A Gilead, a Gilead!Anche sull’aborto noialtri intelligenti siamo molto stupidi

Pur pensando che essere incinte sia un’invalidità, e perfino dopo aver sbirciato un paio di talk show italiani sul tema, riesco ancora a capire che le donne americane che festeggiano la decisione della Corte Suprema non gioiscono perché viene negato loro un diritto, ma perché sono convinte che si metta fine a un crimine

LaPresse//Gemunu Amarasinghe

Riesco a immaginare solo un’invalidità più insopportabile, una tragedia più abissale, uno stato più atroce dell’essere incinta, ed è: essere incinta senza aver desiderato d’esserlo. È una delle ragioni per cui le sciatte militanti che in questi anni hanno scomodato Gilead per ogni fischio per strada sono imperdonabili: a che serve la potenza della letteratura che evoca donne incinte per imposizione se poi, quando arriva il momento in cui in alcuni degli Stati Uniti non si può più abortire per nessuna ragione, quei personaggi di fantasia non puoi più citarli perché “Il racconto dell’ancella” è consunto dalle similitudini a casaccio?

In cima alla pagina di The Cut, la sezione femminile del New York Magazine, c’è l’occhiello «Life after Roe», la vita dopo che la Corte Suprema ha deciso che la sentenza Roe vs. Wade non attiene all’aborto, non essendo l’aborto citato in una Costituzione scritta nel Settecento (ma tu pensa), e non tutelando quindi quella sentenza, come fin qui ritenuto, il diritto all’interruzione di gravidanza. Prima dell’articolo c’è un avviso. Fa così: abbiamo rimosso il paywall da questa e altre storie sulla possibilità di abortire. Certo che è importante dare informazioni sulle questioni urgenti (e se non lo è liberarti d’una gravidanza che non vuoi, non saprei che definizione dare di «urgenza»), ma magari un articolo che ti dice che non devi credere a TikTok, il bidet con la Coca Cola non fa abortire, dovremmo averlo superato a dodici anni, che è l’età alla quale leggevo le smentite di queste leggende su Cioè. Sto per compierne cinquanta, e la demolizione delle leggende abbiamo cominciato a chiamarla debunking, e non pensiamo si smetta d’averne bisogno dopo le scuole medie.

Lo so, questa cosa d’aver detto «sezione femminile» fa di me una retrograda. Anche le persone trans e non binarie possono aver bisogno d’un aborto, possono mestruare, possono amare: sono tali e quali a noi, noi normali. Ma cosa volete ne sappia io, che ogni volta che sento «non binario» ho il riempimento automatico di «triste e solitario».

Dunque è andata così: Barack Obama ha avuto una maggioranza mai vista e non l’ha usata per fare una legge federale che regolamentasse l’aborto; a seconda di chi siano tifosi, gli studiosi di leggi americane ti dicono che non l’ha fatto perché il precedente d’una sentenza che s’appoggia alla Costituzione è più forte d’una legge federale e non c’era ragione di pensare decadesse, o che non l’ha fatto come non ha fatto mille altre cose, tra cui i nuovi giudici della Corte Suprema. Le militanti strepitano perché Donald Trump ne ha fatti tre, e non s’accorgono mai mai mai che stanno dicendo: è stato più bravo. Chi vuol far vedere che ha spirito critico dice: eh, certo, è un po’ colpa di Ruth Bader Ginsburg che si sarebbe dovuta dimettere a Obama in forze, permettendogli di metterci un altro giudice abortista. Ma chi la doveva convincere a dimettersi, RBG, io? Se Obama fosse stato bravo a fare il presidente quanto a venire bene in foto, chissà dove saremmo.

L’altra sera alla tv italiana sono andati in onda quelli che mi sono sembrati i quaranta minuti di tv più incredibili di tutti i tempi, ma probabilmente è il livello medio dei talk show e sono io che non sono abituata a guardarli. A osservare senza neanche troppa attenzione, si vedeva in controluce la costruzione del disastro. Una puntata preparata con un parterre di ospiti televisivi abituali, di quelli ritenuti in grado di parlare di Ucraina e di PNRR, dell’afa e della pandemia. Poi, nel pomeriggio, la notizia: in America è saltato per aria il fragile escamotage su cui si basava la possibilità di abortire. Mica vorrai smontare il parterre. Aggiungiamo due donne, ché l’aborto è cosa di donne, due con utero e che sappiano anche quattro cose sul tema. Ma quaranta minuti cinque ospiti? Ma figuriamoci: alle due in quota competenza facciamo una domanda e poi le congediamo.

