Fumata neraL’Unione Europea non si accorda sull’embargo al petrolio russo

Non sono bastati cinque giorni di trattative, con una riunione degli ambasciatori convocata anche domenica. Ungheria, Slovacchia, Cechia e Grecia contrarie al bando totale. «Una bomba atomica per la nostra economia», dice Orbán

AP/Lapresse

L’obiettivo era ambizioso: un embargo completo di tutto il petrolio russo, da realizzare entro i prossimi sei mesi per il combustibile greggio ed entro la fine dell’anno per i prodotti raffinati. Un’asticella forse troppo alta quella fissata dalla Commissione europea, che non ha trovato pronti tutti gli Stati dell’Unione. Dopo una lunga discussione, l’accordo è sfumato e una soluzione in grado di accontentare tutti rimandata.

Trattativa complicata
Lo stop al petrolio russo, annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen alla plenaria dell’Eurocamera, è sicuramente la misura più dirompente del sesto pacchetto di sanzioni, che prevede anche sanzioni agli ufficiali coinvolti nei «crimini di guerra» di Bucha e Mariupol, la disconnessione dal sistema Swift della principale banca russa, Sberbank, e la messa al bando in tutta l’Unione di tre televisioni legate al Cremlino.

Nonostante la volontà politica di approvare il pacchetto completo, espressa dagli ambasciatori in rappresentanza di tutti i Paesi, gli effetti collaterali delle misure proposte sono state considerate da alcuni troppo dannosi per le rispettive economie. Le discussioni hanno fatto registrare progressi, dicono fonti interne, ma restano aperte questioni tecniche che richiederanno un altro round di negoziati.

Per convincere i Paesi più recalcitranti, la Commissione aveva anche proposto una deroga fino alla fine del 2024 per Ungheria e Slovacchia e fino a metà dello stesso anno per la Cechia. Non abbastanza: «È come lanciare una bomba atomica sull’economia ungherese», aveva detto venerdì il Primo ministro di Budapest Viktor Orbán, facendo intuire che il negoziato sarebbe stato estremamente difficile.

Il Paese magiaro avrebbe bisogno di 4 o 5 anni almeno per rendersi indipendente dal petrolio russo e, mentre altri Stati possono sopperire aumentando le importazioni da altri fornitori tramite i porti, l’assenza di sbocchi sul mare rende l’Ungheria dipendente in toto dalle condutture attuali.

Una situazione simile a quella di Cechia e Slovacchia: i tre Paesi sono serviti dall’oleodotto «Druzhba» (Amicizia), che passando attraverso Bielorussia e Ucraina si dirama in tutta l’Europa orientale. Budapest, Praga e Bratislava vorrebbero quindi più tempo per mettere in atto l’embargo e anche più compensazioni economiche per adattare la rete che porta alle proprie raffinerie.

A questo proposito era stato chiaro il Primo ministro ceco Petr Fiala in una conferenza stampa: «Siamo pronti a supportare la decisione, a patto di poterla ritardare fino a quando non sarà incrementata la portata delle altre condutture».

L’altro punto di stallo delle trattative è stata una clausola che proibisce il trasporto di petrolio russo a tutte le navi battenti bandiera di uno Stato dell’Unione, o possedute da un privato o da un’azienda europea. È stata pensata dalla Commissione per ridurre i vettori a disposizione della Russia, che così incontrerebbe maggiori difficoltà e costi più elevati al momento di esportare il proprio combustibile verso altri Paesi del mondo.

In questo caso, però, la misura danneggerebbe significativamente anche l’economia di Grecia, Malta e Cipro, Stati mediterranei con un consistente volume di affari nel settore, che si sono opposti.

L’oro (nero) di Putin
In totale, l’Unione europea acquista dalla Russia circa un quarto delle sue importazioni di petrolio, rappresentando il principale cliente di Mosca in questo campo.

Secondo le stime, arrivano ogni giorno in Europa circa tre milioni e mezzo di barili all’anno tra greggio e prodotti raffinati. Un flusso di cassa che vale più di 70 miliardi di euro all’anno, quasi 23 milioni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, secondo il conteggio del Centre for Research on Energy and Clean Air.

La dipendenza, però non è omogenea: si va dal 78% della Slovacchia alle percentuali inferiori al 25% degli Stati mediterranei. Proprio questa differenza ha pesato nel negoziato, con alcuni Paesi più spaventati da un embargo totale e altri più determinati a supportarlo.

Tra cui anche quelli che acquistano le maggiori quantità assolute, come la Germania: quasi 35 milioni di tonnellate, che però ammontano a meno del 30% dell’import petrolifero totale del Paese.

Nei prossimi giorni sono previsti contatti tra la Presidenza francese del Consiglio, la Commissione e gli Stati membri coinvolti per risolvere lo stallo e adottare all’unanimità il sesto pacchetto di sanzioni nella sua interezza, compreso l’embargo petrolifero. Se davvero si tratta solo di dettagli tecnici, una soluzione potrebbe arrivare a breve.

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