel Chianti, sotto la supervisione a distanza di Enrico Bartolini. «Mia nonna Estèr era una contadina e viveva in una zona dove si produceva tantissimo latte. L’ho vista preparare l’arequipe un paio di volte: lo aromatizzava con una stecca di cannella, ma la cosa più sconvolgente era l’aggiunta del cipollotto, un rimedio casalingo per tenere a bada l’acidità». L’interpretazione del talentuoso chef si traduce in una confettura di latte, profumata con vaniglia e anice che si fa gelato nel nuovo sinuoso dolce Omaggio al maestro Botero, dessert al cioccolato della Colombia in diverse percentuali, una selezione che sostiene la filiera equosolidale del cacao di cui Quintero si fa paladino, come per il caffè San Alberto. Tra empanadas, tacos, tostadas e ceviche da Roy Caceres, uno dei migliori esponenti della cucina gourmet a Roma dell’ultimo decennio e oggi nella sua forma più pop da Carnal, sembra di camminare tra le strade del Sud America quando si addenta l’oblea, «un tipo di cibo da passeggio che somiglia a un wafer piatto e molto croccante su cui coliamo yogurt, arequipe e lamponi frantumati e abbattuti con la menta, per un gusto goloso e fresco». Come per noi i cannoli dalla Sicilia o le sfogliatelle da Napoli, nei ricordi d’infanzia dello chef «non c’era visita di un parente senza quel manjar blanco (altro nome del dulce de leche) nella totuma, contenitore vegetale dalla consistenza quasi legnosa; non aspettavamo neanche il cucchiaino e andavamo a fare la scarpetta direttamente con il dito».
Tante interpretazioni, tanti punti di vista
Se Luigi Biasetto, maestro pasticcere e campione del mondo di pasticceria, ha incasellato il dulce de leche in una tavoletta di cioccolato bianco, le mucche di frontiera di Beppe Giovale, a cavallo tra Francia e Italia, contribuiscono alla “marmellata di latte” al gusto di mou per sostanziare le merende di grandi e piccini. «Per noi è un modo per vedere il latte da un altro punto di vista, non solo come un alimento o come formaggio. E perché no, è possibile che con il cambiamento di “Beppe e i suoi formaggi” – bottega nel quartiere ebraico di Roma che ha recentemente ristrutturato i proprio spazi – il nostro dulce de leche d’alpeggio faccia il suo ingresso tra le proposte del giorno, magari insieme a una panna cotta».
La conferma definitiva che il dulce de leche dà dipendenza arriva dal Messico dove è così popolare che il governo nel 2010 l’ha nominato “Il dolce del bicentenario messicano” per celebrare l’indipendenza dal dominio coloniale spagnolo. Qui, però, il latte incorporato è di capra, come puntualizza Karime Lopez, prima chef donna messicana a prendere la stella con Gucci Osteria a Firenze. «La città di Celaya è conosciuta in tutto il mondo per la Cajeta che viene tostata lentamente fino a raggiungere un colore scuro, tipico del caramello. Tra le varianti c’è quella al rum ma si può anche aggiungere solamente vaniglia; io sui pancakes l’ho sempre preferita allo sciroppo d’acero». Se la presenza degli ovini attesta storicamente la conquista spagnola intorno al 1500, non dovrà sembrare curioso trovare il dulce de leche tra le pieghe delle crêpres. L’antefatto è stato scritto dalla guerra più dolce di tutti i secoli, quella “dei pasticcini”, causata dal saccheggio di una pâtisserie alla periferia di Città del Messico dagli ufficiali dell’esercito locale. Chissà che in vetrina non fosse proprio il dulce di leche ad aver fatto gola ai francesi, loro che con la propria versione di confiture chiudono il cerchio sulle conserve di latte, scomodando questa volta il cuoco normanno di una guarnigione militare la cui unica colpa sarebbe stata quella di aver lasciato troppo a lungo del latte zuccherato sul fuoco. Lunga vita all’imperfezione, anche in pasticceria.