Quando la conduttrice, dopo averle fatte parlare trenta secondi l’una, manifestando una certa qual insofferenza per ventinove dei trenta secondi, dice «so che ci dovete lasciare», la regia si guarda bene dall’inquadrarle, acciocché non si veda il labiale «no veramente noi potremmo pure restare». Se inquadrassero le due che conoscono il tema mentre vengono congedate per proseguire la discussione sul tema con gente che di solito parla di scissione dei Cinque stelle, vedremmo probabilmente due emule di Valeria Parrella allo Strega, quando la congedarono per parlare di MeToo: «E lei ne vuole parlare con Augias? Auguri».

L’omaggio a quel grandissimo momento di televisione può quindi proseguire con gli abituali turnisti del circo, uno dei quali – d’un quotidiano di destra – dice delle cose ovvie per un conservatore ma le dice come le dicono le macchiette televisive italiane: risultando insopportabile. Perdipiù la conduttrice, che è in modalità in-quanto-donna e quindi deve dire che l’aborto è un diritto inalienabile, è così maldisposta nei suoi confronti che la regia non osa inquadrarlo, e quindi quello diventa una voce dall’indefinito del suo bravo collegamento mentre tengono fisso il primo piano della conduttrice che sbuffa. Quando ero giovane e fertile queste trasmissioni esistevano per diventare Blob, ora probabilmente per diventare meme.

La stessa sera, sulla Hbo andava in onda il talk migliore del mondo, quello di Bill Maher. Era ospite Andrew Sullivan, che esprimeva gli stessi concetti del conservatore italiano ma come li esprime uno alfabetizzato, e spiegava bene l’assurdità dell’Italia che si scalda sulla regolamentazione dell’aborto americano, pur senza nominarci mai.

La sinistra americana è scandalizzata perché i primi interventi di riduzione della possibilità di abortire (in Florida, per esempio) hanno abbassato il termine da sei mesi a meno di quattro (quindici settimane). Gli americani non sanno talmente mai niente che il primo che studia due schede da sussidiario su quel che accade fuori dagli Stati Uniti pare subito un genio. Sullivan (che è inglese, inserire qui la battuta di Hamilton sugli immigrati sui quali contare per un lavoro ben fatto) fa presente che in mezza Europa il termine è a dodici settimane (anche in Italia).

Una giornalista ospite interviene dicendo sì, ma lì hanno la sanità pubblica. Già, ragazza: qui in dodici settimane, non potendo per legge abortire nel privato, devi anche fare in tempo a trovare un non obiettore nel pubblico. Ha tentato di spiegarlo Chiara Lalli a Lilli Gruber, ma alla Gruber «Molise» sembrava meno chic di «Florida» e quindi l’ha interrotta come stesse andando fuori tema. (Dovendo scegliere un modello, suggerirei l’Inghilterra: sanità pubblica, e termine a sei mesi).

Ci sarebbe poi anche da parlare della questione «come osano parlarne gli uomini» o, come dicono quelli cui piace citare in inglese, «no uterus no opinion». La giornalista ospite da Bill Maher è lesbica: l’utero inutilizzato ha comunque diritto a opinioni? E, se pensi che quella che abortisce ammazzi qualcuno, non hai non solo il diritto ma forse pure il dovere d’intervenire, anche se un utero non ce l’hai?

Com’è possibile che da questo lato delle cose – quello in cui abortire pare non solo un diritto ma addirittura un dovere, e quella fuori legge dovrebbe essere la gravidanza portata a termine – non riusciamo ad avere argomentazioni adulte, e a capire che una questione etica che per qualcuno (anche per molti di quelli che cianciano di «dramma morale» sperando così diventi più accettabile) non è niente, e per altri è assassinio, non la risolvi fingendo che le donne siano tutte da questo lato della questione?

Certo che più o meno tutte le donne hanno l’handicap di rischiare di restare incinte a ogni rapporto sessuale per metà della loro vita, e che questa disgrazia richiederebbe una pensione d’invalidità universale, e che l’idea che se resti incinta tu debba tenertelo è distopica e inaccettabile per molte di noi. Ma ci sono pure quelle che pensano che farti aspirare un embrione o un feto sia un omicidio, e rispetto all’omicidio hanno problemi di coscienza: avere un utero non basta neanche ad avere tutte la stessa opinione sui diritti che abbiamo su quell’utero.

Com’è possibile che non capiamo che le donne americane che manifestavano felicità per la fine di Roe vs Wade non sono donne che gioiscono perché viene negato loro un diritto, sono donne convinte che si metta fine a un crimine? Com’è possibile che noialtri intelligenti siamo così stupidi?

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