C’è da chiedersi perché l’Italia sia diventata una specie di Bieloitalia, una Bielorussia nel cuore dell’Occidente, una provincia di ogni grottesca fregnaccia del Cremlino, più e oltre gli anni in cui un terzo del nostro paese si sentiva vicino all’Unione Sovietica mentre l’apparato politico e intellettuale del Partito comunista prendeva ordini da Mosca.
Allora, però, fare da megafono alla propaganda comunista aveva un senso, per quanto questo senso fosse contrario agli interessi nazionali e civili dell’Italia.
Allora c’era un’ideologia, c’era una visione del mondo, c’era l’illusione di costruire l’uomo nuovo, altre fregnacce criminali e criminogene come quelle di adesso ma che avevano centinaia di milioni di seguaci in tutto il mondo e rispondevano a una divisione del pianeta in blocchi contrapposti.
Non solo, allora c’era anche un minimo di autonomia locale con l’eurocomunismo, altra illusione ai tempi definita da Claudio Martelli «neurocomunismo» ma che perlomeno provava a prendere le distanze dalle atrocità più evidenti commesse da Mosca.
In Bieloitalia, invece, c’è un appiattimento alle ragioni dell’imperialismo russo che altrove fa allontanare da Mosca tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, i quali senza eccezioni cercano rifugio sotto l’ombrello della Nato o dell’Europa.
Oggi la Russia non ha nessuna capacità attrattiva, né culturale né economica, con una società chiusa, un prodotto interno lordo inferiore a quello dell’Italia nonostante le ingenti riserve energetiche e una povertà diffusa da paese sottosviluppato. Per questo il cerimonioso inchino bieloitaliano alle bugie del Cremlino risulta ancora più stravagante.
La Russia, inoltre, non è nemmeno una potenza militare come si è visto in Ucraina, da dove è stata respinta con una facilità estrema.
Putin non ha un’ideologia alternativa a quella dello stato di diritto e della società aperta occidentali da offrire ai suoi ammiratori europei, fatti salvi gli eventuali kompromat (i dossier compromettenti), se non quella revanscista russa che ovviamente non può che interessare soltanto i russi e nemmeno gli ucraini russofoni.
E, dunque, la domanda è perché l’Italia sia diventata la Bieloitalia. Ovviamente non lo è a livello di leadership istituzionale nei posti che contano, dal Quirinale a Palazzo Chigi, dove invece è saldamente atlantica, ma non possiamo dimenticare quanto abbiamo rischiato col predecessore di Mario Draghi che ha tentato in tutti i modi di restare al governo col famigerato Trisconte e che ancora oggi ogni giorno prova a sabotare, proprio sulla linea del Cremlino e contro la legittima difesa ucraina, le attività del governo. Abbiamo rischiato anche con le manovre della destra sulla Presidenza della Repubblica, con almeno una candidatura apertamente vicina al Cremlino offerta da Salvini a Conte.
La Bieloitalia si vede in televisione e si sente nelle chiacchiere da bar che in fondo sono alla stessa cosa, oltre che esprimersi col pensiero unico dell’opinionista bipopulista.
Domenica sera, su La7, uno dei facilitatori del putinismo opinionistico nostrano ha chiesto all’ennesimo brutto ceffo del Cremlino in collegamento da Mosca se fosse vera l’accusa di Rula Jebreal secondo cui i propagandisti russi vengono invitati solo dalle televisioni italiane o se, invece, costoro popolassero anche i salotti televisivi in Francia, in Spagna, in Germania.
La risposta del russo è stata «solo in Italia», una favolosa conferma dell’esattezza delle parole di Rula Jebreal e un formidabile sigillo sull’operazione speciale televisiva orchestrata dalla Bieloitalia per diffondere falsità a reti unificate.
Solo noi, inoltre, ospitiamo di martedì un’altra sgherra di Putin a ripetere le falsità del Cremlino in nome del pluralismo per poi scoprire di domenica che la gentile ospite ha invitato Mosca a lanciare missili su Torino in segno di rappresaglia per la vittoria ucraina all’Eurofestival.
