Questa è una storia di conquistatori e provinciali, di capitali e capoluoghi, di gite culturali e poster nelle camerette, di talenti di giovinezza e come invecchiarci insieme; poi, come tutte, è anche una storia di catene, bastonate, e chirurgia sperimentale.
Martedì mattina stavo rileggendo un libro che scrissi a trentacinque anni, e pensavo: ma chi è questa? Ho chiamato un’amica recente e le ho detto: ma questo libro l’ha scritto una che non conosco, ora glielo riscrivo tutto. Lei ha detto: non rompere, è il mio preferito. Non ha detto: gli autori sono incapaci di giudicare le loro opere, perché quella è la frase che di solito dico io e guai se me la arrubbano.
Martedì pomeriggio ero a Roma, all’Auditorium, alla mostra su Vittorio Gassman (che ha chiuso ieri, e quindi che ve ne parlo a fare), che era bruttissima con le didascalie sciatte all’italiana ma bellissima perché insomma è Vittorio Gassman, ci metti le immagini dei film ed è già una meraviglia. C’erano i fogli d’un gioco che faceva col figlio Jacopo che era alle elementari, tra le domande c’era: dove abita Cossiga? Oggi potrebbero farla a un adulto in un quiz, e la risposta valere migliaia di euro: il signor Bruno da Cortona ha indovinato che il presidente abita al Quirinale, che cultura, che preparazione.
Martedì sera ero al concerto di Cesare Cremonini, sempre a Roma, con un’amica che gli anni Novanta deve averli trascorsi in coma e non sapeva fossero esistiti i Lùnapop, ma io purtroppo ero impegnata a squarciagolare «La scuola non va, una Vespa, una donna non ho», e quindi non potevo spiegarle che quella cui stava assistendo era una sfida tra le due città che se la sentono più calda in Italia (sì, più di Napoli), e – se il campionato l’aveva lessicalmente creato Roma, inventando l’espressione «sentirsela calda» – in quel momento stava però vincendo Bologna, giacché un intero stadio di gente che non è mai stata sui colli bolognesi squarciagolava la meraviglia di risalirli in Vespa, e se non è egemonia culturale questa.
Martedì pomeriggio leggevo una lettera che l’accademia d’arte drammatica, in piena seconda guerra mondiale, scriveva chiedendo una proroga per la chiamata alle armi di tre suoi allievi che altrimenti non avrebbero potuto fare il saggio di fine anno. L’elenco dei nomi era «Gassmann Vittorio, Salce Luciano, Squarzina Luigi». Crescono meglio quelli che forse dovevano mollare la scuola per andare in guerra o quelli che si chiudevano in cameretta a comporre la loro desolazione perché «una Vespa, una donna non ho»? (Decenni dopo, Diletta D’Andrea sarebbe stata seconda moglie di Luciano Salce e poi quarta moglie di Vittorio Gassman: se i ragazzini sapessero che le vite sentimentali poi si sisteman da sole, l’adolescenza sarebbe meno disperante).
E poi: «chi è questa cicciona?», «mia madre», «ammazza, bella donna» era maschilismo tossico? E «una donna non ho»? Oggi gli autori dei film e delle canzonette si preoccuperebbero delle militanze indignate e resteremmo senza Sorpasso e senza 50 Special?
Martedì sera un direttore di giornale, mentre bevevamo prosecco in bicchieri di plastica, mi chiedeva se non fosse strano che Cremonini cantasse le canzoni dei Lùnapop: le band si sciolgono, i rancori seguono. Se McCartney a Glastonbury fa Hey Jude, può Cremonini non fare 50 Special all’Olimpico? E, soprattutto, il «na na na na» di una sarà un omaggio al «la la la la» dell’altra?
Martedì mattina un’amica antica mi diceva che certo, era perfettamente normale io non riconoscessi un mio vecchio libro, è come i vecchi amici cui non hai più nulla da dire (forse parlava di sé), è il pubblico che cristallizza, ma gli autori sbuffano.
Martedì pomeriggio all’Auditorium c’erano due hostess nella sala in cui c’era la macchina del Sorpasso, per evitare che noialtre fanatiche ci sedessimo sul cofano ad autoscattarci assieme al fantasma di Gassman cristallizzato quarantenne sull’Aurelia.
Martedì sera Cremonini attaccava «Così stanco da non dormire, le due di notte e non c’è niente da fare», e lo stadio non si scaldava un decimo di quanto esplodesse per i ritornelli che aveva sentito negli spot dei gelati, e io pensavo non ve lo meritate Dalla di quei quattro dischi in cui è stato Michelangelo, vi meritate il presente, brutti buzzurri, poi sugli schermi compariva Lucio trentaseienne che cantava Lucio trentaseienne e finalmente si svegliavano.
Ma sono abbastanza certa non sapessero che non è mica con «e se non ti avessi uscirei fuori a comprarti», che si dimostra la bravura, così come non la si dimostra con «ho spiegato ai vicini, ridendo, che tu non ci sei più»: son buoni tutti, a farti stramazzare di sentimentalismo. Le prove di vero talento sono scrivere «ti hanno visto bere a una fontana che non ero io», sono scrivere «dammi una Vespa e ti porto in vacanza», sono dire «sono veramente sorry».
Poi certo, il talento non basta: la differenza la fa la tenuta sul lungo periodo. La fa stare lì senza sbuffare, a cantare fino al giorno in cui muori birichina biriccò; la fa essere figo nelle foto da settantenne persino più di quanto lo fossi sull’Aurelia quarantenne; la fa arrivare allo stadio di Roma, pieno di gente impegnata a compiacersi dei duemila anni di storia della sua zozza città, e farle desiderare d’aver avuto i diciassette anni che hai avuto tu, quelli in Vespa sui colli bolognesi.