Troppi nomi. Tutti maschi. Due su tutti: Matteo Renzi e Carlo Calenda. La ministra della Famiglia Elena Bonetti, Italia Viva, al Foglio dice che forse il problema di questo fantomatico centro che si vorrebbe creare sta tutto qui: troppo testosterone. «Un approccio femminile non solo serve: è decisivo», spiega. «L’ascolto dell’altro nella fermezza delle proprie convinzioni; uno sguardo di prospettiva e però concreto. E poi finalmente un lessico moderato, meno urlato, non agonistico, efficace».
Non solo un metodo femminile, però. Elena Bonetti, da docente di analisi matematica, propone anche un approccio scientifico. «È un metodo, quello che occorre adottare per fare il centro. Un metodo già sperimentato, e che funziona: quello della sintesi progressiva. Insomma, il metodo Draghi». Perché secondo la ministra, l’obiettivo dei molti contendenti leader del centro dovrebbe essere proprio «dare stabilità al metodo Draghi. Usarlo come una bussola: dare corpo a una proposta pragmaticamente riformista».
Il faro è quella «sintesi progressiva», appunto, adottata finora da Draghi. «Un’azione riformatrice che ricomprende tutte le istanze per produrre di volta in volta la soluzione più avanzata, rinunciando all’approccio della ‘somma zero’, per cui, come è avvenuto in passato, si è bloccato il Paese con i veti incrociati e lottizzando i temi ideologicamente. Qui c’è una visione organica, che certo impone dei compromessi, ma sempre nell’ottica di un avanzamento. Vale per le politiche familiari e di genere come per la legge sulla concorrenza, che da troppi anni non vedeva la luce. Vale per il catasto e per il fisco, finora considerati immodificabili».
Il centro quindi dovrebbe ereditare questo metodo e «rinunciare, tutti, alla tentazione di risolvere i problemi nel tatticismo. Un ipotetico centro interessato a guadagnare spazio negoziale oscillando ora verso destra ora verso sinistra non serve. Serve invece un centro che detta l’azione politica e che lo faccia con spirito inclusivo. Il veto come strumento di definizione della propria identità – non voglio stare con te così posso dimostrare meglio chi sono io – non funziona». Il riferimento, non casuale, qui è chiaramente a Carlo Calenda, che spesso ha elogiato la ministra.
Bonetti ribadisce però che non serve «ridurre il racconto del confronto politico al piano die personalismi. Serve invece costruire una comunità, e Italia Viva c’è, e serve un enzima aggregante». Non un uomo o una donna «in grado di risolvere i problemi». «L’aggregazione delle forze del centro avviene se è chiara la prospettiva vero cui ci si muove», dice.
Una prospettiva «riformista», che «incentivi gli investimenti e la ricerca, che aiuti la fiducia degli imprenditori, che rinnovi la centralità di diritti e opportunità. Con l’Europa come dimensione naturale del nostro sviluppo». Ma «niente estremismi, nessuno spazio per il sovranismo. Chi investe nella paura si autoesclude».
La ministra dice di aver «apprezzato il coraggio» di Luigi Di Maio «nel rinnegare l’approccio populista che ancora connota il Movimento Cinque Stelle di Conte. E del resto non credo sia un caso che chi sta al governo a più diretto contatto con il presidente Draghi stia maturando posizioni sempre più distanti dalle pulsioni estremiste dei rispettivi partiti».
E lo stesso «pragmatismo riformista», secondo Bonetti, deve essere applicato anche sul piano dei diritti. A partire dallo ius scholae su cui «non deve riproporsi l’approccio ideologico, polarizzato e statico, che portò all’affossamento del ddl Zan». Stesso discorso per il salario minimo: «Non dobbiamo avere come obiettivo la validazione di uno slogan, ma un progresso reale: e cioè la tutela della dignità del lavoro e il rinnovo di un patto sociale che certe proposte troppo sbrigative mettono a rischio. La contrattazione è uno strumento fondamentale, non può essere aggirata».