A poco più di un anno e mezzo dalla proposta della Commissione europea, già approvata dall’Europarlamento e dal Consiglio in prima lettura, intorno alle 4 del mattino è stato raggiunto dal trilogo un accordo sul tema del salario minimo. La direttiva annunciata su Twitter, che sarà operativa da metà giugno, stabilisce anche che il salario minimo dovrà essere agganciato all’inflazione (Automatic Indexation), con un meccanismo che ricorda quello della “scala mobile” in vigore in Italia negli anni Ottanta.
Ma non si tratta di un obbligo per gli Stati membri. La direttiva non impone di cambiare i sistemi nazionali esistenti, ma nel rispetto delle differenze dei modelli di mercato del lavoro e dei sistemi di welfare tra i diversi Stati membri, stabilisce un quadro procedurale per promuovere salari minimi «adeguati ed equi» in tutta l’Europa. I Trattati infatti vietano alla Commissione europea di legiferare in materia di remunerazioni.
«Non imporremo un salario minimo in Italia», ha detto il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali Nicolas Schmit. «So che in Italia il dibattito sull’argomento è molto acceso. Dipenderà dal governo e dalle parti sociali raggiungere un accordo sul salario minimo».
Attualmente il salario minimo legale esiste in 21 Paesi. Fatta eccezione per Italia, Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia e Cipro, dove c’è una forte contrattazione collettiva. Ma le differenze tra i Paesi Ue sono notevoli. Si va dai 332 euro al mese della Bulgaria ai 2.202 del Lussemburgo.
Secondo la Commissione Ue, nella maggior parte degli Stati membri l’adeguatezza del salario minimo è insufficiente oppure vi sono lacune nella copertura della protezione. Di qui la direttiva che mira a «garantire una vita dignitosa ai lavoratori e ridurre la povertà lavorativa. La direttiva promuove la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e livelli adeguati di salari minimi legali, punta a migliorare l’accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo per tutti i lavoratori e prevede la presentazione di relazioni sulla copertura e l’adeguatezza dei salari minimi da parte degli Stati membri.
Gli Stati membri dovrebbero quindi promuovere la capacità delle parti sociali di partecipare alla contrattazione collettiva. I Paesi Ue con un tasso di copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80% (è il compromesso raggiunto, ma Parlamento voleva il 90%, mentre Consiglio e Commissione Ue avevano indicato il 70%) dovranno elaborare un piano d’azione per promuoverla, adottando misure che agevolino il coinvolgimento delle parti sociali.
Altro punto centrale riguarda la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi: come considerare un salario «adeguato» e «minimo». Gli Stati membri dovrebbero fissare i loro salari minimi legali e valutarne l’adeguatezza secondo una serie e l’importo dovrebbe essere aggiornato periodicamente.
L’altra novità riguarda l’aggancio all’inflazione, la cosiddetta «Automatic indexation», che riguarda solo il salario minimo e non tutti gli stipendi. Proprio perché uno dei criteri fissati è il potere d’acquisto. A voler inserire nel testo questa opzione, che non è un obbligo ma una possibilità, è stato il Commissario lussemburghese al Lavoro, Nicolas Schmit.
Dopo l’accordo il testo dovrà tornare alla Commissione Lavoro e Affari sociali e poi di nuovo in plenaria. Infine, serve il via libera definitivo anche del Consiglio per essere pubblicato in Gazzetta ufficiale ed entrare in vigore. L’obiettivo è la ratifica da parte del Consiglio dei ministri Ue del Lavoro convocato per il 16 giugno in Lussemburgo. Gli Stati membri avranno due anni per recepire la direttiva.