Armi a KievLe condizioni di Draghi e l’ultima trattativa grillina per salvare la faccia a Conte

Il presidente del Consiglio interviene alle 15 a Palazzo Madama. Stamattina nuovo vertice di maggioranza: si tenta la mediazione sul coinvolgimento delle Camere e sul richiamo al decreto Ucraina di marzo. Ma i Cinque Stelle hanno già rinunciato alle loro pretese

(La Presse)

La riunione di maggioranza con il sottosegretario agli Affari europei Enzo Amendola per arrivare a una risoluzione unitaria ieri è andata avanti per sei ore. Ma i Cinque Stelle si sono presentati già all’appuntamento avendo rinunciato a due punti centrali delle polemiche degli ultimi giorni: il no all’invio delle armi a Kiev e la richiesta di voto su una eventuale nuova spedizione di forniture militari in Ucraina.

Il nodo, ora, è diventato trovare un accordo che salvi la faccia ai Cinque Stelle e a Giuseppe Conte. Prima dell’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi in Senato, previsto oggi per le 15, si tenterà questa mattina l’ultima trattativa per arrivare a un testo di maggioranza che possa dare un’immagine di unità del Paese e garantire la stabilità e la prosecuzione del governo, la libertà di manovra di Draghi in campo internazionale e la richiesta dei gruppi parlamentari — specie i Cinque Stelle — di veder riconosciuto un proprio coinvolgimento.

La proposta di testo finale della risoluzione avanzata da Palazzo Chigi recitava: «Impegna il governo a continuare a garantire il coinvolgimento delle Camere, secondo le procedure previste dal decreto legge 14/22, in occasione dei più rilevanti summit riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le forniture militari». Ma il riferimento alle “procedure previste” dal decreto Ucraina, dove è inserito un aggiornamento alle Camere ogni tre mesi, non andava giù al Movimento e anche a LeU. Una posizione che, scrive Repubblica, avrebbe fatto breccia anche nell’ala più pacifista del Pd.

Espressioni limate, riviste e corrette sulle quali si è discusso per sei lunghe ore. Il punto è che sulla vicenda Ucraina il Movimento Cinque Stelle si sta giocando un pezzo di credibilità, sia sul fronte governativo che su quello del consenso. Ma le pretese sono state ridotte già in partenza. Il Consiglio nazionale grillino, dopo una lunga attesa, ha diramato infatti un lungo comunicato per ribadire la richiesta di «un più pieno coinvolgimento del Parlamento con riguardo alle linee di indirizzo politico che verranno perseguite dal governo nei più rilevanti consessi europei e internazionali, inclusa l’eventuale decisione di inviare a livello bilaterale nuove forniture militari».

Nessun riferimento a un no a nuove armi, ridotto invece a una più abbordabile richiesta di una sorta di controllo parlamentare. Il problema è però destinato a ripresentarsi a breve, visto che nella bozza del prossimo Consiglio europeo in programma dopodomani si parla di un «ulteriore sostegno militare all’Ucraina», con l’obiettivo di aiutarla ad «esercitare il suo diritto all’autodifesa». Trattandosi di una bozza, non è detto che il punto rimanga, ma a livello europeo ci sarebbe una larga condivisione.

In queste settimane Draghi, d’altronde, ha fatto intendere più volte di essere contrario a eccessive “ingerenze” parlamentari attorno a un quadro in rapido mutamento e che richiede per questo motivo una certa autonomia. Da Palazzo Chigi sono arrivate due condizioni: il governo «non può stare sotto tutela» e una risoluzione parlamentare non può smentire un decreto legge, quello già votato da entrambe le Camere con il sì del M5S, che autorizza eventuali nuovi invii di armi fino al 31 dicembre.

Se Pd e LeU cercano una mediazione che salvi la faccia a Conte, Italia Viva, PiùEuropa, Forza Italia e Lega però non accettano le richieste dei Cinque Stelle. In realtà – spiega il Corriere – il governo, almeno oggi, non rischia affatto. Certo, la riunione di maggioranza è durata ore e ore e continuerà anche oggi, ma non solo per le difficoltà di trovare una via d’uscita onorevole ai grillini, che hanno bisogno di dimostrare di essere riusciti a tenere in stallo l’esecutivo. Ma la verità è che nessuno, a questo punto, teme più lo strappo.

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