C’è un formidabile libro di alcuni anni fa scritto da Philip Gourevitch a proposito dell’atroce genocidio in Ruanda del 1994, quello che fece oltre un milione di vittime in poche settimane e tutto il mondo rimase a guardare. Il titolo del saggio è “Desideriamo informarvi che domani saremo uccisi assieme alle nostre famiglie”.
Quell’annuncio insieme burocratico e agghiacciante, come se la notifica di sterminio imminente fosse l’avviso della prossima fermata della metropolitana, è più o meno quello che sta capitando quotidianamente al popolo ucraino in lotta per la sua sopravvivenza. Ogni maledetto giorno a est e a ovest di Kiev suonano le sirene che avvertono dell’arrivo di missili russi, mentre la sera gli ospiti dei nostri talk show fanno un osceno intrattenimento a spese delle vittime che cercano riparo nei corridoi e negli scantinati assieme ai bambini costretti a convivere con gli incubi, il tutto a maggior gloria degli aggressori nazibolscevichi.
Inascoltati dal 2016, ma in realtà da molto prima, gli ucraini denunciano da anni la pianificazione russa per cancellare il loro paese e per sterminare fisicamente e culturalmente un’intera nazione. Sono stati ignorati, nonostante i russi ci abbiano provato sistematicamente almeno dai tempi dell’Holodomor, della pianificazione staliniana della carestia, a eliminare gli ucraini in quanto nemici del popolo.
Da tempo, gli ucraini avvertono anche noi europei delle intenzioni imperialiste del Cremlino perché sanno che se Putin dovesse prevalere a Kiev, dopo toccherà a noi combattere.
La Finlandia, la Polonia, la Svezia e i paesi baltici lo sanno benissimo e infatti si mobilitano e prendono decisioni sofferte e storiche che fanno piangere i guitti da talk show.
Noi che siamo più lontani dal fronte, invece, affidiamo la salvaguardia delle nostre libertà alle mani sicure della televisione spazzatura di Urbano Cairo e ai propagandisti russi e bieloitaliani del Cremlino, illudendoci che un solenne inchino a Putin possa farci schivare il colpo e che pettinare il fascismo russo possa rendere Putin ragionevole e caritatevole.
Nel tentativo in corso dei russi di sterminare gli ucraini c’è un’aggravante, rispetto al genocidio Tutsi perpetrato dagli Hutu in Ruanda: gli aggrediti, questa volta, non devono soltanto trovare riparo dai machete aerei russi ed escogitare nuovi modi per resistere e per respingere l’invasore, ma sono anche costretti ad ascoltare i surreali appelli ad arrendersi a mani alzate o a rinunciare a una fetta della propria indipendenza.
Il paradosso è che non si tratta di appelli alla resa lanciati dai russi, i quali invece continuano imperterriti a bombardare i civili indossando gli usuali guanti bianchi già messi in mostra ad Aleppo e a Grozny, ma sono appelli alla capitolazione a cura dei volenterosi complici di Putin in giro per l’Europa e di stanza nei reggimenti dell’operazione speciale televisiva di La7, Rete4 e un pezzo della Rai.
Sentendo il gelido annuncio ucraino «desideriamo informarvi che saremo uccisi dai russi assieme alle nostre famiglie», la risposta degli appeaser bieloitaliani è del tipo: cari ucraini, arrendetevi, lasciatevi soggiogare, in fondo ve la siete cercata.
Non siamo tutti così, naturalmente, e dobbiamo ancora rallegrarci che Mario Draghi non sia stato rimosso da Palazzo Chigi per andare a svernare al Quirinale, altrimenti oggi anziché del finto piano di pace di Di Maio discuteremmo di una proposta di adesione italiana alla Federazione russa.
Palazzo Chigi, il Quirinale, la Difesa, la Cisl di Luigi Sbarra tengono la barra dritta dell’Italia, ma, come ha scritto Gourevitch nel libro sul Ruanda, le buone intenzioni non bastano perché denunciare il male è tutt’altra cosa rispetto a fare del bene.
Fare del bene oggi è inequivocabilmente salvare l’Ucraina e proteggere gli ucraini con una grande campagna di solidarietà europea e occidentale, accogliendoli a braccia aperte nell’Unione e nella Nato, con aiuti umanitari e finanziari, ma soprattutto con la fornitura accelerata di tutti i sistemi di difesa possibili affinché Kiev rispedisca i russi nelle loro fogne, perlomeno fino a quando continueremo a finanziare lo stragismo russo acquistando il gas e il petrolio dalla cosca del Cremlino.
Come ha scritto Garri Kasparov su Twitter: senza le armi che ha chiesto, l’Ucraina oggi sanguina e Putin accelera l’annessione di altri territori ucraini, rilasciando passaporti russi ed emettendo rubli, uccidendo e deportando migliaia di ucraini rimpiazzandoli con i russi, come sta facendo da otto anni con l’occupazione della Crimea e del Donbas.
Ha scritto, infine, Kasparov: «Basta pensare alle concessioni che potrebbe fare l’Ucraina, perché l’Ucraina sta pagando un prezzo orrendo in termini di sangue, peraltro sapendo che serviranno decenni per ricostruire il paese; l’Ucraina sta anche pagando il prezzo di anni di debolezza e corruzione delle nazioni europee che hanno concluso affari e stretto rapporti diplomatici con il suo invasore. L’Ucraina ha bisogno delle armi che chiede senza esitazione, e il modo libero è fortunato ad avere un esercito coraggioso e preparato come quello ucraino in prima linea, al fronte di una guerra che gli ucraini non hanno mai voluto e che l’occidente ha fatto finta non esistesse. Gli ucraini non combattano questa guerra per procura, gli ucraini sono i nostri partner». Sono i nostri compagni nella lotta al fascismo.