Siamo il paese in cui due dei tre principali partiti politici venerano il principe delle fake news Donald Trump e uno dei due ha appena invitato alla conferenza programmatica Rudy Giuliani, l’intrallazzatore dell’ex Cialtrone in chief nonché protagonista di affari fetidi per conto di Trump al fine di sabotare le elezioni a Washington e di infangare il figlio di Joe Biden in Ucraina.
Giuliani è anche il titolare della frase simbolo di questi tempi impazziti: «Truth isn’t truth», la verità non è verità, un concetto che va oltre la post verità, oltre le fake news, oltre le verità alternative, oltre oltrissimo tutto, eppure ben radicata a Mosca.
Siamo anche il paese dove il primo partito dell’attuale Parlamento, i Cinquestelle, si è presentato al voto del 2018 con un programma di politica estera ispirato dalle missioni russe di Manlio Di Stefano e di Alessandro Di Battista contro l’Europa, contro la Nato e contro l’Ucraina e che una volta al potere ha governato da lacchè del Cremlino in particolare sulle politiche energetiche, oltre ad aver consentito quella sfilata militare russa in Val Brembana che all’armata rossa non è riuscita nemmeno in Donbas.
In quel momento, all’opposizione c’era un partito che aveva siglato un accordo politico con Russia Unita e che invocava l’adozione del vaccino Sputnik di produzione russa, senza alcuna autorizzazione delle agenzie del farmaco, mentre lisciava il pelo ai novax sostenuti dal Cremlino.
Siamo il paese delle stupefacenti trasmissioni filorusse di Mediaset e della Rai, dove Alexander Dugin e le bugie del Cremlino via corrispondente da Mosca sono di casa. Siamo il paese del palinsesto in cirillico di La7 di Urbano Cairo, il quale al Foglio ha detto che in fondo gli italiani non sono così scemi da credere alle panzane diffuse da certi personaggi da operetta ospitati dalle sue trasmissioni.
E allora ci si chiede se Cairo ci sia o ci faccia, perché se sa che ogni sera i suoi talk show raccontano fregnacce, se sa che ospitano amici di Putin sia di nazionalità russa sia bieloitaliana, se sa anche che si tratta di figure ininfluenti in quanto grottesche, perché mai continua a dare spazio alla più bieca propaganda del Cremlino? (A Cairo, però, va riconosciuto che il suo Corriere della Sera è il più atlantista di sempre).
Ci sono varie ragioni, dunque, per cui siamo la Bieloitalia e da colonia di Mosca diamo il benvenuto agli apologeti di Putin.
I partiti populisti condividono con Putin la passione per i governi autoritari e la sfiducia nella democrazia liberale e da anni si impegnano attivamente per indebolire le comunità internazionali, le istituzioni repubblicane e le tradizionali famiglie politiche europee, con assidue campagne contro l’Unione europea, contro l’Alleanza atlantica e contro la democrazia rappresentativa.
I responsabili delle trasmissioni televisive si prestano alla propaganda russa per tre ragioni, spesso sovrapponibili: la scusa della complessità è l’ultimo rifugio dei reduci dell’anticapitalismo, dell’antiamericanismo e del terzomondismo che dalla caduta del Muro di Berlino cercano ogni volta nuovi appigli, sempre più surreali, per combattere la società aperta e la libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali costruita dal Dopoguerra in poi; un ruolo ce l’ha, ovviamente, anche la convinzione di poter rosicchiare qualche punto di share ai concorrenti di fascia oraria, sparandola ogni volta più grossa della precedente; la terza ragione è il cinismo e l’irresponsabilità di molti dei protagonisti televisivi, alcuni disposti a tutto pur di emergere come influencer e altri decisi soltanto a segnare punti da giocare esclusivamente nella partita politica nazionale.
Per fare questo, tutti si servono di imbecilli patentati, di utili idioti e di picchiatelli di vario ordine e grado. Infine ci potrebbe essere anche qualcuno con rapporti decisamente più stretti con gli apparati di una potenza straniera, cosa che, come ha già scritto Francesco Cundari, sarebbe quasi rassicurante.
Il dramma, invece, è che svolgono gratis il ruolo di volenterosi complici di Putin.
Benvenuti in Bieloitalia.